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La Stampa-Autunno freddo

CONDIZIONI INCERTE PER UNA STAGIONE DI SCIOPERI AUTUNNO FREDDO A scorrere le cronache di questa tormentata estate del 2002, il lettore può essere facilmente colto da un senso di spaesamento. Da...

19/08/2002
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La Stampa

CONDIZIONI INCERTE PER UNA STAGIONE DI SCIOPERI
AUTUNNO FREDDO

A scorrere le cronache di questa tormentata estate del 2002, il lettore può essere facilmente colto da un senso di spaesamento. Da un lato, infatti, si delinea ogni giorno con contorni più minacciosi un quadro economico internazionale all'insegna del rischio di recessione; dall'altro, queste tendenze sembrano ripercuotersi soltanto in minima parte su una scena italiana che è dominata dai temi consueti. A parte la questione dell'aggravamento dei conti pubblici, non pare che il cambiamento in corso nell'economia mondiale - la cui portata è enfatizzata da numerosi commentatori - sia tale da incidere sull'agenda politica italiana. Si direbbe al contrario che siano all'opera gli schemi di sempre. Ora essi si imperniano sul carattere che è destinato ad avere il prossimo autunno, da molti pronosticato come una stagione di rinnovata conflittualità. Varie ragioni condurrebbero a un rilancio delle agitazioni sociali e della mobilitazione collettiva nel breve periodo. Vi è chi sottolinea il diffondersi di un malcontento che potrebbe facilmente sfociare in una ripresa del conflitto da parte di categorie forti e agguerrite. Altri indicano invece la questione salariale e dei redditi come la scaturigine di nuovi scioperi, ritenendo che la concorrenzialità fra i sindacati potrebbe alimentare rivendicazioni più rilevanti sul terreno monetario. Del resto, non sono pochi coloro, anche nel centro-destra, che pensano che una pressione salariale avrebbe un effetto positivo sulla domanda interna e sul livello dei consumi. E infine ci sono tutti coloro che si aspettano una riedizione dell'"autunno caldo" attivata dalla Cgil, facendo credito alla confederazione di Cofferati di possedere una capacità di lotta così estesa da scuotere, in ultima analisi, l'esecutivo. Alcune di queste valutazioni scontano un difetto di inattualità. Intendiamoci: non che non siano presenti nella società italiana i germi di una conflittualità robusta, soprattutto in alcuni comparti nei servizi. Ma una condizione per il moltiplicarsi e il rafforzarsi degli scioperi è la loro attitudine a produrre risultati. E negli ultimi tempi i conflitti nell'industria - un settore che sconta una fase di difficoltà più evidente nelle grandi concentrazioni, ma da non trascurare nemmeno nelle costellazioni delle imprese minori - hanno dimostrato uno scarso potere di conseguire risultati effettivi, come testimonia l'esperienza recente del sindacato più antagonista, la Fiom-Cgil. Chi indugia nella convinzione un po' rétro che la lotta sociale possa sconvolgere gli equilibri parlamentari e mettere a repentaglio la continuità dei governi, dovrebbe peraltro tenere conto del diffuso grado di preoccupazione che oggi pesa sulla nostra società. Davvero si può credere che l'Italia del Duemila possa essere ribaltata nelle sue maggioranze politiche da un movimento meramente di lotta e contestazione, senza esprimere un programma politico preciso e realistico, in cui il Paese nel suo complesso possa identificarsi?

Giuseppe Berta


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