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La classe con tutti alunni stranieri «Un ghetto» «No, così li aiutiamo»

I genitori italiani contrari. Il preside: devono imparare la lingua

05/11/2013
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Corriere della sera

Lui, il preside, ammette che sono tutti stranieri, ma assicura che non è una classe «ghetto». Loro, i genitori del consiglio di istituto, criticano la decisione perché «divide e non integra». Lei, la dirigente provinciale che ha dato l’autorizzazione, dice di aver scoperto solo ieri che in quell’aula sono tutti migranti. Poi c’è la politica. Che reagisce in modi diversi. E forma «alleanze» inattese tra leghisti e sindacati.
Inizia tutto in viale Aldo Moro, nel quartiere multietnico di San Donato, alla periferia nord-est di Bologna. Quest’anno alle scuole medie «Besta» c’è una prima classe sperimentale, la «I A», dove tra i banchi non c’è nemmeno un italiano. Gli alunni sono arrivati da poco in città, non conoscono la lingua e hanno tra gli 11 e i 15 anni. Una scelta che il Consiglio di istituto della scuola non apprezza. E attacca il dirigente per aver avviato una classe «ghetto». La decisione, scrivono i membri nella lettera, «pone problemi sia formali, sia politici e pratici. Eppoi contrasta con i principi di inclusione e confronto ai quali la scuola di deve ispirare».
«Ma quale classe “ghetto”», ribatte Emilio Porcaro, dirigente dell’Istituto comprensivo 10 che include anche la scuola «Besta». «Ho preso questa decisione per dare una classe ai ragazzi appena arrivati in Italia, altrimenti perdevano l’anno — spiega —. Tre mesi fa si sono presentate diciotto famiglie straniere che avevano appena riavuto i figli con il ricongiungimento. Qui al “Besta” c’era lo spazio per accoglierli e allora ho chiesto di avere un’ulteriore classe all’ente competente».
«Sono stata io a dare l’autorizzazione», conferma Maria Luisa Martinez, dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale di Bologna. Ma, precisa, «il mio via libera era riferito solo all’avvio di una nuova classe, scopro ora che gli alunni sono tutti stranieri. Ho chiesto di leggere i documenti e se è vero quello che mi ha raccontato il preside si tratterebbe di una sorte di classe “ponte” di qualche mese. Una volta imparato l’italiano, i ragazzi possono essere inseriti nelle altre aule». Martinez rivela che quella del «Besta» non è stata l’unica richiesta. «Se le cose stanno così — ragiona — mi sembra una buona idea: potrebbe essere utile prima insegnare l’italiano all’alunno appena arrivato, poi portarlo in una classe vera e propria».
Ragionamento che non regge per il deputato Giovanni Paglia (Sel) che chiede l’intervento del ministero dell’Istruzione «per cancellare quello che sembra un pericoloso precedente». «Una classe di soli stranieri è un assurdo», attacca Sandra Zampa, deputato pd e vice presidente della Commissione Infanzia e Adolescenza. Prende le difese del preside la consigliera della Lega Nord del Comune di Bologna, Lucia Borgonzoni. Appoggiata da Francesca Ruocco, della Flc-Cgil, che parla di un progetto «con dei lati positivi» e che «se ben fatto è meritorio».
Classi «ghetto», classi «ponte» e ora le classi «liquide» come è stata battezzata questa di Bologna. Il senso è sempre quello: un ambiente dove iscrivere gli alunni stranieri, insegnare loro l’italiano e poi inserirli nel percorso tradizionale. L’aveva proposta la Lega Nord più di quattro anni fa. Poi l’aveva rilanciata il mese scorso con l’introduzione delle «classi di alfabetizzazione». Ma già nel 2009 era arrivata la bocciatura dell’Accademia della Crusca che parlava di iniziativa inutile dal punto di vista scientifico e dell’apprendimento dell’italiano.
 Leonard Berberi 

 


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