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Il Manifesto-Siamo qui per crescere

Siamo qui per crescere" Intervista al segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che questa sera incontrerà il movimento a Porto Alegre. "Dobbiamo essere capaci di interrogarci sulle differ...

26/01/2003
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il manifesto

Siamo qui per crescere"
Intervista al segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che questa sera incontrerà il movimento a Porto Alegre. "Dobbiamo essere capaci di interrogarci sulle differenze che esprime, e allargare il rapporto del sindacato con i giovani"
ASTRIT DAKLI
INVIATO A PORTO ALEGRE
Quella di Guglielmo Epifani in Brasile non è davvero una missione-lampo, né puramente di rappresentanza. Il segretario generale della Cgil si sta aggirando dentro e intorno al World Social Forum già da lunedì, e partirà soltanto stasera, dopo il dibattito pubblico su "Insorgenza civile contro l'ordine costituito", cui parteciperà in mattinata e nel quale avrà tra gli interlocutori anche un "disobbediente" italiano - con ogni probabilità Luca Casarini. Ieri, nel giorno in cui sono iniziati a pieno regime i lavori veri e propri del Forum nel segno del No alla guerra, abbiamo incontrato Epifani sotto il tendone della Cut, a fianco dello stadio Gigantiño dove Tariq Ali arringava una grande folla di delegati contro la guerra americana.

La Cgil ha mandato qui a Porto Alegre il suo leader e una schiera di altri dirigenti. Come mai una presenza così massiccia e significativa? Volete conquistare il Forum?

Siamo stati già presenti al World Social Forum l'anno scorso, e poi a Firenze. Pensiamo quindi di aver già avuto un ruolo: ma vogliamo dare continuità a questo impegno, e anche renderci conto delle possibilità e dei limiti che offre al sindacato questo terreno di ricerca. Inoltre qui sono possibili contatti importanti con il sindacato internazionale: finora era sempre prevalsa una concezione diplomatica di questo tipo di rapporti, ma oggi penso che non basti più, che non sia più il caso di delegare il lavoro internazionale agli specialisti, perché dobbiamo andare verso iniziative davvero forti. Il contesto che abbiamo intorno è pesante. C'è la guerra alle porte; e c'è la ripresa dei lavori del Wto, con la prossima riunione di Cancùn, dove è in discussione una drammatica e inaccettabile mercificazione mondiale di beni che sono un diritto comune basilare, come l'acqua.

Con chi avete avuto i contatti più importanti?

Con il sindacato statunitense Afl-Cio, presente qui con la sua vicesegretaria Linda Chavez. E ovviamente con la Cut brasiliana. Abbiamo spinto soprattutto su due terreni, quello del no alla guerra e quello della crisi venezuelana, nella quale il sindacato internazionale dovrebbe assumersi un ruolo più incisivo.

Avete avuto risposte positive?

Qualcosa si è mosso. La Cisl internazionale - su cui abbiamo anche esercitato una pressione diretta, con una lettera qualche giorno fa - ha intenzione di mandare una sua missione a Caracas. Afl-Cio e Cut ci hanno detto di rendersi conto dei rischi che il Venezuela sta correndo. Insomma, la nostra iniziativa sta avendo dei seguiti e ne sono molto contento. Lo stesso a proposito della guerra, dove tutti i nostri interlocutori hanno apprezzato la posizione della Cgil e si sono detti pronti a nuove iniziative.

La tua presenza qui vuol essere un segnale verso il "movimento dei movimenti" in Italia?

A partire da Firenze abbiamo avviato un rapporto non strumentale con il movimento, dove i ruoli sono chiari e distinti ma si cerca di lavorare insieme. Ci unisce il no alla guerra; e anche il tema dei diritti ci ha visto venire reciprocamente incontro, noi superando la tradizionale idea di una divisione tra diritto al lavoro e diritti sociali, il movimento riconoscendo l'importanza del lavoro. Resta naturalmente il problema che per noi protesta e conflitto sono finalizzati alla ricerca di un'intesa, e che riteniamo fondamentale la scelta della mobilitazione pacifica: ma anche su questi terreni vedo grandi passi avanti. In questo senso venire qui è sì un segnale: vuol dire che vogliamo andare avanti su questa strada.

Essere qui significa però anche accettare di essere influenzati e contaminati...

Il sindacato ha regole e meccanismi democratici che vanno salvaguardati perché sono un fondamento di serietà del nostro essere. Però è vero che qui c'è una freschezza, un'immediatezza e anche una radicalità di temi e di linguaggi che forse finora potevano apparire estranei al sindacato, un organismo che appare burocratico rispetto alla vivacità del movimento. Io credo che noi dobbiamo essere capaci di interrogarci su queste differenze, e metterci a cercare anche occasioni diverse per crescere e per allargare il rapporto con i giovani.

Il viaggio a Porto Alegre come una specie di spot pubblicitario per i giovani?

Se vuoi, sì. Io penso che dobbiamo cercar di crearci un'immagine di sindacato dialogante e aperto, rompere lo stereotipo del "sindacato degli anziani". E, sì, essere dove sono i giovani e contaminarci - nel rispetto reciproco, naturalmente, e badando bene a non considerare mai esaurita la funzione propria del sindacato né a saltar oltre i nostri meccanismi democratici. Penso che tutto questo sia un investimento straordinario per il futuro.

Anche il confronto con Casarini e i disobbedienti, oggi, rientra in questo investimento?

E' un interlocutore da cui ci dividono molte cose, ma sì, vale il discorso di prima: dialogo aperto, confronto rispettoso. Anche se in realtà questo di oggi non sarà un confronto ma un dialogo a molte voci.

Ci sono polemiche, dentro il Forum, sul ruolo "speciale" del movimento brasiliano, e di una sua componente in particolare, dopo la vittoria elettorale di Lula. Si è sentito parlare del rischio dello "stato guida" di sovietica memoria. Che ne pensi, dopo aver discusso con i sindacalisti della Cut?

E' vero, è una sensazione presente. Mi è parso che anche la Cut, il sindacato da cui Lula proviene, si renda conto che la forza acquisita dal movimento brasiliano con la vittoria elettorale non deve diventare il suo limite. Penso che l'idea di portare il Forum fuori dal Brasile, l'anno prossimo, sia un corretto tentativo di evitare i rischi di cui parli. Tra l'altro, la Cut ha accettato il nostro invito in Italia per ragionare su quella che è stata la nostra esperienza di rapporto con il governo di centrosinistra. Anche loro avvertono il bisogno di mantenere un ruolo autonomo, di non diventare uno strumento del governo, sia pure un "governo amico.


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