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Italia Oggi-Confronto Miur-sindacati sui temi dell'astensione di venerdì.

Confronto Miur-sindacati sui temi dell'astensione di venerdì. Riforma Moratti Faccia a faccia sullo sciopero La scuola in sciopero. Venerdì prossimo si consumerà nuovamente lo scontro fra g...

23/03/2004
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ItaliaOggi

Confronto Miur-sindacati sui temi dell'astensione di venerdì.

Riforma Moratti Faccia a faccia sullo sciopero
La scuola in sciopero. Venerdì prossimo si consumerà nuovamente lo scontro fra governo e sindacati sulla scuola, anche se questa volta in un contesto più ampio, quello delle riforme delle pensioni e del mercato del lavoro, dell'economia che non va e di relazioni sindacali ormai al lumicino. La protesta della scuola, analogamente a tutto il pubblico impiego, riguarderà l'intera giornata di venerdì prossimo e non solo quattro ore, come invece per gli altri settori. Cgil, Cisl e Uil contano su un'ampia partecipazione dei lavoratori, sulla scia di quanto avvenuto il 24 ottobre scorso, per lanciare un segnale chiaro al governo sulla necessità di fare passi indietro su alcuni progetti di riforma, e in generale sulla politica di sviluppo del paese, per tornare a una nuova stagione di concertazione.

Fra i settori più delicati nei quali si è consumata la rottura c'è appunto la scuola, coinvolta negli ultimi anni da un ampio processo di cambiamento, il cui simbolo è la riforma dei cicli scolastici, che il ministro dell'istruzione, Letizia Moratti, vorrebbe di ammodernamento e razionalizzazione, e che i sindacati invece accusano essere di dequalificazione.

Con lo 'Speciale sciopero scuola', ItaliaOggi vuole offrire ai lettori uno strumento in più per capire i motivi degli uni e degli altri. Abbiamo scelto nove domande, fra le tante possibili e sulle quali si interrogano insegnanti, dirigenti, amministratori, genitori e studenti, a cui rispondono il sottosegretario all'istruzione, università e ricerca, Valentina Aprea, e i segretari scuola di Cgil, Cisl e Uil, rispettivamente Enrico Panini, Daniela Colturani e Massimo Di Menna. Dalle risposte dei due fronti, quello governativo e quello sindacale, emerge una situazione in evoluzione, nella quale si sono definitivamente abbandonate alcune certezze del passato senza che vi siano nuove certezze per il presente.

Su alcuni aspetti, dalla devolution alle risorse, dalla riforma della scuola all'obbligo scolastico, i punti di vista dei due fronti sono completamente divergenti.

C'è un aspetto però che non è messo in discussione: il cambiamento non è più rinviabile, la scuola dovrà cambiare e con essa la gestione del personale, delle risorse, i programmi, le competenze e i poteri. E per farlo il confronto tra le parti diventa un passaggio indispensabile. (riproduzione riservata)

Berlusconi ha annunciato di aver previsto

un piano finanziario per la scuola di 19 mila miliardi di vecchie lire. I sindacati replicano che non ci sono le risorse neanche per rinnovare

il prossimo contratto e per finanziare la riforma

risposta MIUR

Non si tratta di un 'annuncio', è quanto previsto da un atto ufficiale approvato dal consiglio dei ministri il 12 settembre 2003, denominato Piano programmatico di investimenti per l'istruzione 2004/2008, per un importo complessivo di più di 8 miliardi di euro. Il governo, dunque, si è assunto responsabilmente l'impegno, così come prevede la stessa legge, di quantificare 'i costi' della riforma a regime in un quinquennio, per garantire l'adeguata copertura finanziaria a ciascuno dei decreti attuativi. Già la legge finanziaria per il 2004 ha previsto 90 milioni di euro destinati ai primi interventi attuativi della riforma, quali il cablaggio delle scuole, l'avvio del servizio nazionale di valutazione e la lotta alla dispersione scolastica attraverso l'esercizio del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione.

