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Manifesto-Giustizia:Due casi distinti, due idee di riforma

Due casi distinti, due idee di riforma Cosenza e Perugia. E in mezzo, lo schiaffo della Consulta alla Cassazione. Parla Sergio Mattone, Md IDA DOMINIJANNI Un conto è la critica delle singole sente...

20/11/2002
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il manifesto

Due casi distinti, due idee di riforma
Cosenza e Perugia. E in mezzo, lo schiaffo della Consulta alla Cassazione. Parla Sergio Mattone, Md
IDA DOMINIJANNI
Un conto è la critica delle singole sentenze, un altro è la denigrazione sistematica della magistratura nel suo insieme. Un conto è correggere la contraddizione fra un processo di primo grado basato sul dibattimento e un processo d'appello senza dibattimento, un altro è puntare a una riforma dell'ordinamento giudiziario che ha come unico scopo l'attacco all'autonomia della magistratura. L'associazione nazionale dei magistrati risponde con l'arte dei distinguo ai tentativi del centrodestra di fare di ogni erba - l'ordinanza contro i no-global, la sentenza d'appello su Andreotti - lo stesso fascio per sferrare l'affondo finale contro l'indipendenza delle toghe. Una giusta linea di contrattacco, non facile tuttavia in presenza di due atti giudiziari, quello cosentino e quello perugino, molto contestabili. Sergio Mattone, esponente di Magistratura democratica, ex membro del Csm in procinto di tornare al suo lavoro in Cassazione, la condivide: "Criticare le decisioni della magistratura è legittimo, ricondurre ogni errore dei magistrati a loro presunte intenzioni politiche invece è intollerabile, ed è esattamente il tasto su cui Berlusconi e la sua maggioranza pigiano da sempre".

Però stavolta le circostanze sono diverse: gli atti giudiziari criticati sono due e colpiscono su due versanti politici, Andreotti e i no-global, diametralmente opposti. E rischiano di aprire la porta a un attacco non contro la politicità, ma contro la professionalità dei magistrati.

I due casi sono distinti e vanno tenuti distinti. L'ordinanza contro i no-global ha una sua evidente gravità, perché rivela una scarsa sensibilità costituzionale dei magistrati che l'hanno emessa. Rispolvera quei reati d'opinione che sono espressione di un'ideologia genuinamente fascista, e che sarebbe tanto più urgente abolire - come Md propone da anni - oggi che, in presenza di una stretta autoritaria, può diventare più forte la tentazione di usarli contro quei pezzi di società che danno segni di insofferenza. Nella storia italiana la criminalizzazione del dissenso è ricorrente, è scattata sulle lotte contadine, operaie e studentesche: non so come siano orientati politicamente i magistrati di Cosenza, ma mi preoccupa che non percepiscano il ritorno di questi antichi umori repressivi.

E la sentenza di Perugia?

Suscita molte perplessità, ma nessuno ha le prove per dire che sia mossa da intenti politici. E' sconcertante che il verdetto di primo grado sia stato ribaltato senza una ricostruzione puntuale di tutti i passaggi, cioè individuando il mandante ma non gli esecutori dell'omicidio di Pecorelli, e senza che intervenisse un solo atto istruttorio nuovo. Su questo punto sono molto d'accordo con il comunicato dell'Anm: il sistema delle impugnazioni ovviamente autorizza il ribaltamento della sentenza di primo grado nel giudizio d'appello, ma è certo che il principio accusatorio su cui si basa il processo di primo grado viene a soffrire quando la sentenza viene ribaltata in appello in base alla mera lettura dei verbali. Bisogna trovare il modo di salvaguardare anche nel processo di secondo grado il principio accusatorio. E poi c'è un altro problema, quello dei giudici popolari. A sinistra c'è difficoltà ad affrontarlo, perché è stata la sinistra a battersi, giustamente, per una maggiore partecipazione popolare alla giustizia. Senonché questa partecipazione è molto limitata, essendo prevista solo nei processi per reati gravissimi. E soprattutto, sul rapporto fra giudici togati e giudici popolari non c'è la chiarezza che sarebbe necessaria: in che misura i giudici popolari riescono a impadronirsi degli strumenti del processo e a sottrarsi agli umori della piazza?

Stai dicendo che i giudici popolari corrono il rischio di essere più sostanzialisti, meno attenti alle garanzie formali del processo?

Sì, perché il giudice togato acquisisce nel tempo la consapevolezza che la verità processuale è l'unica che può proporsi di raggiungere e perseguire, anche qualora intuitivamente colga uno scarto fra la verità processuale e la verità storica. Mentre il giudice popolare questa consavolezza non è detto che ce l'abbia.

Sia l'ordinanza di Cosenza sia la sentenza di Perugia, dunque, sollevano preoccupazioni...

Certo. Ma sarebbe altrettanto preoccupante se suscitassero una reazione di compattamento delle forze politiche su soluzioni di riforma spicce, ispirate dalla volontà della maggioranza di colpire l'indipendenza della magistratura. Se ci sono rischi di interferenza fra giustizia e politica, il problema è rafforzare l'indipendenza deimagistrati, non ridurla.

Prima di parlare di riforma: fra l'ordinanza di Cosenza e la sentenza di Perugia, c'è stata anche la bocciatura da parte della Corte costituzionale dell'istanza sulla costituzionalità delle norme sul trasferimento dei processi inviatale dalla Cassazione. E' un terzo atto giudiziario che pesa sulla situazione, in che modo?

Istanze di questo tipo erano già state presentate in passato alla Cassazione, che le aveva sempre respinte. Che cosa ha spinto la Cassazione, questa volta, ad accettare l'istanza relativa al processo Imi-Sir? La Cassazione si è cacciata in un labirinto che ha messo in cattiva luce il suo operato. E non ce n'era alcuna necessità: poteva ben respingere quell'istanza, sulla scia della sua stessa giurisprudenza.

Ma il rafforzamento della Cassazione, neanche a dirsi, è un punto cruciale della proposta di riforma della maggiooranza...

Infatti. La maggioranza vorrebbe trasformarla in un organo elitario, largamente cooptato dal potere esecutivo, con forti competenze sulla formazione dei magistrati. Coi rischi - che abbiamo messo nero su bianco nel parere del Csm sulla riforma - o di appesantirne il lavoro, di accentuare la distanza fra giudici di merito e giudici di legittimità, di incoraggiare una cultura non pluralista della giurisdizione. Mentre la Cassazione sarebbe sì da riformare, ma imponendo i criteri tabellari nella composizione delle sezioni e un maggior collegamento fra le diverse sezioni. Un esempio, e non il minore, di come sulla riforma della giustizia si scontrino sempre due concezioni: quella che vuole aumentare l'efficienza e la professionalità dei magistrati, e quella che vuole diminuirne l'autonomia. Quella di chi ha contestato la Cirami, e quella dei consiglieri del Principe che l'hanno approvata. Sono due concezioni opposte, non c'è dialogo che possa uniformarle.


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