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La Stampa-LIMITI DELLA RIFORMA MORATTI SCUOLA DISUGUALE

LIMITI DELLA RIFORMA MORATTI SCUOLA DISUGUALE 21/2/2003 L'ITALIA è uno dei paesi in cui l'origine familiare gioca un peso rilevantissimo sul destino dei figli: dal successo nella scuola nell'o...

21/02/2003
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La Stampa

LIMITI DELLA RIFORMA MORATTI SCUOLA DISUGUALE

21/2/2003

L'ITALIA è uno dei paesi in cui l'origine familiare gioca un peso rilevantissimo sul destino dei figli: dal successo nella scuola nell'obbligo, alla possibilità di continuare la formazione e di acquisire competenze adeguate non già solo alla condizione sociale, ma alle proprie capacità e desideri. La scuola italiana da questo punto di vista si è rivelata singolarmente poco capace di spezzare questo filo stretto tra posizione sociale dei genitori e destino scolastico e poi professionale dei figli. La distribuzione dei ragazzi e ragazze per tipi e ordini di scuola poco ha a che fare con le loro capacità individuali, molto con la posizione sociale dei genitori e talvolta anche il posto dove abitano: se in un paese l'unica scuola media superiore è l'Istituto per geometri, tutti i fortunati che possono proseguire gli studi ma non hanno una famiglia abbiente alle spalle faranno i geometri. La riforma Moratti approvata in questi giorni dalla Camera rafforzerà ulteriormente questo meccanismo di riproduzione intergenerazionale delle disuguaglianze che spegne, o riduce fortemente, sia le legittime aspettative delle giovani generazioni circa il proprio futuro, sia la possibilità di valorizzare appieno le capacità di tutti. Nonostante si parli, al secondo articolo della legge, che "sono assicurate a tutti le pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze", la netta divisione in due settori formativi, quello dei licei e quello della formazione professionale, irrigidisce ulteriormente, rispetto alla situazione esistente, i percorsi e le opportunità dei ragazzi di classi sociali diverse al termine della scuola media. Là dove la legge Berlinguer intendeva omogeneizzare le esperienze formative per un tempo più lungo, qui viceversa si ribadiscono i confini. Che sono invalicabili nonostante la foglia di fico della possibilità formale di passare da un percorso all'altro. Chi, non aiutato dalla scuola di base e segnato dalla origine sociale sarà finito nel percorso professionale perché "non aveva voglia di studiare", ed "era meglio che imparasse un lavoro" difficilmente riuscirà ad attraversare quel confine, a recuperare le conoscenze necessarie. Così come sarà difficile che avvenga il percorso inverso, qualsiasi siano le caratteristiche dei ragazzi. Si potrà dire che non c'è gerarchia tra i percorsi, che entrambi sono ugualmente degni. Sarebbe, forse, vero, se non sapessimo, appunto, che il legame tra la classe sociale, la famiglia di origine e le scelte scolastiche è strettissimo. Non è in funzione nessun principio meritocratico, ma solo un vecchio meccanismo classista. Avevamo bisogno di una scuola che investisse di più nel riconoscere e valorizzare le capacità delle giovani generazioni, a prescindere dalla loro origine sociale, che non sprecasse risorse umane e speranze per il futuro. Invece abbiamo una riforma che ribadisce ed esalta una caratteristica non proprio positiva della società italiana: il suo immobilismo sociale.

Chiara Saraceno


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