Sempre riguardo all'attuazione della riforma, va ricordato che la stessa legge n. 53/2003 ha stanziato le risorse necessarie ai primi effetti della riforma, quali l'anticipo nella scuola primaria e la generalizzazione dell'insegnamento della lingua inglese sin dalla prima classe. Le risorse stanziate sono state 12,7 milioni di euro per l'anno 2003, 45,8 milioni di euro per l'anno 2004 e 66,2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2005. Già per l'anno scolastico 2003/2004 tali finanziamenti hanno consentito l'assunzione di più di 1.500 docenti di scuola primaria, soprattutto specialisti di lingua inglese. È evidente che le risorse ci sono, e sono anche già impegnate in modo concreto su specifiche voci di spesa.

risposta cisl

Il piano finanziario pluriennale per la scuola di 19 mila miliardi di vecchie lire, di cui mena vanto il premier Silvio Berlusconi, rimane un classico esempio di quella politica degli annunci che è distante da un'azione politica concreta e determinata. Di fatto, nella Finanziaria 2004 per la scuola sono stati iscritti in bilancio 90 milioni di euro, poco più dell'1% dell'intera cifra del piano.

La riforma rimane non finanziata tant'è che occorreranno, dopo il pesante rilievo della commissione bilancio in occasione dell'approvazione del primo decreto attuativo, specifici provvedimenti per la copertura di spesa. Non sono indicate nella Finanziaria le necessarie risorse per il secondo biennio economico 2004/2005 del contratto scuola: la cifra stanziata non garantisce neanche la copertura dell'inflazione programmata. Non vi è traccia, a contratto scaduto da più di due anni, di risorse da utilizzare per il rinnovo contrattuale della V area della dirigenza scolastica.

Tra gli effetti della riforma ci sarà

anche una riduzione del personale?

risposta MIUR

Più che una riduzione, credo che le innovazioni della riforma, sia organizzative sia di contenuti, comporteranno variazioni nelle tipologie di personale docente necessario, come, per esempio, più docenti di lingue comunitarie, ma anche docenti che possano insegnare matematica, scienze e tecnologia. Fattori che stanno causando riduzioni di organico non sono imputabili al processo di riforma in corso quanto ad altri fenomeni, a partire dagli andamenti demografici, per i quali il nostro paese si colloca in fondo a tutte le classifiche internazionali. Dal punto di vista dell'efficienza della spesa pubblica, inoltre, tutti i principali parametri (a partire dal rapporto docenti-alunni, ma anche orari di lavoro) ci vedono molto al di sotto delle medie Ue ed Ocse. Ma, ripeto, tali elementi sono del tutto estranei alla riforma, al contrario di quanto sarebbe successo con la proposta di riforma della precedente legislatura, che avrebbe accorpato la scuola elementare e la scuola media riducendone di un anno la durata (da otto a sette anni) e causando la soppressione delle relative cattedre e posti di lavoro (stimati in almeno 30 mila).

risposta uil

È una delle conseguenze che vogliamo assolutamente evitare: riducendo il tempo scuola e determinando l'organico in conseguenza delle opzioni ci sarà una riduzione del personale. Noi protestiamo e scioperiamo proprio per avere stabilità degli organici. I lavoratori della scuola hanno ragioni sufficientemente chiare e concrete per rappresentare tutto il loro disagio e il sindacato è impegnato ad affrontare con determinazione e chiarezza un percorso di proposte e protesta. Nel decreto e nella circolare l'azione sindacale è riuscita ad avere assicurazioni per il prossimo anno, o per i prossimi tre, in alcuni casi. Ciò dimostra che è possibile, con l'azione sindacale, con il confronto, risolvere i problemi.

Lo sciopero darà forza alla nostra rivendicazione. La proposta lanciata dalla Uil scuola è quella di un organico stabile pluriennale.

Ciò consentirebbe alle scuole, in un clima di certezza e tranquillità, di realizzare una buona didattica, flessibilità progettuale, personalizzazione dell'offerta formativa.

Scuola dell'infanzia: cosa cambia da settembre per insegnanti e famiglie? Chi potrà iscrivere prima i bambini?

risposta MIUR

Sono state introdotte, in attesa dell'adozione definitiva, le indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative, che hanno aggiornato gli 'Orientamenti' del 1991. Sono stati estesi e resi più flessibili i modelli orari, per venire incontro alle esigenze delle famiglie. Sono state aperte nuove sezioni, per ridurre le liste di attesa, per una progressiva generalizzazione dell'offerta di questa scuola. Per quanto riguarda la possibilità di anticipare l'iscrizione per i bambini che compiono i 3 anni entro il 28 febbraio 2005, è stato raggiunto un importante accordo con l'Anci, che consentirà in forma sperimentale e graduale alle famiglie tale opportunità laddove si registreranno le condizioni di fattibilità, concordate con i singoli comuni, quali: esaurimento delle liste di attesa; disponibilità dei posti nella scuola interessata; assenso del comune a potenziare i servizi strumentali aggiuntivi (trasporti, mense, attrezzature ecc.). A livello organizzativo, si sperimenteranno un più basso rapporto docente-alunni anticipatari e le nuove figure professionali previste dalla legge.

