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Il sogno del signor B. mettere in riga i giudici

da Repubblica Il sogno del signor B. mettere in riga i giudici FRANCO CORDERO Venerdì santo, 18 aprile, ore 9.48, B. sale nell'aula: viene a dire qualcosa "spontaneamente" (art. 494 c.p....

01/05/2003
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da Repubblica

Il sogno del signor B. mettere in riga i giudici

FRANCO CORDERO

Venerdì santo, 18 aprile, ore 9.48, B. sale nell'aula: viene a dire qualcosa "spontaneamente" (art. 494 c.p.p.), ed era combinato tutto; quando entrano i "nemici", ore 10, mancano un coimputato minore nonché i difensori; la ricerca dei sostituti richiederà almeno mezz'ora. Troppo, annuncia l'avvocato ex Soccorso rosso, ora presidente blu della commissione giustizia a Montecitorio: l'augusto cliente ha una mattina piena d'impegni romani; purgata la contumacia, se ne va, confidando qualcosa alla stampa. Nel merito pretende una medaglia d'oro. Ma il clou sta altrove: questo dibattimento interessa gl'italiani (sia meno modesto, anche l'Europa guarda: molti ridono; "da noi non succede", commentano gli sbigottiti); sinora lasciava fare agli avvocati; è venuto il momento d'occuparsene; e visto l'erculeo suo daffare governativo, bisognerà ricalcolare il calendario delle udienze. Infine dichiara P. "perseguitato politico". Gl'intenti trapelano dall'intervista ai due patroni ("Corriere della Sera", 20 aprile). Cosa l'ha indotto a venire? È un combattente (molto cauto, se rifiuta l'escussione incrociata). Quali i temi? L'intera storia. Gl'impegni romani ed europei peseranno sui tempi processuali? G.P. prevede l'epilogo "entro l'estate": l'Italia sa che "buon comunicatore" sia; non opporrà impedimenti guastandosi l'immagine. N.G. scopre le carte: i tempi dipendono dal Tribunale; se vuole l'imputato in aula, bisognerà definire varie cose.
Sul risvolto politico resta poco da dire. "Berlusconi statista" è il più classico degli ossimori, quella figura retorica composta da coppie verbali dove una parola nega l'altra. Habemus dominum, nel senso padronale: bilocato tra Mediaset e Palazzo Chigi, un Boss talmente ricco da comprarsi quanti finti uomini gli servono; né sospetta che Stato, governo, parlamento, opinione pubblica, siano cose diverse dal business; e siccome non aveva mai perso tempo negli ozi intellettuali, ignora i rudimenti della cultura politica. Ad esempio, cosa significhino i tre poteri. Chi credono d'essere i magistrati?: hanno solo vinto un concorso; li metterà in riga davanti agli unti dal popolo sovrano. O sul conflitto d'interessi, inesistente perché 53 italiani su 100 hanno votato Casa delle libertà, e simili analfabetismi. Detto da Re Sole, 300 e passa anni fa, "l'Etat c'est moi" era discorso storicamente progressivo. Nell'anno del Signore 2003 è lo slogan d'una patologia ignota all'Europa evoluta. Sembra incisa da Albrecht Dührer una fotografia dove siede al banco della difesa: l'ex Soccorso rosso scrive pensoso e che pensieri fondi siano, lo dicono le palpebre basse; lui sta a braccia conserte, mento al soffitto, sguardo ermetico, bocca dura, nella maschera mussolinesca che assume quando non racconta barzellette o mima le corna sulla testa del ministro spagnolo o piroetta imitando le sciantose belle époque, mai inibito dallo scrupolo estetico. Nello stesso stile diserta l'anniversario del 25 aprile 1945 al Quirinale: deve curarsi un disturbo muscolare nel buen retiro sardo; anzi, impegni familiari lo chiamano sulla costa francese. Abbiamo una Carta sovietica, blaterava domenica 13 aprile, deplorando che l'art. 41 iuguli proprietà e libera impresa, come se lui fosse cresciuto nel Catai. A tempo perso ritocca le tinte del tricolore.

