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I come insegnante (da www.casadellacultura.it)

I" come insegnante La scuola la fanno loro, non i ministri, diceva il titolo di un vecchio libro. Eppure in tempi di riforme e controriforme, di tutto si parla, fuorché di loro. Internet, Inglese,...

03/10/2002
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I" come insegnante

La scuola la fanno loro, non i ministri, diceva il titolo di un vecchio libro. Eppure in tempi di riforme e controriforme, di tutto si parla, fuorché di loro. Internet, Inglese, Impresa... e gli Insegnanti?

Per noi sono dei santi o dei fannulloni, per l'Ocse sono la categoria professionale a minor rischio di stress, eppure basta parlarci un po' insieme per capire che gli insegnanti sono quanto meno sconfortati e frustrati.
La ragione di questa distanza tra la percezione comune e la realtà dell'insegnamento sta forse nel fatto che la scuola è un universo a sé, chiuso su se stesso, e ogni singola aula lo è a sua volta.

Per la prima volta, uno studio italiano analizza scientificamente il disagio reale degli insegnanti, partendo dalle sue manifestazioni più drammatiche. Lo studio infatti si basa sulle domande di inabilità al lavoro presentate dai dipendenti pubblici - insegnanti, impiegati, operatori, sanitari - alla Commissione della ASL Città di Milano tra il 1992 e il 2001.

Dalla ricerca, che vi presentiamo in esclusiva, emerge che rispetto alle altre categorie, la possibilità che un insegnante sviluppi una patologia psichiatrica è da due a tre volte superiore. La domanda cui bisogna rispondere è come mai? e poi che cosa fare?

Si tratta di una questione delicata e complessa, che non coinvolge solo la scuola e i suoi attori, ma la società nel suo complesso, le istituzioni, i sindacati, l'opinone pubblica

La scuola è di tutti
Intervista a Alessandro Cavalli, sociologo
di Agnese Bertello

I risultati della ricerca non stupiscono chi da tempo lavora su questi temi. Occorre ora ragionare sulle cause e sugli interventi. Alessandro Cavalli mette a fuoco alcuni problemi del "sistema scuola", primo fra tutti l'isolamento: della scuola non si devono occupare solo gli addetti ai lavori.

Qual è l'importanza di questa ricerca?

Chi frequenta scuole, insegnanti, giovani e famiglie ha frequentemente l'impressione che c'è qualcosa che turba il clima dei rapporti in classe, la ricerca documenta con dati attendibili una impressione diffusa.

La ricerca mette in luce un grave disagio degli insegnanti. Lei che da tempo si occupa di questi temi, è sorpreso dai dati che sono emersi oppure no?

I risultati non mi sorprendono affatto, anche se non è il caso di drammatizzare. Tutte le professioni che comportano relazioni interpersonali intense e prolungate con popolazioni "difficili" sono soggette al rischio di burnout.

C'è qualcosa che invece l'ha sorpresa?

L'entità del fenomeno. Con ogni probabilità i casi che la ricerca ha potuto documentare sono la punta di un iceberg. Ciò che affiora sono i casi più eclatanti (e più gravi). C'è però una realtà nascosta che la ricerca non riesce a portare alla luce (i casi più lievi, i disturbi passeggeri, le sindromi depressive relativamente ben compensate) che però possono turbare non poco la vita scolastica.

Sappiamo che a determinare questo grave stress sono più fattori: personali, professionali, sociali e culturali. Dietro tutto questo non vi è però il problema del mandato sociale della scuola e di conseguenza dell'identità dell'insegnante?

Sicuramente, la professione docente non ottiene sufficienti riconoscimenti (sia sul piano economico che sul piano simbolico) e questo contribuisce a creare un diffuso senso di depressione nell'intero corpo docente. E' diffuso tra gli insegnanti (anche in quelli perfettamente "sani") un certo "pessimismo culturale", la non completa accettazione del mondo moderno e la nostalgia per un passato (presunto) in cui alla "cultura" era riconosciuto maggior valore. In soggetti "deboli" questo stato d'animo può trasformarsi in vero e proprio disturbo psichico.

Quali sarebbero secondo lei i primi e più urgenti interventi da fare?

Un servizio di counceling può aiutare ad affrontare le difficoltà che si presentano quotidianamente. Però, come per gli alunni così anche per gli insegnanti, è più efficace l'intervento a monte del disagio, prima che questo si manifesti in modo esplicito. Detto altrimenti, bisognerebbe dare dei segnali che l'impegno professionale è valorizzato e apprezzato. Un insegnante è indotto a dare il meglio di sé se sa che il suo impegno ottiene riconoscimento.