risposta cgil

La scuola dell'infanzia viene ridotta a servizio a domanda individuale. Infatti, il progetto educativo della scuola dovrà essere compatibile, secondo il ministero, con gli organici assegnati e le richieste delle famiglie, senza alcun riferimento agli standard di qualità in difesa dei diritti dei bambini. Inoltre, se fino ad oggi l'orario antimeridiano nella scuola dell'infanzia era possibile solo in via eccezionale e transitoria, ora, su richiesta delle famiglie, diventa pratica ordinaria. Anziché scuole trasformate in parcheggi c'è bisogno di giornate educative significative e di percorsi formativi efficaci e rispettosi dei ritmi di apprendimento. In presenza di intese con i comuni potranno essere iscritti bambini che abbiano compiuto tre anni entro il 28 febbraio 2004. Che a noi risulti, non è stata sottoscritta alcuna intesa! Trovo straordinario che il decreto legislativo n. 59 affermi che la sperimentazione dell'anticipo deve essere 'volta anche alla definizione delle esigenze di nuove professionalità e modalità organizzative'. Insomma: ora si iscrivono i bambini poi si sperimenta sugli insegnanti!

Quale sarà l'offerta minima che le scuole dovranno garantire alle elementari e alle medie?

risposta MIUR

Occorre anzitutto distinguere ciò che è obbligatorio per le famiglie e per le scuole. Da questo punto di vista, l'orario minimo annuale previsto dalla riforma per la scuola primaria e secondaria di primo grado, di 891 ore annue (pari ad una media di 27 settimanali), si riferisce all'orario minimo obbligatorio per gli studenti. Le istituzioni scolastiche, invece, sono tenute per legge, singolarmente o anche in rete, ad ricomprendere nella propria offerta formativa fino a ulteriori 99 (per la primaria) e 198 (per la secondaria di 1° grado) ore annue, raccordandosi con le esigenze delle famiglie e degli studenti. Queste ore aggiuntive, coordinate con il progetto educativo e didattico ella scuola, attraverso l'inserimento nel piano dell'offerta formativa, sono pertanto facoltative e opzionali per gli studenti, ma obbligatorie per le scuole.

risposta cgil

Sarà quella che decideranno le scuole. Non potrà essere inferiore ai limiti minimi orari fissati con il decreto n° 59 ma potrà essere diversa e superiore. Ovvero, l'autonomia scolastica consente ad ogni scuola di confermare, legittimamente, il piano dell'offerta formativa già deliberato per il 2003-'04 anche per il prossimo anno scolastico. Infatti, con l'approvazione della legge costituzionale 3/01, l'autonomia viene tutelata dalla Costituzione che, all'art. 117, recita: 'Sono materia di legislazione concorrente quelle relative a:É.. istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolasticheÉ'. Il dpr n. 275/99 definisce compiutamente gli ambiti e i poteri. In sostanza, la scuola da terminale passivo del ministero diventa garante della quantità e della qualità dell'offerta formativa che propone al territorio e ne è responsabile. L'autonomia non può essere relegata ad argomento per pomposi convegni o a pura questione di stile come nella circolare n. 29 o a riserva indiana confinata alle attività opzionali. L'autonomia costituzionalizzata è responsabilità piena e come tale va esercitata.

Tempo pieno alle elementari e prolungato alle medie: quali novità?

risposta MIUR

Il tempo pieno e il tempo prolungato, soluzioni introdotte nei primi anni Settanta, hanno costituito sino ad oggi un'offerta formativa significativa ed innovativa rispetto al modello del tempo normale, per circa un quinto degli studenti italiani. La nostra riforma rinnova tali modelli, introducendo, come peraltro richiesto da una reale autonomia delle istituzioni scolastiche, elementi di flessibilità e maggior raccordo con le famiglie nell'articolazione dei tempi-scuola. Nelle ore facoltative opzionali, sarà possibile valorizzare meglio di oggi i talenti, gli interessi, le attitudini di ciascuno, ma anche recuperare con più efficacia eventuali ritardi di apprendimento. In questo modo, contiamo di coniugare gli aspetti positivi delle attività svolte in gruppo-classe (per l'orario minimo obbligatorio) con le potenzialità di parziali personalizzazioni del percorso attraverso gruppi non necessariamente coincidenti alla classe per le attività facoltative opzionali.

