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La professionalità dell'insegnante-Intervento di Roberto Maragliano

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09/03/2003
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La professionalità dell'insegnante
Primo appuntamento del ciclo "La questione insegnanti".
Intervento di Roberto Maragliano

La scuola non ha più il primato dell'educazione dei giovani. Invece di accettare questa situazione, accettandola come una sfida e un'occasione per rinnovarsi, l'istituzione scolastica e gli insegnanti vi leggono una sconfitta.

Roberto Maragliano
Quando si parla di insegnanti, oggi, gli accenti sono tutt'altro che ottimistici. La ragione è molto semplice, e può essere rappresentata brutalmente attraverso un'osservazione linguistica. Diciamo che l'allievo va a scuola e che l'insegnante sta a scuola, esattamente come diciamo che il ragazzo sta in internet e l'adulto invece va in internet.

Che significa? Dovrebbe significare che ad ogni ambiente corrisponde un tipo particolare di abitante, e viceversa, che ciascuna categoria di individui tende a scegliersi o configurarsi un suo ambiente, per poterlo abitare. Ma non è così per la scuola, almeno oggi. Il fatto è che, attualmente, questo "abitare" dell'insegnante è tutt'altro che pacifico e dunque raramente accettato e condiviso. Anche l'insegnante, insomma, "va" a scuola, e con sempre meno disponibilità ad insegnare ed apprendere. Sta nelle stesse condizioni del suo allievo, con la differenza che quest'ultimo ha delle alternative, abita altri luoghi. Questo squilibrio, anche psicologico, crea invidia e aggressività da parte dell'adulto professionalizzato (si fa per dire) ad insegnare, nei confronti del giovane comunque esperto nell'apprendere (anche e soprattutto cose esterne a quelle scolastiche). E a crisi si assomma crisi.

Il fatto è che la società, nel suo complesso, mano a mano che cresceva come luogo delle democratizzazione e/o commercializzazione del sapere è andata via via riducendo il forte carico di aspettative che tradizionalmente riservava all'istituzione scolastica. Oggi la scuola, nella storia degli apprendimenti personali dei giovani viene regolarmente in seconda se non terza battuta, sia in senso cronologico sia in senso logico.
Questo nuovo stato di cose la scuola proprio non riesce a sopportarlo. Lo vive come declassamento e non riesce invece a farne l'occasione per un ripensamento di se stessa. Non vi coglie una sfida, ma una sconfitta.
E gli insegnanti portano il peso di queste contraddizioni, anzi di questa sola fondamentale contraddizione, consistente nel fatto che la società ha drasticamente cambiato la cornice generale della scuola senza riuscire a (volere?) cambiare la scuola stessa, e di conseguenza senza riuscire a (volere?) cambiare l'identità professionale e culturale del suo principale cittadino.

Ecco perché la scuola (e di conseguenza l'insegnante) appare agli occhi di chi è più attento a questi temi come irriducibilmente conservativa, in un certo senso irriformabile (almeno dall'interno).
Ecco perché la condanna, mi auguro provvisoria, che pesa sull'insegnante è di schierarsi continuamente dentro il partito del no.
Un mio libretto in via d'uscita presso Laterza titola appunto "La scuola dei tre no", e rappresenta questa forzata propensione dell'insegnante a dire no anche a cambiamenti giusti e ineludibili, in ciò costituendosi come vittima sacrificale di un ritardo di elaborazione politica e sociale di cui dobbiamo sentirci tutti responsabili, ma anche portando alla luce temi e problemi di sapore filosofico, se non addirittura metafisico (chi sono, che faccio, chi è lui, che cos'è questo oggetto con cui mi misuro), che forse soltanto la migliore tradizione letteraria ci consente di cogliere in tutti i possibili risvolti tragici e ironici


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