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L'ADige-Maledetto sia il liceo:la Moratti e i futuri periti

Maledetto sia il liceo: la Moratti e i futuri periti (segue dalla prima pagina) ...da tre degli interventi di ieri, quelli del presidente degli industriali trentini Gianfranco Pedri, del con...

09/06/2003
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L'Adige

Maledetto sia il liceo:
la Moratti e i futuri periti

(segue dalla prima pagina)

...da tre degli interventi di ieri, quelli del presidente degli industriali trentini Gianfranco Pedri, del consulente ministeriale Rosario Drago, dello storico professore delle Iti Silvano Bert. Perché tutti e tre hanno delle buone ragioni, e pur dicendo cose diverse con accenti diversi, finiscono per disegnare insieme la scuola che ci vorrebbe, che ci piacerebbe per i nostri figli e nipoti.
* * *
Pedri ricorda i tempi eroici dei diplomandi del favoloso '57 (all'Iti di Trento, allora unico per l'intera provincia: ore interminabili di lima e di tornio, vitaccia da pendolari in giro dalle sei di mattina alle otto di sera, insegnanti severissimi che interrogavano e se non sapevi te ne tornavi al posto con un bel due per l'andata più due per il ritorno), Pedri esalta la fatica, l'elasticità, "le risorse umane come bene più prezioso" e contemporaneamente chiede che lo studente formato in collaborazione con l'azienda (e magari anche per certi periodi "dentro" l'azienda), all'azienda venga al più presto restituito come giovane addetto: poco costoso, molto disponibile, ben preparato.
Bert invece ricorda che Michelangelo Buonarroti (a cui deve il nome la scuola) non era solo un tecnico, uno scultore, un architetto: ma anche un artista, un amante della vita, un poeta, un intellettuale a tutto campo. Per dire, più o meno, che anche i periti hanno diritto alla bellezza e alla fruizione (perdonate l'orrida parola) delle cose "alte". Per Bert, l'insegnante dev'essere inoltre maestro della virtù "politica" della partecipazione e della lettura critica della realtà, perché non bisogna fidarsi dei miti della Tecnica e perché dalla scuola dovrebbero uscire "produttori intelligenti, consumatori esigenti, cittadini pensanti", mentre va a rotoli il mondo inventato dalla civiltà della macchina. Anche dalle Iti, insomma, è importante che escano persone capaci di pensare, oltre che forza lavoro addestrata al fare.
Mentre parla Bert, umanista che ha dedicato una vita ai periti, l'ex umanista ed ex dirigente di istituto tecnico Rosario Drago sbuffa e s'arrabbia, perché secondo lui è il virus umanista-liceale che infetta la scuola italiana e le impedisce di cambiare come vorrebbero la ministra Letizia e il Cav.
* * *
Il quadro dipinto dal consulente della Moratti è impressionante. Ve lo snocciolo con la stessa allegra brutalità con cui l'ha tratteggiato Drago, per la delizia o l'indignazione degli astanti:
1) Dobbiamo ancora fare il funerale a Giovanni Gentile: il grande riformatore dell'era fascista odiava l'istruzione tecnica e da allora gli istituti tecnici sono rimasti i figli non voluti, poco amati e trascurati.
2) Eppure proprio i "tecnici", fino a metà degli anni Settanta, sono stati i protagonisti - anche se misconosciuti - del boom industriale italiano. Non solo: erano all'avanguardia nella gestione, con consigli d'amministrazione presieduti dagli industriali e stretto raccordo con le imprese.
3) I decreti delegati con i consigli d'istituto e la cogestione figlia del Sessantotto hanno cancellato questa tipicità e omologato tutto. E ora il biennio di un istituto tecnico è praticamente uguale a quello dei licei; l'esame di Stato è identico, tutto teorico; il 75% dei curricoli è uguale.
4) Risultato della crisi: gli istituti tecnici hanno perso tipicità, identità e iscritti (meno 7% in dieci anni). E può accadere, grazie a quella "Lourdes linguistica" che ha trasformato le bocciature in "debiti formativi", che un perito si diplomi senza avere mai avuto una sufficienza nelle materie tecniche caratterizzanti il suo corso di studi!!!!.
5) Differenziare i percorsi formativi è la parola d'ordine.
6) Seconda parola d'ordine: le esperienze lavorative vanno fatte il prima possibile, perché la formazione moderna non è un continuum, ma funziona a salti: si va in azienda, si torna a scuola, si va in un'altra azienda...
7) D'altronde è questo che dobbiamo garantire agli iscritti agli istituti tecnici, che sono ragazzi che vengono da una non incoraggiante esperienza alle medie, a cui è stato già detto che non sono capaci, non all'altezza del liceo, che hanno problemi di autostima, che non sono stati valorizzati. A questi ragazzi non si può proporre la fatica per la fatica (la "lima" dei tempi eroici), ma un impegno anche duro purché finalizzato a trovare, presto, uno sbocco di lavoro.
