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L’Istruzione nel nuovo articolo 117 della Costituzione

16/10/2014
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ScuolaOggi

La competenza legislativa delle Regioni in materia di diritto allo studio, anche prima della riforma costituzionale del Titolo V realizzata nel 2001, era solo “concorrente”, cioè attuabile  nel quadro definito dai principi fondamentali approvati per tale materia con leggi dello Stato.

Inoltre la delega della funzione amministrativa di erogazione dei contributi statali alle scuole private di cui tratta l’art. 138 del DLgvo 112/98 (fino ad oggi ancora non attuata), non avrebbe dovuto, come invece è diffusamente avvenuto,  consentire alle Regioni di definire criteri e di individuare risorse al riguardo facendo ricorso ad un’attività legislativa regionale.

E’ fuori discussione che l’iniziativa legislativa regionale, in genere portata avanti dalle forze di centro destra, ha avuto alla fine degli anni ’90, la caratteristica di voler anticipare la legge di parità invadendo un campo di esclusiva competenza statale in materia.

Dall’esame della legislazione regionale in atto ) risulta che spesso si é richiamata la competenza amministrativa attribuita alle Regioni con altre finalità rispetto a quelle stabilite dall’art. 138 del Decreto 112/98 (erogare contributi che fino alla attuazione della delega avrebbero dovuto, come in realtà è poi avvenuto, rimanere di competenza statale) per realizzare una legislazione che per molti aspetti, compreso quello sancito dal terzo comma dell’art. 33, era in contrasto con la Costituzione.

Di fatto in alcuni casi la competenza statale è stata invasa e violata anche là dove si è previsto di indicare criteri e finanziamenti per realizzare la corresponsione di un bonus(una borsa di studio) per tutti gli alunni frequentanti le scuole non statali.

In altri casi, con la legge di parità già approvata e vigente, si è cercato di aggirarla prospettando una sorta di bonus integrativo delle misure nazionali già previste per le borse di studio dalla legge di parità.

In tutti questi casi si è ignorato o si é rifiutato esplicitamente di riconoscere  alla legge 62/2000 il ruolo di normativa che definiva i principi fondamentali per quella legislazione concorrente che su tale materia spettava alle Regioni.

Poiché quello indicato è stato il terreno su cui si è realizzato un intervento che in alcune Regioni ha assunto un profilo chiaramente eversivo del dettato costituzionale, è opportuno precisare il quadro di riferimento entro il quale si trovavano e si trovano ad operare le Regioni anche dopo la modifica costituzionale del 2001.

Al riguardo occorre ricordare che la normativa su cui poggiava il potere di intervento legislativo delle Regioni prima dell’entrata in vigore delle legge 62/2000 era unicamente quello derivante dall’articolo 117 della Costituzione e dall’art.42 del DPR n. 616 del 1977.

Facevano parte delle competenze regionali anche quelle amministrative attribuite alle Regioni e agli enti locali dagli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n.112 del 1998. Fra queste competenze amministrative attribuite alle Regioni , come si è accennato dianzi, vi era la delega, di erogare i contributi alle scuole private. Ovviamente si sarebbe trattato, in un primo tempo dei contributi già da anni presenti nel bilancio dello Stato a favore delle scuole dell’infanzia e delle scuole elementari parificate e successivamente di quelli che sarebbero stati regolamentati dalla legge di parità.

In alcune Regioni, Lombardia in testa, tale chiarissima disposizione venne stravolta e interpretata come il conferimento di una delega di competenze legislative per realizzare fra l’altro il buono scuola a favore degli alunni e degli studenti delle scuole private.

Di fatto mettendo impropriamente insieme le competenze di legislazione concorrente in materia di diritto allo studio e quelle delegate in quanto funzioni amministrative per l’erogazione di contributi statali alle scuole private si è cucinato il bel pasticcio che specie in Lombardia e altrove ha ancora oggi un chiaro profilo di incostituzionalità.

Come risulta da un esame dei singoli provvedimenti regionali, in alcuni casi l’intervento del Governo di centrosinistra in sede di controllo degli atti prima o come previsto poi dal nuovo Titolo V,  è riuscito a sventare tali manovre anche con il rinvio alla Corte Costituzionale In qualche caso, come con il sopraggiungere del nuovo governo di Berlusconi, si determinò persino un annullamento di un imminente pronunciamento dell’Alta Corte con il ritiro del ricorso presso di essa pendente. E’ il caso della legge n.1/2000 della Regione Lombardia che non essendo mai stata sottoposta all’esame dell’Alta Corte, anche nelle sue successive configurazioni che confermano e aggravano le iniziali impostazioni, è ancora in vigore da oltre un decennio. Infatti anche la successiva legge regionale lombarda la n.19 del 6 agosto 2007 sottoposta all’Alta Corte, con delibera del C.d.M del 28 settembre 2007, per colpevole inerzia del governo allora in carica, non poté essere esaminata in tale sede con riguardo ai molteplici rilievi formulati che riguardavano non  solo l’istruzione professionale ma anche gli aspetti finanziari del sostegno alle scuola paritarie.

