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Mattino-Un patto comune...

Un patto comune... Ma è al governo centrale che spetta decidere la linea di marcia: quanta effettiva autonomia dare alle scuole in termini di personale e risorse e sperimentazioni attivate e quanti...

31/08/2002
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Il Mattino

Un patto comune...
Ma è al governo centrale che spetta decidere la linea di marcia: quanta effettiva autonomia dare alle scuole in termini di personale e risorse e sperimentazioni attivate e quanti docenti in meno ci saranno e chi potrà fare il docente, quando e come. Ed è su questi punti che oggi la crisi è più acuta e appare evidente che le decisioni centrali tendono a indebolire o ad annullare le possibilità degli enti locali stessi e delle scuole a farsi responsabili. C'è, insomma, una evidente tendenza del governo a limitare, di fatto, l'autonomia reale delle scuole.
Le ragioni di ciò sono certamente politiche, ma non per questo chiaramente individuabili. Il governo ha scelto la scuola come terreno di contenzioso con l'operato del governo precedente, con un vezzo da perenne campagna elettorale. Si è urlato contro tutto il lavoro fatto, in modo troppo baldanzoso, pur sapendo quanto è difficile riformare la scuola, un lavoro in cui vanno coinvolti innanzitutto i docenti e che richiede anni di lavoro. Si è, poi, operato senza distinguo di sorta: sono stati cambiati quasi tutti i direttori generali del ministero, si è cassato il lavoro della commissione per la riforma dei cicli in ogni sua parte, si sono voluti cancellare gli studi sulle discipline e le competenze necessarie oggi alle giovani generazioni così come erano stati a lungo elaborati dagli studiosi di ogni tendenza convocati precedentemente, si è ignorato quanto analizzato dalla VII commissione del Senato in materia di esclusione sociale e fallimento formativo. Tutto era mal fatto, tutto sbagliato e da rifare rapidamente e completamente.
Una parte dell'opposizione di sinistra grida che doveva per forza andare così perché quel che si vuole favorire è la scuola privata e basta. Ma, in Italia, la scuola privata è frequentata forse dal 5 per cento dei ragazzi e non è che si imporrà a tutti di punto in bianco. Altri critici parlano, appunto, di una sorta di cecità ideologica ma anche di imperizia che si è subito, però, scontrata con le esigenze di budget tanto che oggi tagliare la spesa scolastica diventa quasi l'unica preoccupazione.
Comunque sia, c'era un'altra via anche per un governo di centro-destra: far valere le proprie convinzioni, ma anche riconoscere il lavoro riformatore svolto dal precedente governo, chiamare a uno sforzo unitario - bipartisan si dice oggi - tutti, continuare l'azione di riforma basata sull'autonomia delle scuole, il rinnovamento dei suoi contenuti e sul forte sostegno, anche finanziario, alla sua decisiva funzione di collante sociale e di referente educativo per tutte le persone in crescita. L'ha fatto anche l'iper-conservatore George Bush che, appena arrivato alla Casa Bianca, si è accordato con i democratici a sostegno della scuola.
Si doveva, certo, procedere a un paziente confronto in Parlamento e nel Paese e non illudersi si poter tutto fare a colpi di decreti e di propaganda. Così, resta la triste constatazione, per chi fa scuola, che ogni riforma è ferma, c'è una gran confusione e questo non fa piacere a nessuno perché il tanto peggio tanto meglio non è argomento che serve per sostenere l'educazione e la formazione di chi vivrà dopo di noi.


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