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L'accusa di Visco: il 40% degli studenti ha competenze disallineate rispetto a quelle richieste dal mercato del lavoro

Il governatore di bankitalia: circolo vizioso tra ritardo degli studenti e bassa produttività

05/06/2018
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ItaliaOggi

    

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«Una formazione che abbracci, oltre agli anni dell'istruzione, l'intera vita lavorativa». Questa, «una sfida cruciale per il nostro Paese», sottolineata dal governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, giovedì, nelle considerazioni finali della sua relazione annuale. «La bassa produttività e l'insufficiente capacità di innovare», infatti, «riflettono anche il ritardo in termini di conoscenza e di competenze degli studenti e degli adulti italiani nel confronto internazionale, concorrendo allo stesso tempo a determinarlo». Un «circolo vizioso» che, spiega, «contribuisce a mantenere i tassi di occupazione e di partecipazione su livelli inferiori a quelli prevalenti negli altri Paesi europei».

La dinamica della produttività dell'Italia risulterebbe indebolita non solo dal basso livello di competenze possedute dagli adulti, all'ultimo posto nell'Ocse per quelle linguistiche e al penultimo per quelle matematiche (indagine Piaac). Ma anche dal loro disallineamento rispetto alle competenze richieste dalle imprese. In un lavoro di prossima pubblicazione la Banca d'Italia mostra come in media nel decennio 2005-2015 il 40% dei lavoratori italiani possedeva un livello di istruzione significativamente diverso da quello richiesto nella professione svolta.

Percentuale superiore a quelle di Francia, Germania e alla media dell'Unione europea, ma inferiore al dato spagnolo. «La questione della qualità del capitale umano», insiste Visco, «assume particolare rilevanza nella prospettiva di una crescente diffusione delle nuove tecnologie e della conseguente minore domanda di lavoro per attività standardizzate e ripetitive». Il disallineamento in Italia riflette soprattutto il possesso di titoli di studio inferiori a quelli richiesti (undereducation), anche se gradualmente attenuto nel tempo grazie al progressivo innalzamento dei livelli di scolarizzazione.

Al contrario, il possesso di titoli di studio superiore a quelli richiesti (overeducation) vi incide meno ed è dovuto al fatto che sono in assoluto poche le persone con un'istruzione molto elevata. Ciononostante quasi il 50% dei laureti viene impiegato in professioni che non richiedono la laurea: una percentuale superiore a quella dell'area.

Una situazione che secondo la Banca d'Italia va ricollegata «alle criticità con cui nel mercato del lavoro viene allocata la manodopera qualificata, in particolare al basso valore segnaletico dei voti accademici e al complesso processo di transizione dallo studio al lavoro». Basti pensare che nei primi 5 anni della carriera lavorativa i lavoratori sovraistruiti sfiorano addirittura il 60%. Per di più, l'overeducation, costante fino al 2013, è cresciuta negli ultimi anni. All'aumento dei livelli di scolarità della popolazione, quindi, si è contrapposto un incremento occupazionale che ha privilegiato le professioni meno qualificate.

«La presenza di un diffuso disallineamento tra i livelli di istruzione dei lavoratori e le competenze richieste nel mercato del lavoro», osserva Bankitalia, «contribuisce a comprimere i rendimenti dell'istruzione, che in Italia sono bassi nel confronto con gli altri principali Paesi avanzati». Rispetto ai coetanei il cui livello di studio è allineato con quello richiesto dalla professione, infatti, si rileva una penalizzazione salariale di circa il 15% per i laureati italiani sovraqualificati e, specularmente, un premio del 10% per i diplomati sottoqualificati.

L'effetto congiunto dei due fenomeni può spiegare circa del divario nei rendimenti dell'istruzione tra l'Italia e la media dell'area dell'euro. «Senza adeguati investimenti in formazione, pubblici e privati» conclude Visco, «gli effetti negativi sull'occupazione saranno forti, le disuguaglianze di reddito si accentueranno».


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