Purtroppo in non pochi altri casi, la legislazione Regionale e l’attività amministrativa di alcuni enti locali si sono collocati nettamente fuori e contro il dettato costituzionale senza che alcun organo a ciò competente ne proponesse l’esame da parte della Corte Costituzionale.

Nel panorama della legislazione regionale sul diritto allo studio  si presentano tre modelli interpretativi del dettato costituzionale in materia: quello emiliano, che dopo un’iniziale esperienza “eversiva” si è corretto nel senso di un maggior rispetto dei vincoli costituzionali, quello lombardo che risulta attualmente prescindere totalmente dal contesto costituzionale e quello umbro molto rispettoso di tutti vincoli stabiliti dalla Costituzione e dalla legge 62/2000. Tutti gli altri sistemi legislativi regionali si collocano variamente entro questa griglia di riferimento.

Come si è segnalato di fatto non è stato consentito fino ad oggi alla Corte Costituzionale di pronunciarsi su tale materia. Quindi contrariamente a quanto accaduto in altri settori non esiste in materia un contenzioso arretrato presso l’Alta Corte. Forse è per questo motivo che non se ne sono occupati gli Uffici studi del Senato e neppure il Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali.

Infatti nella Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali, istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica e composto da Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello, Luciano Violante, presentata il 12 aprile 2013, nel Capitolo IV pagg.16-18, in relazione alla revisione del TitoloV, non vi è traccia della materia riguardante l’istruzione.

E così potuto accadere che la situazione rappresentata dalla concreta, reale e grave conflittualità in atto non sia mai stata evocata in tutto il recente iter parlamentare riguardante la riforma del Titolo V. Infatti, risulta dagli atti, che  al Senato la modifica del Titolo V per quanto riguarda l’istruzione é stata liquidata con una mezza frase pronunciata dalla relatrice Finocchiaro.

Come vedremo nel seguito il risultato al momento acquisito con il tipo di revisione apportata dal Senato all’art.117, se non si chiarisce che le norme di “principio” riguardanti il diritto allo studio sono comprese tra quelle riguardanti “l’istruzione e l’ordinamento scolastico” e che le competenze legislative attribuite alle regioni in materia di diritto allo studio riguardano esclusivamente quelle di dettaglio concernenti la “promozione” del medesimo, la situazione a livello regionale nel prossimo futuro potrebbe divenire esplosiva con la produzione e lo sviluppo di una grave conflittualità. Se nel precedente (odierno) assetto costituzionale si è sovente ignorato il rispetto di quel  principio fondamentale della legge di parità che postulava l’obbligo di conferite, sia agli studenti delle scuole paritarie sia quelli delle scuole statali, solo borse di studio di pari entità, si può immaginare cosa potrebbe accadere con  un nuovo assetto costituzionale che in qualche modo comporti il superamento della regolazione legislativa statale dei principi fondamentali per il diritto allo studio.

Le modifiche del Senato

Al fine di tentare una lettura del nuovo artico lo 117 della Costituzione occorre premettere il testo delle modifiche apportate al medesimo nel testo dell’art. 30 approvato dal Senato. Questo ha preso alla Camera il n.2613.

A.C. 2613-Articolo 30(Art. 117 - Riparto di competenza tra Stato e regioni)

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizionigenerali e comuni per la tutela della salute, per la sicurezza alimentare e per la tutela e sicurezza del lavoro;

n) norme generali sull'istruzione;

n) disposizioni generali e comunisull'istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;

 Per quanto riguarda le materie legislative di competenza regionale la situazione dopo la prima lettura del Senato   dell’art.117 è la seguente:

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Abrogato

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche, di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, di promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese; salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di istruzione e formazione professionale, di promozione del diritto allo studio, anche universitario; in materia di disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo, di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica, nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

 

Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tuteladell’interesse nazionale.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dell’Unione europea e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

La potestà regolamentare spetta allo Stato e alle Regioni secondo le rispettive competenze legislativeÈ fatta salva la facoltà dello Stato di delegare alle Regioni l’esercizio di tale potestà nelle materie e funzioni di competenza legislativa esclusiva. I Comuni e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, nel rispetto della legge statale o regionale.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

Identico

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Identico

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Identico

L’articolo 30 dunque riscrive ampiamente l’articolo 117 della Costituzione, in tema di riparto delle competenze legislative e regolamentari tra Stato e Regioni.

