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Istruzione in salsa sarda:soldi pubblici agli oratori e alle scuole private

Mentre la scuola pubblica va allo sfascio, in Sardegna si finanziano gli oratori e le scuole private gestite da enti religiosi con sede nella penisola

16/11/2010
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l'Unità

Francesca Ortalli

Mentre la scuola pubblica va allo sfascio, in Sardegna si finanziano gli oratori e le scuole private gestite da enti religiosi con sede nella penisola. Era questa la linea dell’ex assessore regionale alla pubblica istruzione Maria Lucia Baire, da molti considerata il braccio operativo del potentissimo arcivescovo di Cagliari mons. Giuseppe Mani. Ma nonostante la fedele assessora sia stata sacrificata lo scorso 5 ottobre per la nascita del Cappellacci bis (la nuova giunta del governatore che per puntellare il suo traballante mandato ha regalato la poltrona in questione all’Udc di cui fa parte il sassarese Sergio Milia ndr) ha lasciato comunque un’eredità pesantissima. Per legge infatti, la n.8 del 4 febbraio 2010, agli oratori dell’isola si assegnano ben venti milioni di euro, cioè cinque milioni spalmati a partire dal 2010 fino al 2013. Questo perché, si legge testualmente, «la Regione riconosce e valorizza la funzione sociale, aggregativa, educativa e formativa svolta dalle parrocchie e dagli enti della Chiesa cattolica mediante attività di oratorio». Seguono poi diverse delibere che rafforzano il concetto. Analizzando i dati per l’anno scolastico 2009/2010 troviamo uno stanziamento di 20 milioni di euro a favore delle scuole pubbliche «di ogni ordine e grado della Sardegna».Èla stessa cifra concessa gentilmente anno dopo anno, fino al 2013 ai luoghi dove si insegna la parola cristiana. Peccato che, mentre le sedi scolastiche nell’isola sono in tutto 2.562, gli oratori sono invece, secondo il sito www.oratori.org, solo 777. Ma la giunta guidata da Cappellacci non si è fermata qui. Un’altra cospicua fetta di finanziamenti è andata agli istituti per l’infanzia, ovviamente privati. Nell’allegato con il programma degli interventi in loro favore, si ratifica nero su bianco uno stanziamento di 22 milioni di euro come totale delle spese per gli oneri di gestione. Si precisa che sarebbe il 43,9% del contributo previsto perché altrimenti gli importi sarebbero lievitati ad oltre 50 milioni. Un bel po’ di soldi da dividere tra undici asili, tutti gestiti da organizzazioni religiose. Nell’elenco stilato dall’assessorato si trovano anche istituti per l’infanzia con sede in Sardegna ma che hanno come intestatario del contributo, testualmente «organismo beneficiario e intestatario p.iva», enti religiosi che stanno oltre mare. Appaiono le suore di carità con sede a Torino o l’istituto Madonna di Bonaria figlie di Maria Ausiliatrice accasato a Roma. Sono cinque in tutto, sparsi tra Roma e Torino, quelli che hanno avuto in regalo i soldi della Regione Sardegna. Secondo Massimo Zedda, consigliere regionale di Sel e vice presidente della commissione Cultura, «la Regione dovrebbe arginare gli effetti disastrosi dei tagli fatti dalla riforma Gelmini. Istruzione, università e ricerca sono fondamentali per uscire dalla crisi ed invece ancora non conosciamo la spesa né la strategia di utilizzo delle risorse per il settore prevista nella finanziaria 2011». Lo sanno bene gli Enti Regionali per lo studio Universitario (Ersu) di Cagliari e Sassari che per l’anno 2011 si sono visti tagliare dalla premiata ditta Gelmini e Tremonti i contributi del 90%. Previsti solo 26 milioni di euro e la borsa di studio è diventata una chimera. Per questo gli studenti si mobiliteranno da domani. Scarseggiano, e non di poco, anche i fondi da inserire nella finanziaria regionale 2011. La mannaia di Tremonti ha fatto mancare all’appello 1 miliardo e 200 milioni. Su circa 6 miliardi da spendere la metà è stata già assorbita dal pozzo senza fondo della sanità. Restano sul tavolo poco più di tre miliardi e duecento milioni di cui l’80% è spesa corrente. Quindi, tirando le somme, rimangono poco più di 600 milioni. Una cifra irrisoria, in parte comunque già promessa con accordi di vario genere per tenere buono chi protesta in difesa del posto del lavoro. La coperta insomma è diventata un fazzoletto e come al gioco della roulette russa, resta da capire chi resterà fuori. E le promesse questa volta non basteranno più.


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