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Liberazione-Una sola scuola pubblica. O venti?

In questi giorni si stanno sottoscrivendo intese bilaterali tra lo Stato e le singole regioni Una sola scuola pubblica. O venti? Per le regioni governate dal centrosinistra, la scusa è qu...

01/08/2003
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Liberazione

In questi giorni si stanno sottoscrivendo intese bilaterali tra lo Stato e le singole regioni
Una sola scuola pubblica. O venti?
Per le regioni governate dal centrosinistra, la scusa è quella di contrastare la controriforma Moratti, per quelle governate dal centrodestra invece è quella di sperimentarne la parte che riguarda la scuola superiore - con la precoce canalizzazione, alla fine delle medie, nel sistema nazionale dei licei o in quello regionale d'istruzione e formazione professionale. Fatto sta che in questi giorni, a scuole chiuse, come sempre in questi casi, si stanno sottoscrivendo intese bilaterali tra lo Stato e le singole regioni, in relazione all'accordo tra governo, regioni ed enti locali del 19 giugno 2003.
Il fine dichiarato è quello di riempire il vuoto legislativo prodotto dall'abrogazione della legge che stabiliva l'obbligo scolastico fino ai quindici anni. Solo un pretesto, perché, come osserva anche la Cgil scuola, se "'. nessuno può obbligare adesso i quattordicenni ad iscriversi a corsi scolastici", si torna alla sola copertura della scuola elementare e media. Dunque, mentre nella gran parte dei paesi europei si afferma la tendenza all'innalzamento dell'obbligo scolstico, in Italia siamo all'abbassamento. Insomma, una vergogna, che questo furbesco Miur e la sua ministra tentano di occultare con la faccenda del vuoto legislativo, fingendo di rattopparlo con le intese bilaterali Stato/regioni. Queste intese rischiano di aggravare la situazione, perché mettono nelle mani di istituzioni "incompetenti", le regioni appunto, l'onere di provvedere al problema del vuoto legislativo sulla riforma, con provvedimenti a carattere sperimentale e transitorio (per fortuna!).

Un esperimento pericoloso
Invece di respingere al mittente l'operazione del governo, tesa a sperimentare la riforma e quindi a sostenerla ed applicarla in modo surrettizio, le regioni governate dal centrosinistra hanno pensato bene d'inserirsi nel contesto, per introdurre elementi che fanno riferimento alla propria idea di riforma, della quale l'integrazione tra scuola e formazione professionale sembra il punto caratterizzante.

Nessuna opposizione radicale nei confronti della riforma Moratti dunque, ma la proposizione di provvedimenti tutto sommato ad essa interni, che non possono modificarne gli aspetti più aberranti, stante il carattere ancora nazionale del sistema d'istruzione, come sancisce anche il nuovo titolo quinto della Costituzione. In compenso aumenta il peso della formazione professionale, che viene integrata nell'istruzione, ovvero il privato nel pubblico, l'addestramento nella formazione culturale.

Il rischio di aprire varchi alla realizzazione di venti sistemi regionali diversi ed all'abolizione del valore legale del titolo di studio è sempre più forte. Del resto l'accumulo di crediti formativi, conseguiti qua e là e persino in attività lavorative, è molto più funzionale ad una manodopera flessibile di un titolo di studio valido da Trento a Palermo.

In questa situazione sembra difficile rilanciare un'idea di riforma che riprenda il filo di quelle migliori fin qui realizzate, come quella delle scuole elementari. Sembra sempre più difficile contrastare la selezione di classe, che oggi viene riproposta con le nuove forme dell'impoverimento e della subalternità culturale. Eppure come si fa a negare, proprio in questa fase, l'attualità dell'innalzamento dell'obbligo scolastico a diciotto anni, la necessità dell'adeguamento dei programmi formativi alla realtà di una società complessa, al bisogno sociale di un sapere maggiore e più critico, al bisogno di ripensare tempi e modi dell'apprendimento, della comunicazione e della relazione nelle scuole?

Negli appuntamenti internazionali del movimento, questi sono i temi che avanzano e sempre più i soggetti che vi partecipano per l'Italia sembrano intendersi su questi terreni. Soggetti che fino a poco tempo fa neanche si parlavano. Si configura perciò la possibilità che uno schieramento ampio, che va dalla Cgil ai Cobas, da Legambiente a varie organizzazioni studentesche, ritrovi un punto di vista comune utile anche per la situazione italiana.

Esiste ancora una "situazione italiana", o il processo di frantumazione del sistema scolastico, al quale leggi o protocolli d'intesa regionali forniscono un'accelerazione, è arrivato ad un tale livello, da rendere impraticabile la resistenza per salvaguardare il carattere nazionale dell'istruzione e rilanciare su questo terreno un progetto di riforma alternativa?

Questa domanda è stata posta recentemente ed autorevolmente anche nel nostro partito, ed apre una discussione che deve avere, a mio avviso, un carattere laico ed aperto.

Allo stesso tempo questa riflessione non ci può impedire di praticare una linea politica chiara ed identificabile sulla scuola, pena la perdita di quella credibilità tanto faticosamente conquistata e con il rischio per di più di ritrovarci un partito connotato in modo diverso da regione a regione e da una linea politica nazionale a dir poco appannata.

Il vincolo costituzionale
Nel merito, a parte il non irrilevante vincolo costituzionale sul sistema scolastico, mi sembra che il valore della scuola pubblica nazionale, sul quale è incardinato il diritto allo studio, sia ancora vissuto in modo fortissimo nel senso comune, così come la dimensione professionale degli insegnanti ha ancora un forte carattere nazionale.

Nello stesso schieramento governativo, la posizione leghista su questo terreno non è certo maggioritaria, mentre la passione federalista è forse più diffusa nel centrosinistra.

L'articolazione dell'iniziativa su questioni come questa, di carattere istituzionale, nel momento in cui si desse obiettivi diversificati, a livello territoriale, metterebbe in discussione proprio il valore istituzionale della scuola, indebolendo così la forza del diritto universale, che, se come tale è riconosciuto, deve essere salvaguardato su tutto il territorio nazionale.

Che forza avrebbe in caso contrario la richiesta di strutture idonee per tutti e ovunque o la pretesa della libertà d'insegnamento, sancita dalla Costituzione? Dove finirebbero il contratto nazionale del personale, ancora indiscusso come tale per questa categoria, o i metodi didattici e i blocchi programmatici comuni dal Piemonte alla Calabria? Che fine farebbe il valore legale del titolo di studio, che fa del sistema d'istruzione la parte più rilevante di ogni identità nazionale?

Certo, viviamo una fase politica di grande complessità e difficoltà, in cui la ricerca è d'obbligo, anche per un partito. Un partito pluralista, che deve salvaguardare la libertà d'espressione al proprio interno e allo stesso tempo però deve presentarsi all'esterno con un'identità riconoscibile ed una capacità d'iniziativa comune, per essere credibile ed efficace. Questa è forse la sfida più ardua che abbiamo davanti.

Loredana Fraleone


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