L’elenco delle materie è ampiamente modificato con una loro redistribuzione tra competenza esclusiva statale e competenza regionale.

Risulta così soppressa la competenza legislativa concorrente delle Regioni, con la conseguenza che risulta superato lo stesso concetto di principio fondamentale in precedenza attribuito alla competenza legislativa statale al fine di regolare l’attività legislativa concorrente delle Regioni.

Nell’ambito della competenza esclusiva statale sono enucleati casi, come quello riguardante la lett. n)  che potrebbero definirsi di competenza esclusiva ‘limitata’, in quanto l’intervento del legislatore statale è circoscritto ad ambiti determinati (quali ‘disposizioni generali e comuni’ o ‘disposizioni di principio’). Tali disposizioni generali e comuni riguardano:

-l'istruzione; 

-l’ordinamento scolastico;

-l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;

Nell’ambito della competenza regionale appare come una novità  l’individuazione di specifiche materie attribuite a tale competenza, che allo stato della legislazione vigente con l’attuale art.117, era individuata solo in via residuale (essendo ascrivibili ad essa tutte le materie non espressamente riservate alla competenza statale).

Il nuovo comma 3 dell’art.117 stabilisce che “spetta alle Regioni la potestà legislativa ,salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di istruzione e formazione professionale, di promozione del diritto allo studio, anche universitario”.

 

La questione di fondo che emerge da tale distribuzione delle competenze riguarda proprio il diritto allo studio. Dovrebbe essere pacifico leggere tale ripartizione nel senso che l’attribuzione alle regioni della competenza legislativa relativa alla promozione lascia allo Stato, nell’ambito dell’istruzione e dell’ordinamento scolastico, anche la competenza legislativa riguardante la definizione delle norme generali e comuni (cioè tutte quelle di principio), riguardanti il diritto allo studio.

Ma non è difficile pronosticare oggi che se il testo non risulterà ulteriormente chiarito tale pacifica interpretazione sarà certamente messa gravemente in discussione

Purtroppo al Senato non si è voluto in alcun modo esplicitare e acquisire tale tipo di interpretazione. Ciò è accaduto in occasione del voto sull’emendamento… presentato dalla Senatrice Puglisi e dal gruppo del PD. Infatti il governo e la Relatrice Finocchiaro hanno chiesto il ritiro di tale emendamento e la sua sostituzione con un ordine del giorno che non riesce a mio parere a soddisfare quell’esigenza di chiarimento che era rappresentata nell’emendamento.

 

 

I lavori del Senato

 

Se si ripercorrono i lavori svoltisi al Senato si può rilevare che sull’art. 30 sono stati presentati alcuni emendamenti che sono stati dati per illustrati e sui quali i relatori e il rappresentante del Governo hanno espresso un parere negativo e un invito al loro ritiro.

In particolare la relatrice sen.FINOCCHIARO, è intervenuta affermando “ di volere rassicurare i colleghi sul fatto che noi siamo partiti esattamente dalla necessità di evitare che su temi particolarmente delicati come la salute e l'istruzione potesse replicarsi quel conflitto tra Stato e Regioni che si è verificato sino a questo momento. Come i colleghi ricordano, a Costituzione vigente le materie della tutela della salute e dell'istruzione sono materie di legislazione concorrente. Ecco perché nell'affrontare la questione noi abbiamo ritenuto di riservare alla competenza esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Abbiamo detto inoltre che appartiene alla competenza esclusiva dello Stato l'emanare disposizioni generali e comuni; comuni nel senso che assicurino l'uniformità sul territorio nazionale, per la tutela della salute,(e l’istruzione?) per la sicurezza alimentare e per la tutela e sicurezza del lavoro.

Nel frattempo, la giurisprudenza costituzionale intervenuta nei casi di conflitto ci ha detto esplicitamente due cose, proprio con sentenze in materia di sanità. Innanzitutto ci ha detto dice che adoperare l'espressione «norme generali» in realtà attribuiva allo Stato una competenza legislativa pervasiva anche negli ambiti dell'organizzazione territoriale dei presidi sanitari. La seconda cosa che la Corte costituzionale ci ha detto è che indubitabilmente appartengono alle Regione le attività di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali che, infatti, nel testo che è all'esame dell'Aula, sono affidati alla competenza delle Regioni, essendo sparita la legislazione concorrente”

E’ sicuramente vero che le disposizioni comuni nel senso precisato per la sanità si devono intendere anche per l’istruzione atte ad assicurare l’uniformità su territorio nazionale della qualità dell’istruzione, ma di fatto, forse per un eccesso di prudente spirito di autoprotezione, tale precisazione non è stata formulata da nessuno.

