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La Stampa-Volevamo cambiare la scuola

TESTIMONIANZA: L'ASSESSORE ALLA CULTURA "Volevamo cambiare la scuola" L'insegnamento alle Vallette all'inizio degli Anni 60 l'incontro con De Bartolomeis, la nascita dell'Mce e del tempo pieno: ...

29/11/2002
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La Stampa

TESTIMONIANZA: L'ASSESSORE ALLA CULTURA
"Volevamo cambiare la scuola"
L'insegnamento alle Vallette all'inizio degli Anni 60 l'incontro con De Bartolomeis, la nascita dell'Mce e del tempo pieno: così la politica entrò nelle aule

Il 1° settembre `62 ero già insegnante di ruolo alla scuola Nino Costa ai bordi delle Vallette. Non avevo ancora 19 anni: mi fu assegnata una classe terza di 38 alunni, tutti maschi, alcuni poco più giovani di me. Parallelamente iniziai gli studi universitari a Magistero e conobbi Francesco De Bartolomeis, che mi propose di partecipare a un gruppo di ricerca sulle tecniche Freinet. Aderii al Movimento di Cooperazione Educativa, da cui la mia didattica fu subito influenzata. Le tecniche Freinet - il testo libero, il giornale di classe, la corrispondenza tra scuole lontane - miravano a creare le condizioni affinché i bambini considerassero la scuola un ambiente allettante: pitturassero, cantassero, recitassero. Era una fortuna, fare "Il mestiere di maestro" in quegli anni, tanto che dicevo che avrei dovuto pagare io lo Stato per la gioia che provavo ogni mattina. Una gioia pura, che scaturiva dal divertimento personale nello scoprire e riscoprire il mondo insieme a bambini interessati a tutto, che facevano i capricci la domenica perché i genitori non li portavano a scuola. Nella seconda metà degli Anni Sessanta si innestò su queste fondamenta un interesse nuovo, di provenienza anglosassone, rivolto alla struttura delle materie, dalla matematica moderna alla linguistica. Prendemmo l'abitudine di continuare l'attività il pomeriggio, comprando con i nostri soldi sussidi come i colori o la creta, gli strumenti per i laboratori o gli animali per gli acquari e le voliere. Nacque così il tempo pieno torinese, per motivazioni pedagogico-didattiche più che socio-assistenziali. Fino ad allora s'era evitato il dibattito politico, non considerato come fonte da cui dovessero provenire gli indirizzi della scuola, in cui il `68 arrivò come uno choc. La nuova scuola ebbe come bandiera, oltre a "Lettera a una professoressa" di don Milani, "Il paese sbagliato" di Mario Lodi, secondo il quale la scuola era fatta per formare uomini-servi più che uomini liberi: "Ai bambini - scriveva - comandano tutti: i genitori a casa, il prete in chiesa, il maestro a scuola; poi comanderà il sergente al soldato e infine il padrone in fabbrica". Ci parve che nella società si combattesse l'ultima battaglia tra capitalisti e proletari, tra padroni ed operai. Noi, che da tempo lavoravamo per lo sviluppo libero e creativo del bambino non potevamo più tenerci fuori dalla politica. Di qui la scuola come imitazione della lotta politica, a somiglianza del corteo, la cellula, il collettivo. Questa vacanza nella supremazia dell'ideologico fu brevissima. Se ne uscì tornando allo specifico educativo. Il piacere provato negli anni precedenti fece riemergere la convinzione che il modo migliore per fare una politica utile alla classe operaia fosse rilanciare la nostra arte di rendere la scuola un momento memorabile per gli alunni, e un atelier creativo per gli insegnanti. Lo sforzo non banale di aggiustamento tra le nuove conquiste ideologiche e le antiche passioni didattiche prese la fisionomia della scuola a tempo pieno, che possiamo considerare il vero precipitato del `68 nella nostra scuola di base.


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