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Le parole e i fatti

di Marina Boscaino

20/01/2011
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da Adista

Nell’anno scolastico 2008/9 – ultimi dati Miur rilevati – gli studenti che frequentavano la scuola dell’infanzia con cittadinanza non italiana erano 125.092; la primaria 234.206; l’istruzione secondaria di I grado 140.050; le superiori 13.012: più di mezzo milione di bambini e ragazzi che entrano nella nostra scuola, seguendo un percorso certamente difficoltoso, considerando le diverse provenienze, la difficoltà della nostra lingua, la loro origine sociale, quasi sempre svantaggiata.
Un recente studio del Gruppo Abele in proposito ha evidenziato le difficoltà incontrate soprattutto da quei ragazzi che entrano nella scuola dopo aver frequentato nel proprio Paese: oltre a dover affrontare il trauma del cambiamento e le problematiche di cui si dicevano, hanno anche l’onere di inserirsi in una socialità già formata, non sempre disposta ad accoglierli adeguatamente.
è questo di uno degli ambiti in cui gli insegnanti hanno dovuto fare da sé, bricoleurs dell’integrazione, senza specifiche competenze, basandosi su istinto, buon senso, buona volontà. infatti, non esistono – o sono pochissimo diffuse – nella scuola italiana “figure professionali di sistema” che, grazie a profili professionali specializzati, siano in grado di svolgere un’azione di mediazione significativa e specificamente competente per far fronte ai tanti problemi. Non esistono competenze ordinarie, generalizzate, ma modi soggettivi e autodeterminati di affrontare la situazione.
La Camera sta procedendo ad un’indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all’accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel nostro sistema scolastico, evidenziando come sia necessario “affrontare seriamente la formazione iniziale di tutto il personale, i protocolli di accoglienza, l’apprendimento della lingua italiana, il coinvolgimento di tutti i genitori, il lavoro di rete nelle comunità locali e, in ultimo, anche il contenuto dei saperi”. Indicazioni che, allo stato dei fatti, non sembrano essere destinate all’adeguata considerazione.
Ecco, questo è il nostro Paese: si parla di Cittadinanza e Costituzione – una disciplina che troverebbe il proprio senso non solo in una trasversalità che non tutti gli insegnanti praticano, ma in uno specifico approfondimento della conoscenza della nostra legge principale e del progetto di società giusta che essa individua – e, nello stesso tempo, le ore destinate non solo non vengono definite dopo l’annuncio ma, anzi, vengono tagliate quelle di Storia e Diritto, le materie più contigue a quell’insegnamento.
Si parla di mondo globale, ma non si comprende che perché questa diventi una realtà concreta che implementa la convivenza pacifica ed operosa tra le differenti provenienze, occorre alimentare – individuandole e finanziandole – energie e professionalità. Occorrono investimenti culturali, creazione di competenze, sviluppo delle capacità di mediazione e di relazione.
Occorrono investimenti economici. Quello che ci troviamo in mano, al momento, è il taglio di 8 miliardi di euro e 140mila posti di lavoro, tra le cattedre “tradizionali” e il tradizionale personale Ata.
La strada, è evidente, non è quella giusta.

 

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