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Manifesto-Social forum e ong all'attacco dell'Ulivo

"In piazza pacifisti, ora conniventi" Social forum e ong all'attacco dell'Ulivo che non vota: rispolverata l'ipocrisia della guerra umanitaria ANGELO MASTRANDREA Avevano chiesto all'opposizione "n...

16/04/2003
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il manifesto

"In piazza pacifisti, ora conniventi"
Social forum e ong all'attacco dell'Ulivo che non vota: rispolverata l'ipocrisia della guerra umanitaria
ANGELO MASTRANDREA
Avevano chiesto all'opposizione "nessuna complicità con chi ha scatenato la guerra", si sono ritrovati con l'Ulivo ancora una volta spaccato in due, come in occasione dell'invio degli alpini in Afghanistan. Solo che questa volta tutte le forze politiche del centrosinistra avevano convenuto sulla illegittimità di un attacco unilaterale all'Iraq, e per questo risulta più difficilmente comprensibile quell'astensione che suona come un assenso all'invio di forze armate italiane nella regione, sia pur sotto spoglie definite "umanitarie". Tanto più che una fetta del centrosinistra, la stessa che si è astenuta, ha poi votato a favore della mozione Andreotti, non meno interventista. E l'irritazione, nel mondo delle ong impegnate nell'assistenza umanitaria alla popolazione irachena e nell'arcipelago pacifista, è palpabile, come dimostra la dura reazione del Forum sociale europeo, secondo il quale l'invio di truppe in Iraq è un "fatto di inaudita gravità" che trasforma l'Italia in un paese pienamente belligerante e appare come "un incoraggiamento all'amministrazione Bush a proseguire la sua guerra preventiva e infinita, avvicinando l'apertura di un nuovo fronte nei confronti della Siria". Per questo i pacifisti esprimono "sconcerto nei confronti di quelle forze politiche che, pur avendo partecipato alle manifestazioni per la pace, assumono oggi posizioni di connivenza con il governo, rispolverando tutto l'ipocrita armamentario ideologico della "guerra umanitaria e per la democrazia"". "Ma come, fino a ieri avevano detto che il ruolo dell'Onu era fondamentale, e oggi non si oppongono alla decisione unilaterale di inviare truppe in Iraq. Cosa è successo?", sbotta al telefono Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace, appena gli comunichiamo dell'avvenuto voto. Eppure, lui rappresenta un mondo che alla fin fine non si sarebbe opposto all'invio se deciso unitariamente dall'Unione europea, "perché avrebbe rappresentato un contrappeso allo strapotere americano". "Sarebbe bastato aspettare qualche giorno, fino al vertice Ue di Atene", invece è arrivato questo voto che "mina ulteriormente la credibilità dell'Italia alla vigilia dell'assunzione della presidenza Ue". E l'astensione del centrosinistra non rappresenta altro che "un cedimento alla logica del più forte", visto che il governo italiano non ha fatto altro che dare seguito alle richieste fatte da Bush alla vigilia della guerra. "Si presenta come umanitaria una missione che sarà di ordine pubblico. Ma per conto di chi? E poi, quanto ci costerà, chi pagherà e per quanto tempo durerà?", si chiede Lotti, per il quale l'Italia rischia di spendere di più per garantire la sicurezza degli aiuti che per gli aiuti stessi.

Tantopiù che chi già opera nel Golfo, e che avrebbe comunque rifiutato un appoggio governativo, come le ong che hanno aderito al Tavolo di solidarietà, ma anche il Forum del terzo settore, non sono state affatto contattate. Lo avessero fatto, avrebbero spiegato al governo Berlusconi che "le ong abituate a gestire situazioni di post-conflitto sanno che gli aiuti umanitari sotto scorta armata ingenerano diffidenza, paura e spesso reazioni incontrollabili tra la popolazione locale", come dicono i portavoce del Forum del terzo settore Edoardo Patriarca e Giampiero Rasimelli, e il presidente delle ong italiane Sergio Marelli. Che si preoccupano perché "la copertura finanziaria di questa operazione umanitaria non può essere distolta dalle già magre risorse stanziate per la cooperazione internazionale né essere garantita attraverso l'istituzione di una tassa straordinaria" e perché "la professionalità del personale da impiegare nelle missioni umanitarie non può essere ridotta alla sola esperienza tecnica, ma deve comprendere la capacità e l'esperienza di saper agire in contesti di post-conflitto", criteri con i quali sono selezionati i volontari delle ong impiegati in tali situazioni.

