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“Ma qui in classe i figli di gay sono già uguali”

GLI ALUNNI CON GENITORI OMOSESSUALI VISTI DAI LORO INSEGNANTI . “EVITAVAMO LA PAROLA MAMMA, ORA TUTTO SUPERATO”

30/01/2016
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la Repubblica

LA STORIA

ROMA.
«I figli delle coppie gay? Ragazzi, come tutti gli altri. Non c’è differenza. Le nostre scuole sono già un concentrato di famiglie al plurale…». Lara Pipitone, 45 anni, prof di Lettere alle medie del “Morosini-Manara” di Milano, entusiasmo ancora intatto per il suo lavoro, dice che avere in classe Margherita è stata un’occasione. «Per parlare delle sue due mamme siamo partiti dalla Costituzione, dall’articolo 29, quello sul diritto di famiglia. Ho chiesto ad ogni ragazzo di raccontare di sé, dei propri genitori. Una vera sfida per degli adolescenti. Invece è stato un successo. Si sono sentiti finalmente liberi. Perché di “diversa” secondo i canoni non c’era solo la famiglia di Margherita, ma molte altre... Oggi, in terza media, anche quelli che utilizzavano la parola “gay” come un insulto, hanno messo da parte diffidenze e razzismi ». Storie di un mondo possibile. Di prof e maestre in prima linea nella trincea dell’integrazione. Dove i “figli Arcobaleno”, nati cioè da coppie omosessuali, sono qualcosa di nuovo, è vero, ma all’interno di una galassia di differenze, tra bambini italiani e stranieri, naturali o adottati, sani o con handicap, famiglie unite o separate. «Molti ragazzi non ritenevano possibile che i gay avessero dei figli – racconta Lara Pipitone - hanno voluto sapere tutto, nel dettaglio, ma poi le due mamme sono diventate qualcosa di naturale per la classe, e Margherita si è integrata perfettamente». Il resto sono storie di adolescenti, amici al di là di tutto. «Alla fine dell’anno hanno fatto un grande cartellone spiegando ogni tipo di unione affettiva ». E allora per capire come stanno, i figli delle coppie gay, bisogna entrare nelle scuole, dove la stepchild adoption è una già realtà. Ricorda Rossana Losapio, educatrice al nido comunale “Piccolo girasole” di Roma: «Quando è arrivato Andrea, due anni, con i suoi papà, avevamo paura, eravamo piene di dubbi e di pregiudizi, ci chiedevamo se al bambino non mancasse una figura femminile, addirittura per non ferirlo evitavamo di leggere favole con la parola mamma...Invece proprio i papà ci suggerirono di essere noi stesse, di non censurarci in alcun modo». Rossana ammette di essersi fatta molte domande. «Però quello che vedevo era un bambino sereno e amato, e mi sono chiesta chi siamo noi per dire se è giusto o sbagliato, e adesso che ho altre due bimbe “arcobaleno” al nido, direi che ci sono tutte le premesse per uno sviluppo affettivo sano».
Simona Strumia e Paola Piccotto sono le insegnanti di Emma, otto anni, figlia di Elena e Paola, scuola elementare “Altiero Spinelli” di Torino. «Per noi Emma ha due mamme, non c’è mai stata discriminazione tra l’una e l’altra. Con Emma, così come facciamo sempre all’inizio dello studio della Storia, abbiamo ricostruito in classe l’albero genealogico della famiglia. E lei ha potuto in questo modo “presentare” le sue due madri, una differenza tra le tante, così come, ad esempio, un bambino adottato aveva raccontato anche lui di avere due mamme, quella della pancia e quella del cuore…». L’integrazione però non è scontata. Davide è insegnante in una media di Treviso. «Nella mia classe c’è Ugo, ha due padri, è intelligente ma timido. La scuola riconosce soltanto il genitore legale, e i prof sono stati ostili fin da subito. Ho sentito giudizi pesanti, quasi omofobi. Per Ugo è stata dura. Ma i due padri hanno invece aperto le porte della loro casa, si sono presentati a tutti i genitori. E oggi, nonostante tutto, Ugo si è integrato».

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