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Liberazione-Don Milani fa ancora scandalo

"I care" trimestrale di cultura milaniana. A colloquio con il direttore Piero Cappelli Don Milani fa ancora scandalo Un corso universitario su don Lorenzo Milani? Rivolgetevi all'ateneo di T...

03/10/2003
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Liberazione

"I care" trimestrale di cultura milaniana. A colloquio con il direttore Piero Cappelli
Don Milani fa ancora scandalo
Un corso universitario su don Lorenzo Milani? Rivolgetevi all'ateneo di Tokyo, là ne hanno organizzato uno. In Italia invece il prete educatore di Barbiana si è conquistato molte tesi di laurea ma nessuna università gli sta dedicando un ciclo di lezioni. O almeno non risulta ai "milaniani" di I care, la rivista trimestrale nata a giugno negli anniversari di nascita e morte del sacerdote fiorentino. "L'idea è maturata casualmente tra me e l'editore Renato Saggiorato; l'abbiamo realizzata grazie a lui e ai contatti con alcuni ambienti fiorentini interessati a don Milani", racconta Piero Cappelli che ne è direttore. La sua passione per il prete di Barbiana è cominciata sui libri - ha 46 anni -; poi l'ha riversata nell'impegno politico tra i "cristiano sociali" e nel giornalismo.
Un articolo sulla odierna esclusione nella scuola, un altro sulla figura di prete incarnata da don Lorenzo, una rubrica di José Luis Corzo Toral alla scoperta dei molti sorprendenti studi milaniani nel mondo, una ricognizione curata da Maurizio Di Giacomo sulle novità di stampa e on line che trattano di quella esperienza. Insomma, si capisce al primo sfogliar di pagine che I care non è il pensatoio per una cerchia ristretta di cultori; un oggetto del genere sarebbe davvero poco milaniano. "Si propone invece come un laboratorio", ci spiega Cappelli, "offriamo un forum in cui a nessuno verrà tolta la parola, neppure a chi parla male di don Lorenzo". La rivista vuole camminare tra i giovani, soprattutto "quelli più offesi, nei riformatori, nelle carceri, nelle aree di disagio". Punta inoltre ad entrare nelle scuole, con l'obiettivo tra l'altro di istituire un premio intitolato al sacerdote. Più che la diffusione cerca l'impegno.

Don Milani organizzò i corsi serali per i giovani operai di Calenzano e successivamente, esiliato dalle gerarchie tra i monti di Barbiana, quella scuola popolare che ha attraversato il Sessantotto con "Lettera ad una professoressa", ovvero come svelare la selezione tra ricchi e poveri, perché "non c'è nulla di più ingiusto quanto far parti uguali tra diseguali". Degli scandali il priore non aveva timore, fino al punto di farsi trascinare in tribunale dai cappellani militari per aver sostenuto che l'obbedienza non è più una virtù e aver difeso gli obiettori di coscienza.

Sono anni ormai lontani. E' stato dimenticato don Milani? Che cosa sanno di lui i giovani? Cappelli parla di "silenzio assordante", però avverte che dietro l'oblio ci sono dei colpevoli. "Il silenzio fa parte dei criteri di selezione nella formazione e nell'informazione". Il fatto è che don Milani può fare ancora tremare il pensiero dominante. Il direttore di I care spiega: "Crea scandalo la capacità di essere trasparenti, al servizio della verità, dire pane al pane e vino al vino. Il sistema informativo dovrebbe recitare il mea culpa. Per conoscere la realtà dobbiamo sempre affidarci alla buona volontà di qualche singolo giornalista che sia disposto a rompere il cliché. Scandaloso è anche il suo detto "meglio la scuola della merda". Oggi ci si domanda forse quale formazione debba dare la scuola o invece si dibatte soltanto su interessi di parte?"

Contrastare la guerra, educare a pensare con la propria testa, dare la parola a chi ne è privato: sono alcune ragioni di attualità del prete di Barbiana elencate da Gian Franco Riccioni nel primo numero di I care. Sì, perché - sottolinea Cappelli - la testimonianza di Milani va "attualizzata e riproposta" in particolare in campo educativo. "Nell'interpretazione della società post-industriale e post-borghese - prosegue - dobbiamo coniare un nuovo modo di ricostruire la società attraverso la formazione delle generazioni. E oggi i giovani devono appunto recuperare il senso di autenticità, di sincerità del proprio esistere. Milani voleva che le persone fossero se stesse, lui lo era con il suo modo talvolta anche un po' prepotente".

Ecco dunque come è possibile definirsi "milaniani" quaranta anni dopo, conclude Cappelli. "Essere al servizio della verità, e non soltanto in senso cristiano. Don Lorenzo ne era un pioniere. Noi ci sentiamo milaniani perché avvertiamo questo bisogno di verità e giustizia". E magari poi si scopre che dietro apparenti dimenticanze "ovunque ti giri c'è qualcuno che ha ricevuto qualcosa dal prete maestro di Barbiana, anche solo un concetto o una frase".

Fulvio Fania


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