risposta cisl

Novità di segno negativo. Il decreto abroga formalmente gli ordinamenti della scuola primaria e secondaria di primo grado, il tempo pieno e il tempo prolungato come modelli di organizzazione della offerta formativa, frutto di un progetto formativo sotto il profilo pedagogico e didattico commisurato alla domanda sociale e culturale delle famiglie e degli alunni, flessibile nell'organizzazione dei tempi e ricco nell'utilizzazione delle risorse professionali.

Il nuovo modello prefigurato dal decreto è in realtà la pura somma aritmetica di tempi diversi (orario obbligatorio - orario per attività opzionali - tempo mensa), per altro garantito solo per il prossimo anno scolastico e compatibilmente con gli organici esistenti, in cui manca unitarietà e organicità di progetto educativo.

La discontinuità rispetto al passato, che è il tratto fondamentale di tutta la legge 53, si manifesta appieno anche in questo caso.

È vero che si riducono le ore di lezioni di alcune materie, come l'inglese alle medie?

risposta MIUR

Innanzitutto una premessa. Per la prima volta nella nostra storia si possono distendere le conoscenze e le abilità che si domanda alla scuola e ai docenti di trasformare in competenze di tutti i cittadini italiani su 12 anni, non più come ora su nove. Quanto alla lingua inglese, il Consiglio d'Europa ha fissato in 370-380 ore l'attività complessiva minima di insegnamento della prima lingua straniera nell'arco temporale corrispondente al nostro primo ciclo di istruzione. Nella nuova scuola riformata, il primo ciclo di istruzione erogherà nell'arco di otto anni almeno 459 ore obbligatorie di insegnamento della lingua inglese, delle quali almeno 297 nella scuola primaria (33 settimane di insegnamento per un'ora nella prima classe e due ore in ciascuna delle successive classi, pari a 297 = 9 x 33), e almeno 162 nei tre anni della scuola secondaria di I grado (minimo 54 ore annue per tre anni). Questa quantità rappresenta la base minima, obbligatoria, garantita che può arricchirsi di ulteriori momenti di ampliamento e di approfondimento, anche nel quadro orario facoltativo e opzionale previsto sia per la scuola primaria sia per la secondaria di primo grado. Inoltre, il problema dell'insegnamento delle lingue comunitarie non va valutato con esclusivo riferimento alla scuola secondaria di primo grado, ma deve essere considerato in una visione d'insieme che comprende anche il 2° ciclo; con l'introduzione del diritto-dovere all'istruzione e formazione professionale fino al 18° anno di età, ovvero fino al conseguimento di una qualifica professionale, infatti, la lingua inglese sarà presente per l'intera durata dei due cicli.

risposta uil

È vero: nella scuola media con la riduzione a 27 ore diminuiscono le ore di italiano, inglese e tecnica. Una contrazione delle ore di insegnamento che non viene risolta dal sistema delle opzioni. A questo va aggiunto che il modello 'opzioni-attività-organici' introduce incertezza nell'organico. Si arriva addirittura a sottoporre il permanere della titolarità degli insegnanti nella scuola (per italiano, inglese e tecnica) alle eventuali opzioni. Sono del tutto evidenti le ragioni della nostra contrarietà: viene ridotto il valore dell'istruzione. È difficile sostenere che si può migliorare la conoscenza dell'italiano o la fluidità dell'inglese riducendo le ore di queste materie. Alla preoccupazione legata all'instabilità del proprio lavoro si aggiunge il rischio di andare in mobilità. Questo aumenta le tensioni nelle scuole. La Uil al contrario è impegnata per la qualità e la modernizzazione. Gli insegnanti devono essere coinvolti in tali processi e non trattati da 'oggetto' di decisioni. La Uil rivendica un confronto vero su queste tematiche.

