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La scuola che ascolta

Mariapia Veladiano

29/12/2017
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la Repubblica

L’Ufficio scolastico della Toscana chiede ai presidi di segnalare «casi di abbandoni o assenze di rilievo» riconducibili a gravidanze «magari celate» o a «postumi da parto». La richiesta è riservata e per la risposta si raccomanda l’«ovvia riservatezza».

C’è un tale groviglio in questa comunicazione che nemmeno a costruirla a tavolino come caso di studio si sarebbe potuto far meglio. Intanto, la richiesta “riservata” mandata via mail a un’amministrazione è un ossimoro. Era più riservato il plico consegnato nelle mani di un fidato cavallaro all’epoca di Isabella d’Este. E infatti quando la Polizia ha un preciso sospetto viene direttamente a scuola a parlare. Poi, la comunicazione chiede proprio di contravvenire agli obblighi di riservatezza della scuola. La gravidanza è in sé stessa un dato riservato e se si fosse accompagnata a un qualche sospetto di reato (violenza, ad esempio) il preside avrebbe già comunicato con i canali opportuni: i servizi sociali o la Polizia. Infine c’è il linguaggio fatto di «casi», «fattispecie», «induzioni » e segnalazioni, più qualche malinconica incongruenza logica fra gravidanze «magari celate» ma che alla fin fine si vedono.

Non sono parole di scuola e ci siamo abituati da quando gli uffici scolastici sono affidati soprattutto a funzionari che provengono dalla carriera amministrativa e non dalle aule. Ci vuole la pazienza di lasciare da parte consapevolmente, è un vero atto di volontà e di ragione, la tentazione massimalista che spingerebbe a dire chenon c’è riservatezza che tenga di fronte a un bimbo abbandonato in una discarica ( lo immaginiamo infanticidio, ma non lo sappiamo. Passo indietro da fare anche qui).

La componente emozionale della notizia non giustifica nessuna scorciatoia rispetto al fatto semplice che la scuola è un ambiente protetto, che vive di fiducia, che è abitato da ragazzi e ragazze giovanissimi, nei quali bene e male sono sempre vicini e confusi. Tutti i giorni chi lavora a scuola incontra situazioni che lo interrogano e deve distinguere fra la chiacchiera e il dubbio fondato. E dobbiamo decidere se far prevalere la paura e il sospetto e, ad esempio, chiamare periodicamente a scopo preventivo le forze dell’ordine con corredo di cani antidroga e di gazzelle a raggiera intorno alla scuola, oppure se farlo solo quando si hanno informazioni fondate e attendibili, magari dai ragazzi stessi che mettono in atto forme di autoprotezione perché si sentono una comunità.

Si tratta di decidere se partire dalla sfiducia oppure no. I presidi e i docenti quando è il caso denunciano sempre. Quante indagini di violenza sono partite dalla scuola. Prima di essere ingaggiata nell’attività di intelligence la scuola ha il diritto di muoversi nello spazio delle relazioni coltivate, dell’ascolto con gli occhi bene aperti e dell’accompagnamento paziente, perché sa che come ogni persona i ragazzi vivono di fiducia e possono anche volare se non gliela togliamo per una qualche forma di spaventata prevenzione.


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