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La stagione referendaria può unire le generazioni e risollevare il dibattito pubblico

Il commento di Domenico Pantaleo, Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.

12/04/2016
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L'Huffington Post

Si è concluso molto positivamente il primo lancio della legge di iniziativa popolare sulla carta dei diritti universali del lavoro e dei referendum promossi dalla Cgil e da alcuni Comitati sui temi della scuola e dell'ambiente. Nelle piazze abbiamo voluto raccontare il senso delle iniziative, in una fase difficile nella quale sono in gioco valori sociali, democratici e di sostenibilità ambientale fondamentali per la coesione del Paese. La stessa scadenza del voto del 17 aprile sul referendum sulle trivelle assume un valore fondamentale per cambiare il modello di sviluppo, combattendo ogni forma di inquinamento e la devastazione ambientale da parte degli interessi delle grandi lobby. Per queste ragioni domenica bisogna partecipare al voto e votare sì.

I referendum sulla scuola, quelli ambientali e le iniziative a sostegno della carta dei diritti universali del lavoro si incrociano, si attraversano, e sollevano i medesimi interrogativi sul rapporto tra le decisioni del governo e le forme della partecipazione democratica. Nel confronto con tutti coloro che si sono avvicinati alle migliaia di banchetti in ogni angolo d'Italia abbiamo dovuto dare risposte a questioni di metodo democratico e a questioni di merito. Io stesso, come decine di altri dirigenti della Cgil ovunque in Italia, ho partecipato ai banchetti di Perugia e ad alcuni banchetti di Roma, e posso testimoniare non solo del successo della mobilitazione, ma anche delle lezioni che si possono trarre da questo primo fine settimana di mobilitazione.

Ricordo che complessivamente i quesiti referendari per i quali sono state raccolte le prime firme sono undici, e che si può firmare oltre che nelle piazze anche presso gli uffici dei Comuni. Tre quesiti sono relativi all'abrogazione di alcune norme della riforma del mercato del lavoro, proposti direttamente dalla Cgil. Due quesiti intendono abrogare alcune norme contenute nella legge elettorale, Italicum, proposti dal Comitato promotore presieduto da Stefano Rodotà e Massimo Villone. Due quesiti si riferiscono ad alcune norme della legge Sblocca Italia, e intendono abolire il lasciapassare a nuove trivellazioni terrestri e marittime e a nuovi inceneritori. E infine, i quattro quesiti che anche noi della Flc Cgil abbiamo promosso e sosteniamo, insieme a tante associazioni e movimenti, per l'abrogazione di quattro norme contenute nella legge 107 del 2015 di riforma della scuola. Inoltre sono state proposte due leggi di iniziativa popolare relative all'acqua e al diritto allo studio. Abbiamo tempo fino al prossimo 9 luglio per raccogliere le necessarie 500mila firme per il deposito in Corte costituzionale.

Non era facile, nel rispondere alle domande delle migliaia di cittadini che si sono avvicinati per conoscere e firmare, ricostruire il filo conduttore dei quesiti referendari, apparentemente così distanti da loro, nel merito e nei contenuti. Tuttavia, come si evince anche dalla brevissima sintesi che ho proposto poche righe fa, tutti i quesiti rispondono con unico strumento di democrazia diretta nel rapporto tra governanti e governati alle prove di arroganza legislativa che il governo Renzi e la sua maggioranza parlamentare hanno prodotto in questi due anni. Non si tratta di referendum pro o contro Renzi, evitiamo di personalizzare ancora una volta questioni di estremo interesse pubblico. Si tratta di abrogare norme che insieme a diversi soggetti organizzati dell'Italia politica, sindacale, e associativa abbiamo ritenuto pericolose, controproducenti e sbagliate.

Era nostro diritto e dovere farlo, e lo abbiamo fatto. Crediamo, ad esempio, che le norme contenute nella legge di riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, abbiano avuto un impatto devastante sul piano dei diritti dei lavoratori nelle aziende, non abbiano creato un solo posto di lavoro aggiuntivo, ed abbiano riportato molto indietro nel tempo le lancette dell'orologio per quanto riguarda le relazioni industriali. Soprattutto per questa ragione la Cgil ha abbinato alla mobilitazione per i tre referendum abrogativi anche la raccolta delle firme per una legge di iniziativa popolare, la Carta dei diritti universali del lavoro, che intende affermare l'idea che i diritti sono in capo alle persone e non vincolate alla tipologia di lavoro che ognuno svolge e che il lavoro non è merce ma strumento per garantire dignità, libertà e autonomia a tutti.

