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Le università (e gli studenti) del Sud condannati a giocare in serie B

Stefano Semplici, docente di Etica sociale a Tor Vergata: «Il sistema di valutazione degli atenei pensato per premiare il merito si è tradotto in un campionato che aumenta il ritardo delle aree del Paese già svantaggiate. Tradendo la Costituzione italiana»

27/04/2016
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Corriere della sera

Tutti chiedono che lo Stato promuova «lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica», come indicato dall’art. 9 della Costituzione. Ma come ottenere questo risultato? Il conflitto che si è aperto nelle nostre università intorno alla «campagna» per la Valutazione della Qualità della Ricerca 2011-2014 è anche sulla risposta a questa domanda. In questi anni si è imposta la tesi secondo la quale è la competizione l’unico strumento davvero efficace e per questo i professori e i loro dipartimenti vengono valutati. Il governo ha ribadito più volte l’intenzione di aumentare ulteriormente la cosiddetta quota «premiale» del finanziamento alle università. Il premio si assegna sulla base di classifiche: si partecipa a questo campionato presentando «prodotti» che possano essere trasformati in numeri, perché il resto è rumore di fondo. E non basta aver fatto bene il proprio lavoro, perché quel che conta per essere premiati è farlo meglio degli altri.

Il campionato e Luigi Einaudi

Il campionato è in corso e una percentuale non trascurabile di «addetti» (come vengono chiamati i professori) ha tentato e tenta di fermarlo. Si tratta semplicemente di baroni abbarbicati alla difesa di interessi inconfessabili? Anche questo è un interrogativo del quale varrebbe la pena di occuparsi. L’opinione pubblica appare oppressa da altre e più urgenti preoccupazioni. Su tutti, però, ricadranno le conseguenze di quanto sta accadendo. Luigi Einaudi spiegava che è bene che una parte delle spese per l’università venga pagata con le tasse di tutti i cittadini, appunto perché tutti godranno dei vantaggi di una istruzione superiore di qualità, «sotto forma di giustizia resa, di vite salvate, di costruzioni edilizie sicure». Due di queste conseguenze, in particolare, hanno un preciso rilievo costituzionale.

Il merito che allarga la forbice Nord-Sud

L’affermazione che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» apre l’articolo 33 della Costituzione, nel capitolo della sua prima parte dedicato ai rapporti etico-sociali. Essa segue gli articoli dedicati alla famiglia e quello sulla salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. L’idea è chiara. Questa libertà genera «merito» a partire da opportunità che sono date a tutti e per dare a tutti più opportunità. Si riconosce cioè che la scienza e le sue istituzioni sono un vettore di crescita non solo economica, ma anche civile e di legame. Oggi si parla della «terza missione» dell’università proprio per sottolineare questo duplice aspetto. Ed è in questa prospettiva che, qualche mese fa, un gruppo di docenti del Politecnico di Milano si è rivolto al Capo dello Stato per ricordare il dovere di garantire un accesso alla ricerca e all’alta formazione equamente distribuito su tutto il territorio nazionale. Il campionato delle università non produce questa equità e rischia al contrario di allargare le distanze fra i territori del nostro paese, togliendo risorse a chi ne avrebbe più bisogno. Buone università aiutano a far crescere il capitale sociale insieme a quello umano e dunque buone imprese, buona amministrazione, buoni ospedali. Ricordare questa elementare verità non significa ripetere gli errori di chi ha assecondato la logica secondo la quale ogni campanile aveva diritto almeno a qualche facoltà, ma usare la valutazione, prima ancora che per premiare e punire, per individuare le debolezze del sistema, intervenire con efficacia e sostenere anche attraverso le nostre università lo sviluppo di tutto il paese. Questo dovere della politica è stato riconosciuto dallo stesso Presidente del Consiglio, che, rispondendo ai vincitori dei bandi europei emigrati, ha annunciato «la creazione di infrastrutture che producano attrattività e mobilità su tutto il territorio nazionale, in particolare al Sud».

Università di serie A e B: ma la conoscenza non è una partita di calcio

La sfida dell’art. 34 della Costituzione è ancora più semplice. Il campionato e le sue classifiche possono facilmente portare alla creazione di una serie A (con poche squadre) e di una serie B, per usare un linguaggio ormai diffuso fra gli stessi addetti ai lavori. Anche gli studenti «giocheranno» dunque in serie A o in serie B, a seconda dell’università che potranno frequentare. Magari con il corollario che di serie A e di serie B saranno i percorsi professionali che potranno poi intraprendere. Ma «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». I mezzi, mano a mano che il campionato mieterà le sue vittime, faranno sempre più la differenza, perché non tutte le famiglie possono permettersi un «fuori sede». La Conferenza dei Rettori, in occasione della giornata per la Primavera dell’Università del 21 marzo, ha ricordato che gli strumenti del diritto allo studio sono un oggetto sconosciuto per la quasi totalità degli studenti italiani, a differenza di quello che accade in paesi come la Francia e la Germania. In questo modo, però, è chiaro che per molti il campionato (della vita) sarà perso prima ancora di cominciare. È davvero arduo immaginare che possa essere questa la strada verso la cultura del merito, che la nostra Costituzione non ci consente di pensare senza la cultura dell’equità.


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