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Manifesto-Atenei, più iscritti con lauree brevi

Atenei, più iscritti con lauree brevi La riforma del 3+2 Presentato rapporto sullo stato del sistema: più immatricolazioni e laureati, età media di ricercatori e docenti ancora troppo elevata CI...

30/07/2004
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il manifesto

Atenei, più iscritti con lauree brevi
La riforma del 3+2 Presentato rapporto sullo stato del sistema: più immatricolazioni e laureati, età media di ricercatori e docenti ancora troppo elevata
CINZIA GUBBINI
ROMA
Crescono le immatricolazioni e i laureati, ma l'età media di docenti e ricercatori è ancora alta. Il quinto rapporto sullo stato del sistema universitario italiano, presentato ieri a Roma, è la prima fotografia utile - dopo tre anni di applicazione - dell'università italiana post-riforma. Il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (Cnvsu), guidato da Luigi Biggeri, ha registrato un sistema in movimento: lo si evince scorrendo la relazione e le tabelle ricche di numeri importanti per quantità e qualità, cosa rara nei monitoraggi anno per anno. Che la cosiddetta riforma del 3+2 abbia cambiato i connotati dell'università lo sa chiunque la frequenti. Purtroppo il rapporto si limita a mettere in fila gli indicatori di sistema e poco racconta, quindi, dei cambiamenti più profondi che la riforma ha inscritto nello "spirito" degli atenei. Argomento che nei giorni scorsi ha impegnato in botte e risposte piccanti diversi intellettuali su questo e altri giornali. Per non parlare del fatto che la riforma è in via di archiviazione o almeno così vorrebbe il ministro, che ha già cominciato a ri-riformare corsi di laurea considerati più "nobili", come medicina e giurisprudenza.

Tuttavia i "freddi" numeri del rapporto dicono parecchio sulla faccia della nuova università proiettata - in base alle aspirazioni della riforma - nel panorama (e nei parametri) europei. Primo obiettivo raggiunto: aumentano le immatricolazioni, cresciute del 19,6% rispetto al 2001-2002 (ultimo anno pre-riforma). E questo nonostante, nello stesso periodo, si sia verificato un calo demografico dei diciannovenni (età "normale" di iscrizione) di ben 40 mila unità, pari a un meno 5,3%. I nuovi immatricolati si pescano, da un lato, tra i maturandi che hanno una tendenza sempre maggiore a provare la carta dell'università: se prima della riforma si immatricolava un diciannovenne maturando su due (46,7%), dopo la riforma la percentuale è salita al 59,7%. Una tendenza positiva, quindi, anche se bisognerebbe chiedersi quanto non sia conseguenza della cosiddetta "liceizzazione" dell'università. D'altro canto l'aumento delle immatricolazioni è dovuto a un'impennata delle iscrizioni in età "tardiva", il 21% nel 2002-2003, cinque punti sopra il dato dell'anno precedente.

Se le immatricolazioni aumentano, resta alta la percentuale degli abbandoni - cioè delle mancate reiscrizioni dopo il primo anno - ancora attorno al 20%, mentre diminuiscono gli studenti "inattivi", quelli cioè che non riescono a superare neanche un esame in un anno, anche questi intorno al 20%. Osservando che per la prima volta nel 2002-2003, gli abbandoni sono più numerosi degli studenti inattivi, il rapporto ipotizza che da un lato la nuova organizzazione impone un ritmo più regolare allo studente, e d'altro lato tale indicatore può significare che il nuovo sistema scoraggia chi non può permettersi di mantenere quei ritmi (per esempio chi lavora). La percentuale di studenti che, pur essendo iscritti, non fanno esami è inoltre più alta in alcune facoltà, come giurisprudenza o lettere, e molto più bassa in altre, come agraria e medicina. D'altronde la disomogeneità del sistema è un dato strutturale. Le cose variano da ateneo a ateneo, da facoltà a facoltà e da nord a sud. Alti valori di disomogeneità si raggiungono nel capitolo dedicato al diritto allo studio e alle strutture degli atenei (per consultare tutti i dati www.cnsvu.it).

E arriviamo all'indicatore che in genere fa più scena: il numero dei laureati e dei diplomati in corso. Nel 2002 è stata superata la soglia dei 200 mila studenti che hanno conseguito un titolo di studio, a fronte dei 159 mila del 2000 (+26%). Cresce anche il numero di coloro che riescono a laurearsi regolarmente: nel '99 erano il 6,5%, nel 2002 erano il 9,4%.

Se nel comparto studenti l'università italiana dimostra quindi un notevole dinamismo, le cose vanno meno bene nel comparto docenti. Il rapporto mette in luce che i prof universitari sono in media ancora troppo anziani, e anche per i ricercatori non è facile iniziare la carriera da giovani. Tra docenti e ricercatori, l'università italiana conta 57.698. Il numero di ordinari - cresciuto tra il `99 e il 2002 - si è stabilizzato, mentre in tendenza aumentano i ricercatori. Ovviamente qualsiasi tendenza è relativa, visto il blocco delle assunzioni. Le 1.500 deroghe concesse dal ministero hanno soltanto permesso di tamponare il già grave dato dell'invecchiamento del personale docente. Alla fine del 2003 il 57% dei docenti di ruolo aveva più di 50 anni, e per i ricercatori non va meglio. I vincitori dei concorsi per ricercatore e degli idonei chiamati a partire dal `99 fino al 2003 dimostra che la maggior parte dei nuovi ricercatori ha tra i 33 e i 36 anni e che una fascia non irrilevante è entrata nel sistema a 50 anni o più.


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