8) Gli istituti tecnici dunque non dovrebbero "liceizzarci", ma è probabile che finiranno per esserlo, perché tutte le mamme vorrebbero poter raccontare alla verduraia che il proprio pargolo è al liceo, e il parlamento è pieno di ex liceali che vogliono fare contente le mamme.
9) Il fatto è che siamo tutti figli di mamma, e i liceali hanno cominciato già all'età di quattro anni a dire alla zia (per fare contenta mamma) che loro faranno gli avvocati o i medici o gli ingegneri, e dunque sono stati condizionati, sospinti, assillati con lo studio a casa, sorretti e psicofisicamente allenati a farsi il mazzo sui libri per almeno vent'anni (la durata media effettiva di un corso di laurea in ingegneria è 8 anni virgola 7), per cui sono organismi familiarmente modificati (mi permetto di tradurre così Drago) che solo dopo i trent'anni cominceranno a lavorare e a sposare la morosa, ma almeno finiranno nell'upper class (la fetta più "su" della torta sociale).
10) E ora che le donne hanno superato i maschi sia tra i diplomati sia tra i laureati, che sono il 67% degli iscritti al liceo classico, che sono l'80% di tutti gli insegnanti, il virus liceale infetterà altre future mamme che infetteranno i futuri figli, in un cortocircuito per cui generazioni di fanciulle ed ex fanciulle nascono, vivono, insegnano e muoiono sempre dentro l'universo autorecluso della scuola "liceizzata".
11) Risultato: tra cinque anni non ci saranno più ingegneri, né tecnici laureati, negli istituti tecnici, mentre la graduatoria di lettere, traboccante di donne, offre docenti per i prossimi 97 anni.
12) Conclusione sconsolata: tra i 28 Paesi dell'Ocse, gli studenti italiani sono al secondo posto nel grado di insoddisfazione: il 30% non vorrebbe proseguire negli studi che ha intrapreso.
* * *
Il quadro scolast-apocalittico dipinto da Drago si è contrapposto all'apocalisse epocale evocata da Bert. Il consulente ottimista ha attaccato ingenerosamente il professore preoccupato, per sostenere la necessità di professionalizzare al massimo gli istituti tecnici che insegnano a lavorare, contrapponendoli ai licei che insegnano a pensare.
Ma è proprio questa contrapposizione radicale, questo "scontro di civiltà", che alla fine non convince: perché per rendere efficace il racconto di una scuola italiana dove "tutto è sbagliato tutto da rifare" (se la Moratti avesse letto Bartali...), Drago è costretto a fare la caricatura di una scuola che (almeno qui in Trentino, secondo l'esperienza di tutti) è molto più avanti di quella dipinta da lui, dove la musica si insegna raccontando la vita di Mozart (bastava che Drago fosse venuto alle Pedrolli di Gardolo, venerdì sera, per vedere quanta "professionalizzazione strumentale" è stata insegnata dai docenti di musica ai dodicenni...).
E così, alla fine, mi inquieta Drago ma mi convince Bert, quando ricorda che Leopardi è un diritto anche per un perito elettrotecnico, non solo un privilegio per liceali (o per ginnasiali bravissimi come quelli che ho incontrato al "Prati" gli ultimi due giovedì, per le lezioni di giornalismo, belle facce attente di ragazze e ragazzi che non mi sembrano una generazione perduta e neanche una covata di futuri vip rimbecilliti dal licealismo dei genitori).
E così, alla fine, penso che abbia ragione quel prof dell'Iti (Cofler) che ha chiesto di non contrapporre il saper fare e il saper pensare.
Al liceo prevarrà il saper pensare, ma perché i bravi, educatissimi ginnasiali del Prati dovrebbero essere esentati dal saper fare? E perché i ragazzi dell'Iti, pur specializzati nel saper fare e destinati a guadagnarsi presto il pane, dovrebbero essere discriminati e impediti al saper pensare che insegna Bert?
Se non altro perché un liceale può sempre imparare ad aggiustare un computer, se ci si mette d'impegno; mentre un perito edile è difficile che a ventiquattro o a trentadue anni possa scoprire la bellezza degli Ossi di seppia di Montale, se nessuno gli ha mai letto una poesia.
Insomma, la ministra Letizia non dovrebbe licenziare i Bert (a parte che lui è già in pensione) dagli istituti tecnici, perché Inglese Internet e Impresa sono indispensabili ma non sufficienti.
Insomma, restando alle "I", l'Italiano di Italo (Calvino) non dev'essere un privilegio liceale. Anche un perito elettrotecnico, un giorno, può diventare un Barone Rampante, arrampicato sugli alberi a cercare, tra cielo e terra, il suo (personale) sentiero.
PAOLO GHEZZI


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