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L’Italia sotto la media Ue per innovazione e ricerca

Forte ritardo in un’Europa che già arranca dietro Usa e Giappone. È il fallimento della strategia sull’economia della conoscenza

02/02/2011
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Marco Mongiello

L’Italia arranca dietro l’Europa e l’Europa arranca dietro Stato Uniti e Giappone. È questa la situazione fotografata dal Nuovo quadro valutativo sull’innovazione, presentato ieri a Bruxelles dal commissario all’Industria, Antonio Tajani, e dal responsabile per la ricerca, Máire Geoghegan- Quinn. Lo studio misura nei Paesi europei 25 indicatori di innovazione, dalla qualità delle risorse umane, ai finanziamenti alla ricerca, agli investimenti delle imprese. Ne esce il ritratto di un’Europa in ritardo, soprattutto sull’attività di ricerca e sviluppo del settore privato. «Il divario si legge - è particolarmente ampio e in rapido aumento per quanto riguarda le entrate dall’estero derivanti da licenze e brevetti ». Resta il vantaggio su India e Russia, ma si accorcia quello sulla Cina. Tra i Ventisette però la situazione è molto differente. Ci sono i «leader dell’innovazione»,come Danimarca, Finlandia, Germania e Svezia. Ci sono i Paesi «che tengono il passo», tra cui Francia e Gran Bretagna. E poi ci sono quelli che non tengono il passo, diplomaticamente definiti «innovatori moderati», tra cui l’Italia, in compagnia di Grecia, Portogallo, Spagna e altri Paesi dell’Est. Infine i «ritardatari»: Bulgaria, Lettonia, Lituania e Romania.

ECONOMIA DELLA CONOSCENZA? È il fallimento della Strategia di Lisbona varata nel 2000 per trasformare l’Unione europea «nell’economia della conoscenza più competitiva del pianeta» entro il 2010. Tra le tante promesse mancate c’era quella di creare un Brevetto europeo, per poter registrare le invenzioni una volta sola, e smettere di svenarsi per tradurre e registrare i brevetti in 27 Paesi diversi. L’iniziativa è stata bloccata per anni dalle dispute sulla lingua da utilizzare. Roma ha insistito per includere l’italiano, con l’unico risultato che ora gli altri Paesi hanno deciso di procedere da soli e varare un Brevetto europeo in inglese, francese e tedesco, imponendo così alle imprese italiane uno svantaggio competitivo. Per recuperare lo smacco il governo ha provato tardivamente a proporre l’inglese come unica lingua, ha fatto ricorso alla Corte di giustizia Ue e ieri Berlusconi ha scritto alle autorità europee per chiedere un brevetto che «rispetti l’integrità del mercato unico e coinvolga tutti gli Stati membri». La questione ora potrà essere sollevata nel Vertice Ue in programma venerdì a Bruxelles.


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