I sindacati lamentano invasioni legislative in materie contrattuali. Per esempio, il tutor dovrebbe essere introdotto solo a seguito di specifica previsione contrattuale e non per legge

risposta MIUR

Il Contratto nazionale 2002-2005, oltre ad avere riconosciuto al personale della scuola il più alto incremento medio dal 1988 a oggi, ha previsto all'articolo 43 forme di concertazione per tutte le ricadute sul piano delle prestazioni lavorative che le innovazioni della legge 53/2003 comporteranno. Il governo ha tenuto una condotta corretta, riconoscendo con chiarezza le competenze legislative da un lato e quelle contrattuali dall'altro. Credo, infatti, che vada rimarcata, proprio nell'interesse dei lavoratori, la distinzione tra provvedimenti normativi, di competenza del decisore politico, e le ricadute sul piano lavorativo che questi provvedimenti possono comportare, di competenza contrattuale.

Rispetto al tutor, in ogni caso, l'aver previsto per legge questa funzione che arricchisce il profilo professionale del docente ha voluto significare per noi che essa rappresenta un livello essenziale di prestazione all'interno dell'organizzazione scolastica per la realizzazione della personalizzazione dei piani di studio e la compilazione del portfolio delle competenze: due aspetti fortemente innovativi delle riforma.

risposta cgil

Sulle inaccettabili invasioni di prerogative contrattuali, Cgil, Cisl e Uil hanno già deciso di rivolgersi alla magistratura. Con le attuali leggi, se il datore di lavoro intende cambiare una norma contrattuale (modificare la cadenza della mobilità), intervenire sull'organizzazione del lavoro o sull'orario, introdurre professionalità (per esempio, il tutor) deve, con un atto di indirizzo all'Aran, chiedere l'avvio di una trattativa contrattuale e deve aspettarne gli esiti. In particolare ciò è ulteriormente ribadito dall'art. 43 del nostro contratto collettivo naszionale sottoscritto anche dal governo! Il ministro invece ha pensato di aggirare la contrattazione con un decreto che viene spacciato come autoapplicativo. Niente di più sbagliato alla luce delle attuali norme.

Applicare con atti unilaterali il decreto, per le parti che invadono la contrattazione, significa rendersi responsabili della presentazione di migliaia di ricorsi al giudice del lavoro e subirne le sanzioni. Infine, ricordo che a livello di scuola esistono già precisi ed inderogabili vincoli contrattuali (art. 6, lett. d) e i) del Ccnl).

risposta MIUR

L'obbligo scolastico ha proceduto di pari passo con la diffusione della scuola di massa, via via esteso fino al 15° anno di età. Eppure, nonostante questo progressivo allargamento dell'obbligo formale, il sistema scolastico italiano non ha mai superato il fenomeno della dispersione, che raggiunge ancora oggi livelli inaccettabili per un paese moderno. Tutto ciò significa che sebbene l'obbligo scolastico sia stato garanzia di passaggio, nel nostro paese, da una scuola d'élite a una scuola di massa, esso non è riuscito a garantire il successo formativo per tutti e, soprattutto, la mobilità sociale. Dunque, nonostante il grande sviluppo quantitativo dell'istruzione e la tendenza all'universalizzazione dei titoli di studio, si registra ancora un effetto della condizione sociale e familiare di partenza sul successo formativo e, soprattutto, sulla qualificazione culturale e professionale (conseguimento di qualifiche professionali o titoli di studio), con riflessi negativi anche rispetto all'esercizio della cittadinanza attiva. La legge delega n. 53/2003 ha scelto di superare il concetto di 'obbligo', conferendo alla frequenza scolastica dei giovani un significato (oltre che un valore) più ampio e comprensivo delle nuove sensibilità democratiche, qualificandolo diritto-dovere di istruzione e di formazione per tutti i cittadini per almeno 12 anni o fino al conseguimento di una qualifica professionale. Si tratta di un rovesciamento di prospettiva: non più il cittadino obbligato, ma lo stato obbligato. Obbligato a realizzare le condizioni del diritto del cittadino. Cambiano, così, la natura e la durata della frequenza scolastica, che si collocano ora nella sfera dei diritti di cittadinanza e non più in quelle degli obblighi (o prestazioni individuali vincolate e coattive) fissati dallo stato.

risposta cisl

Il dato formale e sostanziale della legge è l'abolizione dell'obbligo scolastico per la durata di nove anni, da noi peraltro ritenuta insufficiente. L'esigibilità del nuovo diritto-dovere, che la legge 53 afferma essere costituzionalmente tutelato, è del tutto incerta per la mancanza del prescritto decreto legislativo e soprattutto perché la riforma ne prevede una attuazione graduale, comunque subordinata alla disponibilità di effettive risorse finanziarie.

