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Il farsesco sistema delle abilitazioni scientifiche nazionali

​Il sistema delle abilitazioni scientifiche nazionali, posto dalla Gelmini come base del futuro reclutamento dei docenti universitari di prima e seconda fascia, pare stia clamorosamente fallendo sotto il peso di ricorsi, denunce, incredibili contraddizioni

18/05/2014
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l'Unità

Leonardo Raito

​Il sistema delle abilitazioni scientifiche nazionali, posto dalla Gelmini come base del futuro reclutamento dei docenti universitari di prima e seconda fascia, pare stia clamorosamente fallendo sotto il peso di ricorsi, denunce, incredibili contraddizioni. Ancora una volta, la gestione all’italiana degli inserimenti nei ruoli pubblici, sta dimostrando i limiti, tra il farsesco e il tragico, di un sistema familistico-clientelare-raccomandato che pare un pozzo senza fondo. In questo paese in tanti sbagliano e nessuno paga, ma le contraddizioni di questa abilitazione scientifica sono da libro delle comiche. Esistono discipline giuridiche in cui il docente ordinario straniero chiamato per valutare i titoli e le pubblicazioni dei candidati (largamente in lingua italiana, ma faceva fico avere lo straniero) non conosceva mezza parola di italiano. Tuttavia, lo stesso docente era stato comunque in grado di stilare valutazioni dettagliate sulle pubblicazioni e sui curricula dei concorrenti. Ma anche noi storici non ci siamo fatti mancare gioie succulente. In un settore, ecco alcuni commissari gonfiarsi i titoli e inventarsi pubblicazioni mai pubblicate pur di far parte delle commissioni (gulp!). Eccone altre che inseriscono tra i fattori discriminanti la partecipazione a comitati di rivista (come non sapessimo come si entra a far parte di tali riviste). Ecco l’introduzione in prima fascia di riviste peer review (ne ho sentite di tutti i colori da parte di alcuni valutatori) e il passaggio in terza di riviste qualificate e stra-lette e accettate dalla scienza della disciplina. Incredibile. La discrezionalità della valutazione è stata, in alcuni casi, sorprendente. Articoli non valutati per quello che sono ma solo per la rivista in cui sono pubblicati. E ancora la valutazione delle case editrici,. Quasi tutte oggi, per abbattere qualsiasi rischio imprenditoriale, richiedono contributi per la pubblicazione, tanto che vediamo pubblicati titoli impresentabili anche da editori importanti. Per andare avanti ecco, come titolo discriminante, il dottorato di ricerca quando si sa benissimo come sono lottizzati i posti nelle scuole di dottorato. E poi borse e assegni di ricerca, anche quelli opportunamente selezionati dai baroni. C’è da chiedersi inoltre come abbiano potuto, 5 commissari, leggere, in poche settimane, 18 pubblicazioni per ogni candidato all’abilitazione. In alcuni casi, di fronte a un migliaio di candidati, ogni commissario avrebbe dovuto leggere 18.000 libri, saggi e articoli in un anno. Una media di quasi 50 libri al giorno, impossibile anche per un robot. Così è successo che le pubblicazioni (unico effettivo titolo valutabile, a mio avviso per l’attendibilità e la qualità scientifica dei candidati) sono state snobbate a discapito di altro, falsando clamorosamente le procedure. Che fare allora? Perché non guardare agli altri paesi o fare un passo indietro nel nostro sistema? Siamo sicuri che il ruolo dell’assistente sia del tutto da ignorare? Non potrebbe invece diventare una prova di capacità di stare nel mondo accademico, sotto stretta responsabilità del titolare di cattedra? Perché non aprire le scuole di dottorato rendendole come le università, per creare poi una selezione tra i migliori evitando il contingentamento al ribasso voluto dai baroni e dalle cordate accademiche? Perché non valutare in modo centralizzato la produzione scientifica in modo che ogni ricercatore o aspirante docente universitario abbia un punteggio riconoscibile sulla base di criteri oggettivamente individuati? Siamo davvero sicuri che qualcuno voglia cambiare in meglio il sistema? Attendiamo risposte.


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