Passiamo alla procedura. L'art. 420-ter, c.3, c.p.p., contempla un rinvio quando l'imputato adduca legittimi impedimenti. Con questa manfrina P. manda alle calende greche l'udienza preliminare, finché un provvedimento giustissimo e incautamente motivato gli offre l'occasione diversiva: Montecitorio rivendica le prerogative parlamentari; spirano venti bicamerali; una molto equivoca maggioranza aveva respinto la richiesta d'arresto. Nell'intervista 20 aprile N.G. parla crudo: forte degl'inviolabili diritti che la Carta italo-sovietica garantisce agl'imputati, B. vuol intervenire al dibattimento ma può mandare a monte mille udienze allegando impedimenti; un presidente del consiglio se ne combina quanti vuole, tutti legittimi. Insomma, detta lui i patti: gli ammettano le prove illo tempore escluse; minimo, 114 testimoni nuovi e sono liste fluttuanti; vi apparivano 1500 magistrati addetti agli uffici del distretto romano; converrà anche riascoltare i testimoni la cui deposizione sarebbe riuscita diversa se lui fosse stato lì a fulminarli con occhi da basilisco. Nel bargain l'uomo d'Arcore divora i leoni: o il Tribunale capitola o inghiotte i rinvii; se poi li nega, dibattimento nullo. Fosse così, saremmo un'allegra repubblica del malaffare, ma vigono ancora norme pulite, mentre i manutengoli del Boss ne stanno rabberciando d'adatte alla nuova "cultura". Onestamente sbrogliata, la questione sta nei seguenti termini.

L'affare istruttorio è chiuso da sei mesi. Resta lo spettacolo dialettico, requisitorie e arringhe. B. vuol rendere "dichiarazioni spontanee"? Benissimo, venga e parli nei limiti sottintesi dall'art. 494 (li segnalavo 13 anni fa, Codice commentato, 598). I forzaitalioti confondono i dibattimenti col talk-show praticato sulle reti Mediaset: B. non è Sherazade alle prese col califfo e nemmeno Bertoldo, quando accetta la condanna capitale, riservandosi la scelta dell'albero al quale sarà impiccato; che le condizioni "si voluero" non abbiano corso, lo sa ogni studente del primo anno. Poteva scendere in campo esponendosi alla cross examination, dove tutto fa brodo, afasie, tic, farfugli, ecc., ma la prospettiva gli mette freddo nelle ossa; vuol cantare da solo, comodo, raccontando quel che gli conviene. È sua facoltà, fisiologicamente esercitabile: entro quali limiti, lo stabilisce il Tribunale; se no, ricadiamo nel caso Sherazade o Bertoldo. Siamo al 37° mese d'un dibattimento costellato da 150 decisioni, dopo innumerevoli trucchi dilatori. Quando abbia sobriamente parlato, actum est. Resta la discussione: venga a sentirsela, se il torneo oratorio gl'interessa e ha tempo da perdere; non gli è più concesso d'interloquire, salva l'ultima parola. Vuol sentire i disputanti? Costa poco, e a lui niente, istituire collegamenti audiovisivi con l'aula. Li regolano gli artt. 146-bis e 147-bis att., applicabili ai casi simili. Lunedì 28 aprile annuncia che l'indomani stabilirà con gli avvocati se presentarsi venerdì 2 maggio. Affari suoi ma non s'illuda d'indurre una catalessi giurisdizionale: difese piratesche possono tentarla, ad esempio, puntando sulla rimessione; perciò Corte cost. 22 ottobre 1996 n. 353, colpisce l'art. 47, c. 1; invalido anche l'art. 37, c. 2, perché apriva lo spiraglio a ricusazioni perditempo (Id. 23 gennaio 1997 n. 10; 30 dicembre 1998 n. 466; 28 luglio 1999 n. 366).
Tali precedenti qualificano le strategie difensive nel dibattimento Imi-Sir e Lodo Mondatori, dove s'era ignobilmente salvato (probabile delitto estinto dal tempo), approfittando d'una svista nell'art. 319-ter c.p., versione 26 aprile 1990. Vi teneva rumoroso banco l'ex ministro P., avvocato d'affari, "perseguitato politico", rectius "martire", quale proclama d'essere sabato mattina 26 aprile, chiamando in soccorso parlamento, governo, vertici togati, nonché l'amatissimo Sire d'Arcore: aveva ricusato i giudici sette volte; mentre declama sul "martirio" inflittogli, i difensori presentano l'ottava istanza, tardiva, quindi inammissibile; e martedì sera, 29 aprile, incassa una condanna a 11 anni. Malagiustizia, naturalmente. Urlatori e sgherri sono pronti. I soliti pulpiti auspicano norme d'emergenza, votate sul tamburo, che lo salvino dai processi. Chiunque abbia ancora l'uso della testa vede in che mani siamo. Senza quel lapsus legislativo B. sarebbe nella compagnia galeotta (tale ritenuta da una sentenza non definitiva). Ora, corrompere i giudici è roba gravissima ma più gravi risultano le sue gesta post delictum perché, volendo salvarsi ad ogni costo, strepita, inquina, devasta. Aveva incantato tanti elettori presentandosi come l'uomo nuovo, un'alternativa moderna al professionismo politico: smentito dai fatti, ripiega sul virtuale; è gran risorsa l'ordigno delle illusioni in sinergia con i poteri effettivi che gli procura. Nell'aprile 1945, se avesse un network televisivo, Joseph Goebbels convincerebbe i suoi d'avere vinto, quando nella Germania invasa dai quattro punti cardinali non restano più due mattoni interi.


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