È in questo contesto, dunque, che vanno inseriti anche i quattro quesiti che intendono abrogare alcune norme contenute nella legge Giannini di riforma della scuola. Li riepilogo qui per comodità del lettore: abrogazione delle norme relative all'estensione dei poteri dei dirigenti scolastici, ai comitati di valutazione, al cosiddetto buono scuola per gli istituti parificati e privati, e infine all'obbligatorietà delle ore di dell'alternanza scuola-lavoro.

Perché vogliamo abrogare queste norme specifiche? Perché abbiamo ritenuto che fossero gli aspetti più deleteri della legge sulla brutta scuola che riportano indietro le lancette dell'orologio della scuola pubblica italiana. Intanto, abbiamo sollevato una questione democratica: un intero anno, tra il 2014 e il 2015, di mobilitazioni, fino allo sciopero generale della scuola del 5 maggio 2015, non ha generato nessun passo indietro, né del ministro Giannini, né del governo, che hanno invece mostrato "il pugno di ferro", come se le obiezioni di tutto il mondo della scuola fossero, appunto, non di merito, ma semplicemente una posizione conservatrice mentre loro erano i detentori della modernità. A quasi un anno di distanza dalla sua approvazione quella legge è miseramente fallita e sta determinando un clima irrespirabile nelle scuole e nel Paese calpestando valori e principi costituzionali, a partire dalla funzione sociale della scuola, dalla libertà di insegnamento, dalla funzione dei contratti e della contrattazione, al diritto allo studio. E alcuni commentatori autorevoli si accorgono ora di alcune sbavature ideologiche della legge, tra le quali, appunto, il tentativo di trasformare la scuola pubblica da un luogo di crescita culturale, civile e democratica a strumento di addestramento di manodopera specializzata per le aziende, l'approccio ideologico di introdurre un sistema di valutazione basato su classificazioni e premi dei docenti sbagliato e che non esiste in nessuna parte in Europa, e infine il tentativo di trasformare gli istituti scolastici in aziende guidate da una sorta di amministratore delegato, allargando le funzioni di comando dei dirigenti scolastici e allo stesso tempo penalizzando gli stessi dirigenti scolastici in termini di retribuzioni, di diritti contrattuali e di rispetto delle loro competenze.

È per questa ragione che abbiamo concentrato lo sforzo referendario, anche narrativo e informativo, su queste quattro, centrali, norme da abrogare. Dal punto di vista del metodo, esse rappresentano il criterio orientativo col quale Renzi e il ministro Giannini hanno legiferato sulla scuola, evitando ogni confronto, evitando di ascoltare i protagonisti del mondo della scuola, evitando di prendere in seria considerazione gli appelli a rivedere la riforma. Si è dimostrato ampiamente che un Paese complesso non si governa in modo autoritario. E nel merito, si tratta di quattro elementi costitutivi di un'idea di fondo, che abbiamo combattuto e che combattiamo, della educazione, della conoscenza, della funzione sociale dei docenti e del personale della scuola. Non solo vogliamo riaffermare che non si può trasformare la scuola pubblica in un'azienda privata, con le medesime modalità di accesso e di comando, ma vogliamo sottolineare con questi referendum che la classe docente, il personale scolastico, gli alunni devono essere rimotivati con un nuovo protagonismo. In che modo? Garantendo a tutti l'accesso a un sapere di qualità come recita la nostra Costituzione, innalzando i livelli di istruzione e restituendo loro lo scettro, a partire dai loro bisogni quotidiani, dalle esigenze conoscitive della modernità, dalle sfide che la globalizzazione della conoscenza e del sapere impongono alle nuove e alle vecchie generazioni. La stagione referendaria che si è aperta con questo week end può risollevare il dibattito pubblico sulla scuola, unire generazioni e interessi sulla sua funzione sociale ed educativa. Facciamolo tutti insieme, studenti, docenti, personale scolastico, soggetti sociali, famiglie, e media. Vogliamo cambiare il modello di sviluppo dell'Italia partendo dalla funzione e dal valore della conoscenza per rendere il paese più uguale e più solidale.


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