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L'Unità-Più ci pensi più è tragedia

Più ci pensi più è tragedia di Siegmund Ginzberg È allucinante. Non solo quello che sta succedendo, ma il modo in cui tutti i diretti interessati, non solo i principali protagonisti, a cominci...

30/03/2002
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l'Unità

Più ci pensi più è tragedia
di Siegmund Ginzberg

È allucinante. Non solo quello che sta succedendo, ma il modo in cui tutti i diretti interessati, non solo i principali protagonisti, a cominciare da Sharon e Arafat, ma anche e soprattutto coloro che avrebbero potuto adoperarsi per far qualcosa, almeno fermare la carneficina se non invertire la corsa verso il baratro, l'amministrazione Bush, i Paesi arabi, il resto del mondo, continuino a comportarsi come se si trattasse di semplici allucinazioni, qualcosa di sgradevole sì, ma secondario rispetto alle proprie preoccupazioni più immediate. Come se si trattasse solo di un incubo notturno che passerà al risveglio.
Allucinante è l'inversione del senso della realtà. Israele ha dichiarato Arafat "nemico" e Ariel Sharon ha mandato i suoi carri armati a occupare il suo quartier generale a Ramallah. Obiettivo: "distruggere la rete e i covi del terrorismo, anche nella stessa residenza di Arafat", ha detto il portavoce del governo Avi Pazner. Altri si chiedono se non si tratti invece del finale di partita, di un modo per togliere definitivamente di scena, politicamente o anche fisicamente, l'interlocutore rifiutato. Sharon in verità non ha mai nascosto che questo è il suo obiettivo. E dopo? Davvero pensa che così finirebbero gli atroci attentati ? Israele ha una formidabile macchina militare. Ne ha bisogno. Ma saranno i tank a fermare gli uomini bomba suicidi? Dove sta la realtà e dove sta l'allucinazione?
Yasser Arafat è rinchiuso nel suo bunker sotterraneo. Si dice pronto a subire il "martirio". "È occupatissimo a parlare al telefono con i leaders mondiali", ha fatto sapere un suo intimo. Un altro suo collaboratore aveva detto, poco prima, qualcosa di ancora più terribile.
"Stiamo cercando di telefonare a tutti i leader mondiali. Ma è notte. Dormono". Ha proclamato una tregua unilaterale ad ogni tipo di violenza. Lo davano sino a non molto tempo fa stretto irrimediabilmente all'angolo nel ventennale duello con Sharon, finito. E invece è tornato al centro della scena. Continua ad essere lui il punto di riferimento del suo popolo. Ma viene da chiedersi: è questo l'obiettivo per cui si è battuto per tutta la sua vita, cui ha dedicato tutta la sua intelligenza, le sue energie, la sua proverbiale abilità? O non doveva essere piuttosto la creazione di uno Stato palestinese capace di convivere con Israele? Dove sta la realtà e dove sta l'allucinazione?
A Beirut si è appena concluso il vertice arabo. Doveva essere la tribuna di lancio dell'iniziativa con cui i sauditi rilanciavano la nozione di "pace in cambio di terra", a condizioni dure ma discutibili. L'hanno fatto, il documento finale riconosce per la prima volta, sia pure in termini ancora troppo ambigui, il diritto di Israele ad esistere entro confini sicuri. Ma nel peggiore dei modi possibili, dando l'impressione che fosse una maniera per salvarsi l'anima, non un'iniziativa di cui siano davvero convinti. Hanno espresso appoggio alla lotta dei palestinesi, che "deve continuare", ma non hanno detto una parola sugli attentati suicidi, non hanno nemmeno affrontato il tema se far macello di civili in un albergo o ad una fermata d'autobus rientri tra i metodi accettabili di questa lotta. Sembrava che parlassero d'altro. All'assise avrebbero dovuto partecipare i 22 Stati membri. 19 di questi non hanno mai riconosciuto Israele. Ariel Sharon, con una proposta, ad effetto fin che si vuole, propagandistica fin che si vuole, aveva chiesto di essere invitato all'assise per illustrare le posizioni di Israele. Il segretario della Lega araba, Amr Mussa, l'ha messa sullo scherzo, ha fatto la parodia di quel che Sharon aveva detto qualche giorno prima sul fatto che stava considerando se lasciar partecipare Arafat al vertice e, soprattutto, se lasciarlo tornare una volta che vi si fosse recato: "Non so se poi lo lasceremmo tornare". Qualcuno vi ha visto, giustamente, dell'humour nero. Non potevano dirgli più semplicemente: venga se vuole, a patto che porti con sé Arafat e poi se lo riporti indietro con sé a Ramallah? Avevano paura che accettasse, creandogli troppi problemi? È così che si ispira fiducia in quelli che sono per forza gli interlocutori di qualsiasi discussione, per non dire processo di pace? Arafat era pronto ad intervenire al vertice per via elettronica. Raccontano che ha atteso tre ore davanti al microfono e alle telecamere perché iniziasse il collegamento diretto. Il presidente libanese della conferenza non gli ha dato la parola. La delegazione palestinese per protesta ha abbandonato la sala. Dicono che l'intervento di Arafat fosse sgradito al presidente siriano Bashar el Assad che nel suo duro intervento aveva praticamente preannunciato l'ultima strage a Netanya, firmata da Hamas e non, come quelle precedenti, dalle brigate Al-Aqsa che vengono considerate vicine a Fatah, quindi più legate ad Arafat che a Damasco. Si sa che gli arabi sono disuniti. La conferenza di Beirut era stata disertata dall'egiziano Mubarak e dal giordano Abdallah. I "moderati" temevano la preponderanza dei "duri", Saddam Hussein e Sadat. Ad un certo punto stavano per andarsene via sbattendo la porta anche i sauditi. Li unisce, a parole, solo il sostegno alla lotta del popolo palestinese. Ma viene da chiedersi: gli interessano più i complicatissimi giochi di potere per l'egemonia nel mondo arabo, per mantenersi ciascuno in sella a casa propria, o davvero la sorte del popolo palestinese? Dove sta la realtà e dove sta l'allucinazione?
Ieri, come se l'America si fosse svegliata improvvisamente da un incubo, rendendosi per un attimo conto che è reale e non solo sognato, il segretario di Stato di George W. Bush, Colin Powell, ha detto che intendono muoversi, fare qualcosa, senza però precisare esattamente cosa. Ha detto che ha avuto rassicurazioni da Israele nel senso che l'operazione contro il quartier generale dell'autorità palestinese non è volta a far prigioniero o a torcere un capello ad Arafat. Ha anche confernato che non intendono ritirare il mediatore Anthony Zinni, smentendo che avessero ormai deciso di lasciar mano libera a Sharon. Ma cosa hanno fatto finora? Il viaggio nella regione del vice presidente Dick Cheney non ha fatto nulla per fugare, anzi ha confermato, l'impressione che la preoccupazione principale di Bush non sia far cessare la carneficina tra israeliani e palestinesi, ma tutt'al più ottenere una tregua che gli consenta di procedere più confortevolmente nei piani di attacco all'Irak di Saddam. Bush era stato decisionista nella guerra contro il terrorismo.
Ma non è affatto decisionista nell'imporre la pace in Medio Oriente. Si vede che una cosa lo interessa profondamente, l'altra solo marginalmente.
Ma dove sta, anche qui, la realtà e dove sta l'allucinazione?


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