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La Stampa-L'ANALISI DI VERTECCHI, EX PRESIDENTE DELL'ISTITUTO CHE VALUTA L'EFFICIENZA DELL'ISTRUZIONE

L'ANALISI DI VERTECCHI, EX PRESIDENTE DELL'ISTITUTO CHE VALUTA L'EFFICIENZA DELL'ISTRUZIONE "Solo il sistema all'americana è una garanzia assoluta" "Meglio le valutazioni esterne, con esperti ch...

24/01/2003
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La Stampa

L'ANALISI DI VERTECCHI, EX PRESIDENTE DELL'ISTITUTO CHE VALUTA L'EFFICIENZA DELL'ISTRUZIONE
"Solo il sistema all'americana è una garanzia assoluta"
"Meglio le valutazioni esterne, con esperti che non conoscono i candidati"

24/1/2003

ROMA PER molto tempo presidente dell'Invalsi, l'istituto che si occupa della valutazione del sistema di istruzione, Benedetto Vertecchi - ordinario di pedagogia sperimentale nella terza università di Roma - guarda con un certo scetticismo alla proposta di Letizia Moratti, non perché non persegua una giusta finalità, quella del rinnovamento del mondo accademico italiano, ma perché, affidando troppo al localismo campanilistico delle singole università e alla scarsa oggettività dei sistemi di valutazione, consente ancora e sempre il perpetuarsi di cordate, per non dire baronie, per non dire - addirittura - mafie.

Professore, valutazione nazionale per tutti i docenti. Università che possono attingere solo all'elenco degli idonei. Due "periodi di prova" di tre anni. E' una bella selezione, non trova?

"Non trovo che sia così. Se la valutazione non è oggettiva ed è invece largamente discrezionale, se la devo fare io rispetto ai lavori di un collega che conosco da anni e anni, come vuole che sia rigorosa? Avrò sempre delle preferenze, delle simpatie, delle convenienze".

Delle logiche da barone, vuole dire?

"Non vorrei mancare di riguardo a nessuno, ma insomma parliamo di cose che sono accadute, mi pare".

E come ne veniamo a capo?

"Come hanno fatto ovunque nel mondo civile e sviluppato, e cioè con un rigoroso sistema di accreditamento, che funziona così: io sono, indifferentemente, un vecchio professore o un giovanissimo studioso, faccio un mio lavoro e lo invio ad una delle riviste accreditate per autorevolezza. Lì un gruppo di esperti "ciechi", i cui nomi sono tenuti riservati, giudica la qualità del mio lavoro e decide se pubblicarlo o no. Se lo pubblica, il lavoro ottiene una grandissima diffusione tra la comunità scientifica, e tutti si possono rendere conto se vale effettivamente o no. Ecco, questo sistema consente di valutare una ricerca, oggettivamente e da parte di soggetti esterni all'università. Poi a questo mio lavoro si attribuisce un punteggio: se esce sulla rivista "tale dei tali" di grande prestigio ha un punteggio, poniamo, 10, se invece la faccio pubblicare nella tipografia sotto casa, ovviamente vale zero".

Insomma, una valutazione esterna.

"Esterna e oggettiva. Con criteri certi e verificabili".

Ma esiste la possibilità di valutare oggettivamente un lavoro scientifico?

"Perbacco, certo che esiste. Ci sono discipline specifiche che studiano proprio i sistemi di valutazione".

E questo vale anche per la didattica?

"Ecco, ha toccato un altro punto importante: ci sono grandi studiosi ma che sono pessimi insegnanti. Anche la didattica deve essere valutata: o-g-g-e-t-t-i-v-a-m-e-n-te".

E come verrebbe scelto un docente?

"Dando un punteggio ad ogni suo lavoro e alla sua attività didattica. Diventa professore chi raggiunge una certa soglia di punteggio data. Non sto parlando di fantascienza, accade così in America, in Olanda, nel Regno Unito, insomma ovunque".

Tutto questo non è possibile anche con la riforma proposta dal ministro Moratti?

"Aspetto di vedere il disegno di legge. Ma se le informazioni sono quelle diffuse, non mi pare. Chi finirà nell'elenco dei docenti a cui le università possono attingere? Quelli che sono più capaci o quelli che sono più "spalleggiati"? Poi, è vero che gli atenei che hanno assunto un professore possono ripensarci dopo tre anni ma, creda a me che conosco l'ambiente, chi si azzarderà, se non per vendetta personale, a votare per l'allontanamento di un collega con cui lavora da anni? Subentrerebbe un senso di corporazione fortissimo: chi entra all'università ci resta per tre anni più tre anni, ma con la certezza di starci per sempre".

Con buona pace dei giovani che continuano ad andare all'estero.

"Invece, con il sistema dell'accreditamento, qualunque giovane di valore potrebbe emergere, con la forza del suo stesso lavoro. Chi non ci crede vada a vedere dove questo sistema funziona. E funziona al punto tale da attirare e premiare anche i nostri sconosciuti e non raccomandati talenti".


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