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Laurearsi in fretta per lavorare prima? "Spesso non conviene"

Gli esperti del mondo delle imprese: "In piena crisi economica è meglio formarsi per un posto all'altezza degli studi effettuati che non accettare il primo impiego". Ma l'età media di uscita dall'università continua a scendere, con voti più bassi. Poletti corregge: "Non ho mai pensato che i giovani italiani siano choosy o bamboccioni".

29/11/2015
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la Repubblica

"Non ho mai pensato che i giovani italiani siano choosy o bamboccioni. Anzi, ho sempre espresso e continuo a nutrire molta fiducia in loro e i tanti incontri di ieri a Verona mi hanno confermato in questa convinzione. Penso anche che laurearsi presto e con buoni voti sia un'ottima cosa". Così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, dopo il clamore del suo intervento di ieri a Job&Orienta a Verona dove aveva dichiarato che "prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21 anni".
 
E' meglio laurearsi con il massimo dei voti e andare un po' fuori corso o è preferibile andare di fretta e rinunciare al bel voto? Il quesito, che contrappone due posizioni estreme, ogni tanto riemerge. Così come riemerge quello che riguarda la scelta delle scuole superiori: serve o non serve andare a studiare a un liceo classico per affrontare al meglio la società? Entrambi i quesiti sembrano rimandare, forse senza renderlo esplicito, a un altro quesito: è meglio arrivare al più presto possibile sul mercato del lavoro con le competenze che il mercato chiede in quel momento o è meglio aspettare qualcosa in più e prepararsi anche a affrontare le sfide del medio e lungo periodo?
 
Ma partiamo dal principio. Di fatto, i giovani laureati a che età arrivano al traguardo? Secondo l'indagine di AlmaLaurea nel 2015, l'età media con cui i ragazzi e le ragazze arrivano a conseguire il titolo è pari a 26,5 anni. Nell'insieme vengono considerati sia coloro che raggiungono la laurea breve, sia quella magistrale e la specialistica. Ci sono sia i ragazzi che arrivano dalle superiori, sia quelli che conseguono il titolo anche dopo aver compiuti diversi percorsi. In particolare, quelli che riescono entro i 24 anni sono quasi la metà (il 48,6 per cento). Non sembrano pochi. Poi c'è un altro 24 per cento che ci riesce a farlo tra 25 e 26 anni. Il 27,5 per cento di loro ha 27 anni e più. Di fatto oggi, il 72 per cento dei ragazzi riesce a laurearsi entro i 26 anni.
 
Ma a che età si laureavano i ragazzi dieci anni fa? Nel 2005, l'età media alla laurea era di 27,3 anni. In dieci anni, così, l'età media alla laurea si è abbassato di quasi un anno. Quindici anni fa, l'età media alla laurea era ancora più alta e pari a 28 anni. Nel 2002, solo il 53 per cento dei laureati riusciva a raggiungere il termine degli studi entro i 26 anni.
 
Il calo dell'età in tutti questi anni, dicono gli esperti di AlmaLaurea è dovuto al fatto che si è ridimensionata l’età all’immatricolazione, alla diminuzione della durata legale dei corsi e alla forte riduzione del ritardo alla laurea, sceso in media da 2,9 a 1,3 anni. Ovviamente i dettagli dei singoli corsi sono molti diversi, ma nel complesso, ribadiscono i dati di AlmaLaurea, la regolarità negli studi è legata a più fattori: al background socio culturale, al percorso e alla riuscita negli studi scolastici, al gruppo disciplinare e al fatto se si lavora durante gli studi.
 
Quanto ai voti con cui i giovani arrivano alla laurea, i dati ci restituiscono un profilo  interessante. Nel 2015 il voto medio di laurea è stato pari a 102,2 mentre nel 2005 il voto medio era pari a 103. In dieci anni, quindi quasi un punto in meno. Di fatto, in questi anni, l'università non sembra stare educando i ragazzi a rimanere di più e con voti alti, ma semmai li sta spingendo a fare il contrario. Li sta spingendo a laurearsi prima, anche a costo di avere voti più bassi.
 
Ma poi, con una laurea in tasca cosa deve fare un giovane? E' per lui meglio accettare qualsiasi lavoro o trovare la giusta mediazione? In tempi di crisi come questi, i direttori del personale suggeriscono di accettare un lavoro ove le competenze, conoscenze e capacità magari non saranno sfruttate, ma almeno si potrà entrare nell'azienda cominciando a conoscerla e farsi conoscere dall'imprenditore pure se svolgendo un ruolo non adatto a lui. Però allo stesso tempo, il 65 per cento dei direttori del personale suggeriscono che in piena crisi economica, per un giovane neolaureato, è meglio un corso di formazione che un impiego che non ha a che fare con il suo percorso formativo e di esperienza. Quindi, meglio aspettare, meglio la pazienza alla fretta.
 
Per alcuni è opportuno raccomandare ai ragazzi di andar di fretta, fare studi tecnici semmai, e offrirsi subito al mercato con competenze chiare, nette e definite. Prendere un voto basso, prendere il primo posto e via. Il ragionamento, spesso portato avanti dai rappresentanti delle imprese, appare inappuntabile, eppure le cose sembrano più complesse. Non sempre infatti arrivare presto, con qualcosa di già pronto, non sempre presentarsi come quel che chiedono le imprese in quel momento, aiuta a fare dei passi che permettono di salire, nel modo più stabile possibile, lungo la scala del proprio percorso professionale.
 
Molti di questi profili richiesti dalle imprese (qualcuno si ricorda i tempi della bolla di Internet?) hanno infatti il problema che le loro competenze invecchiano rapidamente e le stesse imprese, nella corsa rapida che intraprendono nella competizione con il mercato, non sempre si danno da fare per dare ai loro dipendenti gli aggiornamenti che servono. Semmai alle volte, preferiscono tornare a attingere al mercato, alle nuove risorse, a quelli che sono appena arrivati con nuove competenze nette, chiare e definite.
 
Agli interrogativi posti non ci sono risposte inequivocabili, semmai è bene che suscitono riflessioni, anche a partire dai dati. Forse quel che sembra più importante sottolineare è che, in tempi di crisi, nonostante tutto, quelli

che hanno risposto meglio alla crisi, sono stati i laureati e non i diplomati. I laureati, che pur tra crescenti e nuove difficoltà, con i loro saperi non sempre così spendibili immediatamente, godono ancora di un tasso di occupazione più elevato, di oltre 12 punti percentuali.


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