Senza considerare che proprio nelle ore in cui il parlamento italiano votava l'invio delle truppe da Amman partiva un carico di aiuti umanitari del Tavolo di solidarietà diretto a Baghdad, senza alcuna scorta armata. Ed è proprio dalle associazioni promotrici del Tavolo, considerato il "braccio operativo" del movimento no war, che arrivano delle critiche molto pesanti al governo. "Non è bello che chi divide la responsabilità di tante vittime si faccia poi bello del soccorso portato agli scampati. Invece ci sembra che il governo italiano stia mettendo in atto un intervento abborracciato, fuori dal coordinamento Onu e politicamente finalizzato", dice Fabio Alberti di Un ponte per. Di "strumentalizzazione al fine di militarizzare gli aiuti umanitari" parla invece Raffaele Salinari, presidente di Terre des hommes. Mentre per Giulio Marcon dell'Ics "l'invio del contingente italiano risponde alle logiche dell'occupazione militare in appoggio alla coalizione angloamericana, non della pacificazione e dell'aiuto alla popolazione irachena, che può venire solamente sotto il mandato delle Nazioni unite", e per questo "non collaboreremo con le forze militari italiane e con le forze di occupazione dell'Iraq e non accetteremo fondi dal governo italiano per gli interventi umanitari".

EMERGENCY
Per l'associazione di Gino Strada la missione militare in Iraq "non potrebbe in nessun modo configurarsi come operazione di pace". Con l'invio del contingente italiano il parlamento ha deciso di effettuare un intervento di peacekeeping "per il mantenimento di una pace che non c'è". L'iniziativa in questione si configura perciò come una maniera surrettizia di partecipare alla guerra in corso, "partecipazione che non si è riusciti a compiere nella fase iniziale". Si tratterebbe di una "clamorosa smentita di decisioni già assunte", ma già del resto "contraddette e rinnegate con la partenza di truppe combattenti dal territorio italiano". Per Emergency siamo di fronte a "un'altra violazione" della Costituzione e alla "ulteriore, progressiva emarginazione" delle Nazioni Unite dalla vicenda. Di qui l'appello finale al presidente della Repubblica per "ostacolare la decisione" o almeno "limitarne la portata", e il richiamo a riflettere sulla "gravità del gesto e sui guasti delle sue conseguenze".
UN PONTE PER
"Non è bello che chi divide la responsabilità di tante vittime si faccia poi bello del soccorso portato agli scampati. Ci sembra che il governo italiano stia mettendo in atto un intervento abborracciato, fuori dal coordinamento Onu e politicamente finalizzato". Così la pensa Fabio Alberti, presidente di "Un ponte per" e del "Tavolo di solidarietà con le popolazioni dell'Iraq", il quale aggiunge: "non sono i militari a servire da protezione agli aiuti, ma sono piuttosto gli aiuti a servire da copertura all'invio di truppe che serviranno a sedersi al tavolo su cui si spartiranno i lucrosi contratti della ricostruzione". Che l'Italia, "dopo aver sostenuto la distruzione dell'Iraq", appoggi un intervento umanitario, è "il minimo che si possa pretendere". Tuttavia, "un minimo di buon senso avrebbe voluto che ci si astenesse dall'inviare altri militari, che si aggiungeranno alle già numerose truppe di occupazione". Di qui la richiesta che gli interventi umanitari non siano gestiti dagli eserciti e dalle nazioni belligeranti, ma "dalle agenzie Onu e dalla Croce Rossa".
TERRES DES HOMMES
Terres des hommes Italia esprime preoccupazione per l'invio in Iraq di un contingente militare senza mandato delle Nazioni Unite. A detta dell'ong, "per assicurare i convogli degli aiuti basterebbe creare dei corridoi di sicurezza - come previsto dalla Convenzione di Ginevra - e ripristinare il ruolo dell'Onu per il coordinamento delle operazioni umanitarie". Del resto, incalza Terres des hommes, "l'aiuto umanitario non è un business" e se "il soccorso alla popolazione in difficoltà è effettuato sotto il controllo militare, gli aiuti potrebbero facilmente diventare uno strumento di guerra". Scopo dei volontari sul campo è invece quello di "poter operare secondo il principio di neutralità e nella piena fiducia della popolazione". In queste ore un convoglio di aiuti umanitari - organizzato da Terres des hommes, Ics e Un ponte per - "sta viaggiando verso Baghdad senza scorta militare". E altre ong europee hanno già trasportato in Iraq medicine "senza chiedere appoggio alle forze della coalizione". Perciò "non ci sono giustificazioni per l'invio di ulteriori soldati".
ICS
Giulio Marcon, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics), sostiene che l'iniziativa del governo italiano "si colloca in modo strumentale dentro una logica di appoggio e cooperazione con le forze occupanti dell'Iraq". L'invio di un contingente italiano non risponde perciò alla logiche della pacificazione in Iraq, che può venire solo sotto il mandato delle Nazioni Unite. Ics rifiuta di accettare "la commistione tra aiuti umanitari e intervento militare", in quanto "gli aiuti umanitari non possono essere strumentalizzati nè subordinati alle logiche militari e di politica estera dei governi che hanno sostenuto la guerra". Marcon rilancia l'azione indipendente dell'Ics a favore della popolazione irachena, attraverso convogli di aiuti e progetti concreti, in collaborazione con le organizzazioni di assistenza locali e le agenzie Onu. E auspica, tra l'altro, la creazione di corridoi umanitari controllati da osservatori internazionali, l'invio di un contingente con mandato del Consiglio di sicurezza e "il ritiro immediato delle forze di occupazione".


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