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Manifesto: Lettera aperta a Rita Levi Montalcini

60mila i precari Tam tam sul Web. 248 scienziati alla senatrice a vita: «Una ricerca precaria non è una ricerca libera»

07/11/2007
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il manifesto

***
Gentile Professoressa,
siamo un gruppo di ricercatori precari, ci rivolgiamo a Lei con il massimo rispetto e ringraziandola, davvero di cuore, per quanto ha fatto e continua a fare per la ricerca italiana.
Ci rivolgiamo a Lei perché la sentiamo «dalla nostra parte», dalla parte della ricerca. Abbiamo apprezzato tutte le dichiarazioni dei politici dei governi precedenti e di questo: più soldi alla ricerca, concorsi trasparenti; le abbiamo apprezzate tutte ma non si è mai andati oltre le parole.
Professoressa, i ricercatori precari dell'università e degli enti di ricerca, in Italia, sono più di 60.000! Non siamo un «fenomeno marginale»: rappresentiamo il 50 per cento della forza lavoro dell'Università. La situazione, purtroppo, è identica negli enti di ricerca.
Facciamo ricerca, insegniamo, seguiamo i tesisti, pubblichiamo, partecipiamo ai congressi, prepariamo le richieste di finanziamenti (nelle quali molto spesso non compariamo). Lavoriamo almeno quanto uno «strutturato» ma... non abbiamo gli stessi diritti... Anzi.
I concorsi in Italia sono pochi e, come se non bastasse, molti prendono l'aspetto della farsa: spesso il nome del vincitore si conosce ancor prima che il concorso venga bandito. La meritocrazia in Italia resta una parola vuota se non ambigua che trova molto raramente applicazione. Le carriere accademiche veloci sono quelle dei predestinati e dei figli d'arte. E poi, come tutti sanno «bravi si diventa» con le occasioni giuste, che però non sono aperte a tutti in base al merito...
Se poi si è donne, tutto diventa ancora più difficile.
Ma, se si guarisce dal cancro, se viene scoperta una nuova molecola, un nuovo gene, un nuovo software, si favorisce una nuova cultura in evoluzione con le altre, si trovano nuovi metodi per insegnare e per imparare lo si deve anche a noi precari che per anni abbiamo lavorato sperando di ottenere un posto che ci avrebbe dato stabilità economica e libertà.
Professoressa, chi è precario della ricerca, infatti, non è libero. Deve accettare compromessi di ogni tipo pena il mancato rinnovo del contratto, deve accettare di ritirare i propri titoli da un concorso per favorire l'assunzione di un predestinato, deve accettare di vedere pubblicati i suoi dati senza che il suo nome compaia fra i coautori.
Tutto questo per poter sopravvivere al presente senza potersi mai chiedere come sarà il futuro. Noi, infatti, saremo una generazione di pensionati senza pensione. A quel punto, forse, lo stato si preoccuperà di noi.
Peraltro di noi si sono dimenticati in tanti, da tanti anni (e governi!). Così, inesorabilmente, quelli che erano «giovani precari» adesso sono diventati i precari di 34-40-45 anni. E magari sono troppo vecchi per entrare come ricercatori.
Molti di noi sono precari da 10-15 anni, hanno avuto contratti di ogni tipo, sono stati giudicati ogni anno, ad ogni rinnovo di contratto. Ci chiediamo quali altre prove dobbiamo superare per essere giudicati idonei alla stabilizzazione.
Professoressa, le chiediamo che, con il rigore che la contraddistingue, durante la discussione prevista in senato per l'esame della legge finanziaria, ponga la soluzione del precariato nell'università e nella ricerca pubblica come un punto fermo dalla cui soluzione non è possibile prescindere per risanare l'università italiana e per dare slancio e futuro a un paese che, altrimenti, è destinato a diventare una colonia turistica (forse anche accademicamente parlando). La ringraziamo, Professoressa, per quanto vorrà fare e la salutiamo con stima.
*** Rita Clementi, Leonardo Bargigli, Anna Carola Freschi, Silvia Sabbioni, Luca Toselli e altri 243 «precari» di università ed enti di ricerca di tutta Italia. Per info e adesioni: rita.clementi@gmail.com


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