La contraddizione è evidente. Il vuoto che si crea nei percorsi scolastici e formativi è preoccupante. In mancanza di una fase transitoria regolamentata si accresce il rischio dell'abbandono, interrompendo quel percorso virtuoso orientato a livelli più alti di istruzione e formazione. Infatti, oltre alle possibili scelte di prosecuzione degli studi nella scuola superiore, nei corsi di formazione professionale, nei nuovi percorsi triennali sperimentali, previsti dall'accordo quadro tra Miur, ministero del lavoro, regioni, ee.ll., si profila per i giovani l'opzione zero, cioè la scelta del nulla oltre la scuola media.

Tra i motivi della protesta, anche la devolution, che rischia, lamentano i sindacati, di affossare la scuola italiana e di togliere spazio all'autonomia degli istituti

risposta MIUR

Con riferimento all'istruzione, la Legge costituzionale n. 3/2001 ha proceduto ad una nuova ripartizione delle competenze tra lo stato e le regioni, mantenendo in capo al primo il compito di definire le norme generali dell'istruzione, e assegnando alle regioni la potestà di legislazione esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale, nonché potestà di legislazione concorrente in materia di istruzione. Per queste ragioni possiamo ben dire che, con il nuovo dettato costituzionale, si è già superato il preesistente monopolio statale dell'istruzione. Si afferma un nuovo concetto di scuola, che non è più la scuola esclusiva dello Stato in senso stretto, ma scuola della repubblica. Inoltre, il principio dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, prima espresso solo da una legge ordinaria, con la Legge n.3/2001 ha assunto rilievo costituzionale e, per ciò stesso, diviene esplicitazione fondamentale per il disegno e l'architettura della gestione e dell'organizzazione del sistema educativo di istruzione e di formazione nella Repubblica. Tutto ciò richiede un nuovo modello di 'partenariato' istituzionale, per dare sostanza ed efficacia a questo nuovo protagonismo degli enti locali e delle scuole autonome e per valorizzare sempre di più la libertà di insegnamento dei docenti, la libertà di apprendimento degli studenti, la libertà di scelta educativa delle famiglie. La scuola autonoma diviene così il luogo dove si incontrano domanda e offerta educativa, nell'esclusivo interesse di personalizzare gli apprendimenti e garantirne l'efficacia. La scuola autonoma, insomma, nel rinnovato sistema educativo, potrà e dovrà essere legittimata come istituzione educativa non più e non solo dal livello burocratico dello stato, ma dalla società civile costituita dai genitori, dalla domanda formativa e di senso posta dagli studenti, dalle istituzioni presenti sul territorio, dal tessuto produttivo ed economico dello stesso. La legge 3/2001, tuttavia, ha anche introdotto alcuni problemi (motivo per cui il governo ha presentato un nuovo progetto di modifica costituzionale), tra i quali: il rischio che alla logica sussidiaria si sostituisca quella puramente addizionale, e l'indefinitezza dei confini di competenza nelle materie soggette a legislazione concorrente, che potrebbe elevare il tasso di conflittualità istituzionale tra lo stato e le regioni. La legge 53/2003, in ogni caso, è perfettamente coerente, nei contenuti e nelle procedure di partenariato istituzionale previste per la sua attuazione, sia alla cornice costituzionale disegnata dalla legge 3/2001 sia a quella prefigurata dal disegno di riforma dell'attuale governo.

risposta uil

La difesa della scuola pubblica, nazionale è una delle priorità della Uil scuola. Siamo fortemente contrari a ogni ipotesi di devolution nella scuola. Mentre si attua una riforma se ne preannuncia un'altra con effetti peggiori: la frammentazione regionale del sistema dell'istruzione.

Il dissenso e la forte preoccupazione per una simile eventualità sono tra le ragioni importanti dello sciopero del 26 marzo. Il passaggio della competenza esclusiva alle regioni minerebbe il carattere nazionale del sistema di istruzione. La nostra scuola nazionale è elemento fondante della stessa unità del paese. Il personale della scuola vive in uno stato di incertezza per il proprio futuro professionale: le scuole, il personale, i contratti diventeranno regionali?

Un ulteriore motivo di tensione deriva dal sentire minata la funzione dell'autonomia scolastica come rappresentanza dello stato in materia di offerta formativa con la preoccupazione che l'attività didattica possa essere sottoposta all'alternanza delle decisioni politiche degli assessori regionali.


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