Gli emendamenti presentati sull’argomento miravano ad esplicitare che la promozione del diritto allo studio viene esercitata dalle regioni nell’ambito della  legislazione statale sulle disposizioni generali e comuni che riguardano il diritto allo studio. Come è noto la legge 62/2000 sulla parità scolastica racchiude una parte notevole di queste disposizioni generali e comuni. Il  chiarimento riguardava quindi una materia estremamente delicata e cioè il destino della stessa legge di parità da conservarsi nella sua attuale validità o da considerare superata nell’ambito di una sua improponibile devoluzione regionale.

Con l’emendamento n.30.66 la sen. MUSSINI (Misto-MovX). ha chiesto  di inserire, dopo l'espressione «disposizioni generali e comuni sull'istruzione», la locuzione «e sul diritto allo studio» ma  il Senato non lo ha approvato.

L’emendamento 30.70 presentat  o dai senatori PUGLISI,MARCUCCI,DIGIORGI,Elena FERRARA,IDEM,MARTINI,MINEO,TOCCI,ZAVOLI,PAGLIARI,PADUA,PIGNEDOLI,BERTUZZI,MATTESINI,CANTINI,ORRU',CIRINNA',RICCHIUTI, PUPPATO prevedeva che :”Al comma 1, capoverso «Art. 117», al secondo comma, lettera n) sostituire le parole: «ordinamento scolastico; istruzione universitaria e» con le seguenti: «asili nido; ordinamento scolastico; istruzione universitaria, diritto allo studio e».

        Conseguentemente, al terzo comma sopprimere le parole: «, di promozione del diritto allo studio, anche universitario”.

 

L’emendamento è stato ritirato e trasformato nel seguente odg accolto dal Governo-(G30.70):

“Il Senato,

        premesso che:

            l'articolo 30 del disegno di legge in esame, come modificato dalla Commissione Affari costituzionali, prevede l'aggiunta dell'ordinamento scolastico, dell'istruzione universitaria e della programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica tra le materie di competenza esclusivamente statale di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione;

            la competenza regionale quindi si esplica, quanto alle materie, su servizi scolastici, istruzione e formazione professionale, promozione del diritto allo studio, anche universitario, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;

        premesso inoltre che:

            il diritto allo studio, come diritto alla gratuità dell'istruzione oltre i gradi della scuola dell'obbligo discende dall'articolo 34, terzo comma, della Costituzione che recita: "I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.". Pertanto la Repubblica, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 34, quarto comma, della Costituzione, deve rendere "effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.";

            si tratta quindi di un diritto sociale costituzionalmente garantito ai "capaci e meritevoli" consistente nel diritto all'eliminazione di ciò che possa rappresentare un ostacolo alla realizzazione dello stesso;

            a questo proposito, come sottolineato da una parte della dottrina, il diritto allo studio universitario "si manifesta come una delle possibili declinazioni del principio generale di uguaglianza";

            essendo il diritto allo studio universitario un diritto sociale, esso deve essere garantito ad un determinato livello su tutto il territorio nazionale;

            nella sentenza 282/2002 la Corte costituzionale ha precisato che "i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non sono una materia in senso stretto, ma una competenza del legislatore idonea a investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle.";

        considerato che:

            nel corso degli ultimi anni si sono rese evidenti le inefficienze del sistema di diritto allo studio del nostro Paese;

            l'abbandono delle università è il segno più evidente di un sistema di diritto allo studio che non garantisce nei fatti la possibilità a tutti i cittadini di poter studiare indipendentemente dalle condizioni socio-economiche di partenza, né tantomeno, agli aventi diritto la possibilità di fruire delle borse di studio;

            le forti disparità esistenti tra le regioni in materia di diritto allo studio universitario hanno comportato il mancato raggiungimento dell'obiettivo dell'equità di trattamento degli studenti sul territorio nazionale;

            occorre superare le disparità che permangono tra le regioni in materia di diritto allo studio: solo garantendo il libero accesso all'istruzione, sancito dagli articoli 33 e 34 della Costituzione, è possibile combattere l'esclusione sociale e dare finalmente una risposta concreta alle priorità del nostro Paese;

