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Il legame tra crescita e cultura

La causa principale del sottosviluppo socio economico dell’Italia, che piaccia o meno, va individuata nel mancato riconoscimento della centralità del ruolo della cultura. In particolare, dei profili essenziali che la connotano, vale a dire: l’istruzione, la formazione e la comunicazione.

23/10/2019
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Corriere della sera

di Gerardo Villanacci

Tra le molte cose che possono mutare rapidamente non è possibile annoverare il sistema sociale, inteso nella sua accezione più tradizionale di organizzazione delle istituzioni collettive. D’altra parte la politica, che dovrebbe costituire il vero propulsore della trasformazione innovativa, appare sempre più avviluppata in analisi statiche ed astoriche risultando incapace di avviare i necessari processi di cambiamento sociale. Il superamento della sempre più evidente sua connotazione sovrastrutturale, non potrà avvenire fintanto che il dibattito sarà incentrato sulla gestione dell’ordinaria amministrazione.

I dati della crescita economica italiana ne sono un esempio plastico. Il Paese, dall’inizio del nuovo secolo, è cresciuto del 2,8% rispetto al 22,2% dell’Eurozona. Imputarne in via esclusiva la responsabilità al debito pubblico sarebbe una semplificazione ingiustificata poiché, se si riuscisse ad accelerare la velocità del Pil, quantomeno portandolo in linea con quello dei Paesi del Nord Europa, il debito diminuirebbe. Se ciò non accade è perché la produttività totale, comprensiva di quella del lavoro, è ferma alla metà degli anni Novanta del secolo scorso.

La causa principale del sottosviluppo socio economico dell’Italia, che piaccia o meno, va individuata nel mancato riconoscimento della centralità del ruolo della cultura. In particolare, dei profili essenziali che la connotano, vale a dire: l’istruzione, la formazione e la comunicazione.

L’istruzione, che coinvolge il sistema scolastico nel suo insieme, deve essere rivalutata nella sua funzione di stimolo ad implementare il patrimonio delle conoscenze e delle esperienze e ciò oltre che per trovare occupazione lavorativa anche per conseguire riconoscimenti sociali ed economici. Si può contrastare la delusione del crescente numero dei Neet, giovani che non studiano, non lavorano e non seguono alcun percorso di formazione, ripristinando il criterio meritocratico, abbattendo i privilegi e i nepotismi e premiando lo studio.

La scuola non deve essere sovrapposta alla famiglia in quanto è incaricata a svolgere un ruolo di collegamento tra questa e la società e, quindi, a preparare al confronto con la realtà che purtroppo è irta di ostacoli e impone sfide che se affrontate con insicurezza potrebbero risultare distruttive. Alla famiglia, anche nella sua composizione più moderna, lasciamo la funzione di protezione dalle insidie del mondo esterno, semmai evitando che i genitori siano sempre e comunque avvocati difensori ad oltranza dei figli.

Per quanto riguarda l’Università, bisogna prendere atto che le riforme che si sono susseguite negli ultimi lustri, volte per lo più ad implementare la percentuale dei laureati, non hanno prodotto i risultati sperati, come documenta l’Eurostat che colloca l’Italia nella penultima posizione in Europa; appena prima della Romania.

È tempo di puntare alla qualità piuttosto che sulla mera quantità dei laureati per i quali, al fine di aumentarne il numero, è stato preordinato un percorso di studi diciamo pure agevole, caratterizzato da promozioni assicurate. L’autonomia dell’Università deve essere attuata nel senso più profondo ispirato dall’art. 33 della Costituzione piuttosto che in chiave imprenditoriale, secondo la quale la severità del percorso accademico di alcuni Atenei non invoglia all’iscrizione presso gli stessi. Un pericolo che si ritiene debba essere scongiurato poiché compromette il reperimento di risorse economiche.

Ovviamente il cambiamento di rotta non può intervenire se si continua nella progressiva sottrazione di risorse finanziarie, come avviene ormai sistematicamente a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Il nostro Paese non viaggia nei bassi fondi delle classifiche dell’Unione Europea soltanto per scarsità di laureati bensì anche per i finanziamenti agli Atenei. È tempo che si superi la concezione per la quale finanziare l’Università rappresenti una semplice spesa e accedere definitivamente all’idea che, per contro, si tratta di un importante ed imprescindibile investimento.

L’altro aspetto fondamentale è quello della formazione. Se svolta effettivamente anziché come spesso avviene soltanto formalmente, realizza un vero processo educativo attraverso il quale è possibile trasferire le competenze necessarie allo svolgimento dei compiti per i quali si è preposti, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico. Soltanto un’adeguata formazione costituisce, ad esempio nel settore della sicurezza del lavoro, la prevenzione e la protezione da adottare per la gestione e la riduzione dei rischi.

Infine, ma non meno importante degli altri, è la comunicazione meritevole di tutela massima in quanto bene prezioso. La riflessione di Francis Bacon, per il quale «sapere è potere», evidenzia chiaramente che ignorare la causa di qualunque fenomeno ne preclude l’effetto. È possibile prestare un corretto consenso a qualsiasi iniziativa soltanto se si hanno le adeguate conoscenze. Una prerogativa molto compromessa per la predominanza di fake news. Un fenomeno che altera l’apprendimento e determina un rapido passaggio dalla fiducia alla sfiducia e dal consenso al dissenso.


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