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La cultura per ricostruire. Camusso: "Governo ostinato"

Concertone di fine ottobre in piazza del Popolo con Flc Cgil. Musicisti e studenti, ricercatori e comici. «Tagliare non serve»

30/10/2011
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l'Unità

Gioia Salvatori

Ricostruire l’Italia a partire dall’istruzione, dalla cultura dalla ricerca. Rilanciare la partecipazione democratica anche attraverso l’attività sindacale, salvare ciò che resta nelle macerie dei tagli e dire che così non va. Contro un «governo che si ostina ad andare in direzione contraria tagliando sulla cultura mentre tutti gli altri paesi ci investono». Ieri sera la Flc Cgil ha portato in piazza del Popolo a Roma musicisti, studenti, ricercatori, comici. Concertone di fine ottobre per dire che la cultura unisce, fortifica il Paese, serve al rilancio economico. C’è anche il segretario generale della Cgil Susanna Camusso che parafrasa De André, chiede di nuovo le dimissioni di Berlusconi e replica al ministro del lavoro Maurizio Sacconi che vorrebbe l’abolizione dell’articolo18 per le piccole imprese: «Berlusconi è da licenziare e Sacconi vuole misure bocciate 10 anni fa…». I TAGLI Sull’istruzione specifica: «Oggi tutti i problemi partiti con gli 8 miliardi di tagli nel 2008 sono visibili e non si può uscire dalla crisi se l’istruzione è mortificata dai tagli. È un Paese senza speranza quello che non investe su questa voce». L’appello è a riprendersi uno spazio di rappresentanza democratica già con le elezioni delle Rsu di marzo, evento a cui guarda la campagna della Cgil “Ricostruiamo l’Italia” che è partita a maggio e che ieri ha fatto tappa in piazza del Popolo. «Visto che abbiamo incontrato il ministro dell’Istruzione Gelmini tre o quattro volte dal 2008 ad oggi, proviamo a riprenderci lo spazio di partecipazione che ci è stato tolto con le nuove Rsu, col fine di ricostruire dal basso un rapporto democratico col territorio», è l’appello del segretario generale della federazione della conoscenza Flc Cgil Mimmo Pantaleo. Sul palco si esibiscono Frankie Hi-Nrg, Daniele Silvestri, MaxPaiella, Ascanio Celestini, conduce Dario Vergassola. In piazza ci sono docenti, musicisti, precari, genitori. Ci sono Angelica e Antonella che hanno i figli all’ultimo anno del liceo e sono pronte a salutarli a malincuore se emigreranno all’estero; ci sono Gabriele e Federica, studenti di violino e pianoforte al conservatorio: «con le orchestre in crisi fare pratica è una chimera e il tre più due anche da noi ha peggiorato tutto: devi arrivare al test d’ammissione ben preparato ma devi farlo in privato poiché i licei musicali non sono mai nati». Poi c’è il grafico quarantenne ancora precario, Michela che insegna ad Afragola e da un mese ha cinque alunni di un’altra prima media nella sua: non hanno la supplente. In piazza ci sono molte sue colleghe: Daniela e Annasono professoresse pronte a confluire in istituti comprensivi: «uniranno le nostre scuole medie a altre scuole, grandi e piccoli nella stessa struttura e tagli al personale. Avverrà dal prossimo settembre e i genitori ancora non sanno niente». Il dimensionamento, cioè l’accorpamento delle scuole con meno di 1000 alunni previsto dalla finanziaria per tagliare su dirigenti e amministrativi è una delle misure più indigeste: «Taglierà 1800 collaboratori scolastici, 1150 dirigenti, 1300 Ata (assistente tecnico amministrativo n.d.r.), è la prosecuzione di un attacco iniziato nel 2008», dice Pantaleo, ricordando anche i 141mila posti andati in fumo dopo il taglio di 8 miliardi del 2008. In attesa del settembre 2012, si confida nell’esito dei ricorsi presentati da sette regioni contro l’ultimo “riordino”. Intanto sul palco Vergassola scherza con gli studenti: «Non parlate di reti orizzontali che B. capisce male…». Hanno appena finito di suonare i Blues Willies e viene proiettato un videomessaggio dell’economista, docente a Roma Tre, Paolo Leon: «L’Italia deve investire in cultura perché è un settore che non teme concorrenza, di certo non teme quella cinese». Aggiunge: «Nessun elemento della vita pubblica e privata ha senso se si taglia la cultura, è ciò che tiene insieme il Paese, se ne veniamo privati torniamo ad essere i bruti di Dante».❖ 


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