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Manifesto: Made in Germany-Scuole-ghetto e insegnanti con il bavaglio

Se da quarant'anni in Germania non si riesce a fare una riforma della scuola, che la faccia finita col sistema di caste della scuola professionale, degli istituti tecnici e dei licei per l'élite, lo si deve anche alla minorità politica degli insegnanti

17/04/2006
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il manifesto

GUIDO AMBROSINO
L'amministrazione scolastica berlinese ha aperto un'inchiesta disciplinare contro Petra Eggebrecht, preside vicaria della Rütli-Schule. La sospetta di aver passato alla stampa una lettera, scritta anche a nome degli altri insegnanti, sull'intollerabile situazione in quella scuola: un «istituto di avviamento professionale» (Hauptschule) nel quartiere berlinese di Neukölln, dove 83 allievi su cento sono di origine straniera, soprattutto arabi e turchi, e dove non si riesce più a insegnare né a imparare qualcosa di sensato.
La lettera era stata mandata al provveditorato il 28 febbraio. Per un mese nessuna risposta. Sebbene la lettera segnalasse un problema politico, perché metteva in discussione il modello della Hauptschule come ghetto privo di prospettive per ragazzi emarginati, e ne chiedeva l'abolizione, nessuno ha pensato di portarla sulla scrivania dell'assessore alla scuola, Klaus Böger (Spd). Il caso è esploso solo il 30 marzo, quando il grido d'aiuto lanciato dagli insegnati della Rütli-Schule è apparso sul quotidiano Tagesspiegel.
Nella lettera si descrive un clima di «aggressività, di mancanza di rispetto e di arroganza» nei confronti degli adulti. Capita che le porte vengano sfondate a calci, che esplodano mortaretti nelle classi, che vengano staccati i quadri dalle pareti. In certe classi gli insegnanti entrano solo col telefonino, per poter lanciare Sos. Molti docenti sono in malattia, troppe classi restano scoperte. Gli allievi non hanno più alcuna motivazione perché, che prendano o no il diploma - paragonabile alla nostra licenzia media - sanno di non aver futuro: l'anno scorso nessuno dei diplomati della Rütli ha trovato un posto d'apprendista.
«La Hauptschule - concludevano gli insegnanti - è un vicolo cieco. Deve essere abolita», per lasciar posto a una scuola per tutti, dove si possa di nuovo provare la gioia di insegnare e di apprendere.
Cos'è cambiato da allora? E' stato nominato un nuovo preside (la titolare, provvisoriamente sostituita dalla signora Eggebrecht, era malata dall'inizio dell'anno). Sono arrivati due assistenti sociali, di origine araba e turca. Agenti di polizia, mandati a pattugliare l'ingresso, sono stati ritirati dopo tre giorni perché, una volta fotografati per rassicurare i benpensanti, non servivano a niente.
Per il resto, come dicevamo, l'inchiesta disciplinare segue il suo corso. Gli insegnanti non sono autorizzati a parlare con i giornalisti. I presidi possono farlo solo previa autorizzazione del provveditorato. Aver consegnato a un giornale una lettera indirizzata all'amministrazione scolastica è una grave mancanza.
Gli insegnanti in Germania sono Beamten, pubblici ufficiali come i funzionari ministeriali, giudici, militari, poliziotti. In una tradizione di ascendenza prussiana, sono tenuti a particolari obblighi di «fedeltà» all'amministrazione. Non possono scioperare, e nemmeno esprimere pubblicamente giudizi sul loro lavoro.
Se da quarant'anni in Germania non si riesce a fare una riforma della scuola, che la faccia finita col sistema di caste della scuola professionale, degli istituti tecnici e dei licei per l'élite, lo si deve anche alla minorità politica degli insegnanti. Il Berufsbeamtentum ha vantaggi che corrompono: posto sicuro a vita, pensioni certe. Gli insegnanti, per questi vantaggi, hanno accettato il bavaglio. Per salvarsi l'anima hanno un sindacato di sinistra, il Gew, che chiede una scuola unica decennale (come esisteva nella innominabile Rdt). Ma nessuno sta a sentire un sindacato che non può scioperare.
L'uscita pubblica degli insegnanti della Rütli-Schule è un segno che la loro omertà da «funzionari» si sta incrinando. Sono esasperati e disperati: «Non possiamo permettere che un'intera generazione vada perduta», dice una di loro. Aggiungendo, ovviamente, di non fare il suo nome.


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