        considerato inoltre che:

            per assicurare l'effettiva attuazione dei diritti di ogni cittadino fin dalla nascita, la promozione delle pari opportunità e dell'inclusione sociale, l'educazione prescolare deve ricevere un'attenzione particolare e l'investimento per un'offerta di servizi educativi prescolari di qualità deve essere riconosciuto come interesse generale;

            già nel 2002 il Consiglio delle Comunità europee ha riconosciuto l'importanza dell'estensione dei servizi prescolari per lo sviluppo economico dei Paesi membri fissando al 33 per cento per i bambini sotto i tre anni e al 90 per cento per quelli dai tre ai sei anni gli obiettivi di copertura dell'utenza da raggiungere entro il 2010. Obiettivo non raggiunto dal nostro Paese e dunque rinviato al 2020;

            questa prospettiva è stata assunta recentemente anche dalla Commissione europea che ha ribadito l'importanza di garantire l'accesso universale a servizi di educazione e di cura per la prima infanzia inclusivi e di buona qualità, perché solo così essi potranno essere efficaci nel combattere le disuguaglianze sociali e tradursi in un risparmio successivo per la società;

            la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato deve garantire per l'infanzia appare riconducibile prevalentemente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e n) della Costituzione,

        impegna il Governo a determinare i livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritto allo studio e di servizi educativi per l'infanzia al fine di assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento delle stesse, come sancito dalla Corte costituzionale.”

 

E’ del tutto evidente come l’o.d.g. accolto dal Governo non riguardi in alcun modo quel diritto allo studio che in molte regioni, in violazione dei principi fondamentali sanciti dalla legge n.62/2000, ha consentito la realizzazione di un incostituzionale finanziamento (indiretto) delle scuole paritarie.

CONCLUSIONI

 

Forse non è inopportuno ricordare anche ai legislatori nazionali, dal momento che quelli regionali lo hanno in larga misura dimenticato, che quel principio fondamentale, tuttora in vigore , secondo il quale le borse  di studio devono essere caratterizzate dalla pari entità per studenti delle scuole statali e per gli  studenti delle scuole paritarie causò, dopo la sua approvazione, l’uscita del CDU di Rocco Buttiglione dal governo D’Alema.

Oggi il fatto che Buttiglione  e la sua componente politica,  saldamente al governo del paese, non abbiano avuto nulla da obiettare circa le modifiche intervenute su tale materia non può lasciare indifferenti tutti coloro che hanno a cuore il rispetto dei principi costituzionali.

Il nuovo articolo 117 della Costituzione:

elimina il concetto di legislazione regionale concorrente da esercitarsi entro i limiti determinati dalle leggi dello Stato e di  conseguenza anche il concetto di principio fondamentale;

estende l’area delle competenze esclusive dello Stato inserendovi, tra l’altro, quelle relative “all’ordinamento scolastico”;

aggiunge per tutte le materie di competenza esclusiva statale di cui alla lettera n) alle “disposizioni generali” anche quelle “comuni”.

Allo stato attuale del testo a mio parere ne conseguono due possibili interpretazioni.

Tali distinte interpretazioni derivato da fatto di considerare o meno il diritto allo studio tra le disposizioni generali e comuni che riguardano l’istruzione e l’ordinamento scolastico.

La prima interpretazione sembrerebbe la più fondata anche per il fatto che la competenza legislativa regionale riguarderebbe solo gli aspetti della “promozione” del diritto allo studio. Cosi  circoscritta la competenza regionale, ad un ambito che nel precedente ordinamento si sarebbe definito di dettaglio, ne risulterebbe di conseguenza confermata l’assegnazione delle competenze di principio alla legislazione statale. Esse sarebbero  rinvenibili  tra quelle che riguardano l’istruzione e l’ordinamento scolastico. In questo caso la normativa che regola attualmente i principi fondamentali, a partire da quella presente nella legge di parità, verrebbe collocata nell’area delle disposizioni comuni.

La seconda interpretazione, in assenza di una esplicita elencazione della materia diritto allo studio tra le competenze esclusive statali, potrebbe portare a sostenere la tesi che la “promozione” del diritto allo studio dovrebbe riguardare non solo le materie di dettaglio ma anche quelle di principio. Ciò anche perché questo è avvenuto in molti casi anche in presenza dei principi fondamentali che regolavano l’ordinamento vigente.

Le conseguenze di un tale percorso sono tanto evidenti quanto, a mio parere, devastanti:

La legge di parità risulterebbe in gran parte abrogata e sostituita da normative, anche diverse tra loro, approvate in sede regionale.


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