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Inutile e dannoso l'inglese obbligatorio al Politecnico

Questa la posizione del preside della Scuola di Architettura e società, Pier Carlo Palermo

27/04/2012
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Corriere della sera

Al Politecnico di Milano solo corsi in inglese dal 2014. «Non è fattibile. Sarebbe un errore inutile e dannoso». Questa la posizione del preside della Scuola di Architettura e società, Pier Carlo Palermo. Uno che in inglese insegna da anni, da sette ha un Master in Urban Planning esclusivamente in inglese, propone in lingua il 40% dei «suoi» master e da tre anni sperimenta anche sezioni di Bachelor. Sull'inglese la sua esperienza è forse la più significativa. Eppure.
Spiazzato dall'annuncio del rettore Giovanni Azzone e del ministro Francesco Profumo: solo inglese per lauree specialistiche e dottorati. Non si può fare?
«Per il 2014 è impossibile. Dovendo mantenere lo standard di qualità del Politecnico non troveremmo un numero adeguato di professori disponibili a insegnare in inglese. E per molte materie sono pochi anche i testi in lingua. La qualità della formazione conta più dell'inglese».
Non siamo pronti. Ma è il punto d'arrivo?
«Non dovrebbe esserlo. È giusto puntare sull'internazionalizzazione e potenziare gli insegnamenti in inglese, la mia Scuola è al 40% e posso arrivare al 60 o al 70. Ma l'inglese obbligatorio, come requisito generalizzato ed esclusivo, rischia di diventare un errore inutile e dannoso. Non mi soffermo sulle ragioni culturali e civili, che altri hanno esposto prima di me, ma ritengo il bilinguismo e il multilinguismo un valore importante. E in architettura l'inglese non è la lingua madre».
Sul forum dei docenti ha diffuso un documento firmato con Ilaria Valente (presidente del corso di laurea magistrale): chiedete di rispettare misure, tempi e modi. E contro l'inglese obbligatorio c'è anche un appello di docenti e ricercatori con 260 firme.
«Non siamo conservatori e lo abbiamo dimostrato. Auspichiamo un confronto. E dal ministro ci aspettiamo non proclami ma politiche universitarie. L'accelerazione solo sulla carta non ha senso. In una battuta: vogliamo gli studenti stranieri e non abbiamo il test di ammissione in inglese... (dovrebbe esserci dal prossimo anno)».
L'italiano non è una barriera per gli stranieri che vorrebbero formarsi nei nostri atenei?
«Non è per l'inglese che non siamo paragonabili ai nostri competitor internazionali, semmai per i servizi e i finanziamenti che una città come Milano e il ministero rendono disponibili».
E l'inglese non avvantaggia i laureati italiani nel mercato globale?
«I nostri laureati sono riconosciuti all'estero per la loro formazione, non quella linguistica. La preparazione in inglese non è la nostra missione».
Perché considera l'annuncio fatto a febbraio dal ministro e dal rettore «un'accelerazione rischiosa»?
«Agli open day le famiglie erano preoccupate. Rischiamo di perdere studenti italiani di talento che non si sentono pronti per l'università in inglese, per aprire le porte a quelli internazionali che potrebbero non avere un profilo analogo».
Soluzione.
«Gradualità. Dialogo e confronto con le Scuole. E sperimentazione».
Federica Cavadini
 


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