Nell'incontro che abbiamo avuto con un primo gruppo di insegnanti cui abbiamo presentato la ricerca, mi è parso rilevante intanto sicuramente il bisogno di parlare di sé, finalmente, poi il bisogno di riportare il mondo della scuola a una situazione di normalità, aprendosi a confronti esterni, dando un senso più concreto al proprio lavoro, confrontandosi tra adulti. Forse è quest'idea della scuola come universo chiuso su se stesso che non funziona più.

Senza dubbio l'autoreferenzialità è uno dei mali maggiori del mondo della scuola. Una scuola più aperta alla comunità che la circonda è senz'altro più sana. Una scuola aperta alla popolazione adulta, che diventi un luogo di aggregazione e di cultura anche al di là dell'orario scolastico, difficilmente si sente accerchiata da un mondo indifferente se non ostile.

Lei indicava anche la necessità di andare più a fondo nelle motivazioni che portano una persona a fare l'insegnante. Coloro che fanno questa scelta sarebbero, se non ho capito male, in qualche modo più fragili...

Le motivazioni alla scelta dell'insegnamento possono essere le più varie. Per una quota non trascurabile si tratta di una scelta di ripiego ("non c'è altro da fare", "non so fare nient'altro", ecc.), per altri può essere una scelta di rifugio, per non affrontare il mondo esterno ritenuto eccessivamente competitivo. (Non sarebbe sbagliato che prima di fare una scelta definitiva per l'insegnamento i futuri insegnanti accumulassero nel loro percorso qualche esperienza lavorativa in altri settori). Nel lavoro dell'insegnante, oltre alle competenze disciplinari e didattiche, sono richieste competenze relazionali che non tutti dispongono in misura sufficiente. Gli insegnanti che entrano in crisi, manifestano soprattutto carenze sul piano delle relazioni interpersonali: non hanno autorevolezza, diventano autoritari, oppure succubi dei superiori, dei colleghi, ma anche degli alunni e delle loro famiglie. E' possibile che si tratti di una popolazione nella quale la quota di coloro che hanno una predisposizione alla fragilità psichica sia maggiore che in altri campi.

In questo caso, come intervenire?

Sarebbe opportuno che all'ingresso della carriera vi fossero dei filtri che scoraggiano coloro che sono privi di alcune qualità relazionali di base e che rischiano di produrre dei danni anche gravi ai loro alunni se non sono in grado di "reggere" lo stress che il rapporto educativo inevitabilmente comporta.

Lo studio Getsemani mette in evidenza abbiamo detto la punta dell'iceberg, si può ipotizzare che il burnout sia la causa scatenante, e comunque sia il disagio della classe docente è evidente. C'è una qualche corresponsabilità della "casta" (lo dico provocatoriamente) degli insegnanti in tutto questo?

Più che responsabili gli insegnanti sono "vittime", anche se, come insegnano gli psicologi, la "vittima" è spesso "complice". Uno dei problemi della scuola, un po' ovunque, ma soprattutto in Italia, è lo scarso coinvolgimento della classe dirigente in generale (economica, politica e culturale) intorno ai destini della scuola. Si pensa che la scuola sia responsabilità degli addetti ai lavori, mentre dovrebbe essere responsabilità di tutti. L'educazione e la formazione delle nuove generazioni non può essere lasciata soltanto agli insegnanti. Può sembrare un po' retorico, lo riconosco. Sono però convinto che la chiusura della "casta" dipenda anche dall'isolamento nel quale viene lasciata.

Diario di classe
di Mario de Filippis

La scuola è bella perché varia. Capita, infatti, che in alcuni istituti studenti attempati con l'aria di padri di famiglia escano ogni tanto dall'aula per rompere il muso a qualche loro coetaneo, piuttosto che per compiere qualche brillante rapina e rientrare tranquilli in classe. Per fortuna ci sono gli insegnanti che possono intervenire efficacemente con i loro "opportuni provvedimenti". Nelle parole di un professore, ecco la cronaca di una giornata di ordinaria follia scolastica.

Cronaca di una giornata qualunque, in una scuola superiore del circondario cosentino, che un tempo doveva essere un'amena campagna, oggi ingoiata dalla sterminata periferia nord della città. Mi dicono che, una volta, questo istituto era affollatissimo, ospitava un'azienda rigogliosa e stampava addirittura una rivista. "Scuola e campi" è il titolo della testata; dato che mi occupo della biblioteca d'istituto l'ho collocata in evidenza, su uno scaffale. Ho una certa passione per l'archeologia.

Oggi la mia scuola ha un'aria un po' decrepita, come molte scuole, come la defunta Cassa per il Mezzogiorno che la finanziò, negli anni Cinquanta.
Arrivo verso le 8,15, entro, firmo (importantissima la firma), vado in classe; alle 8,20 dovrebbero entrare gli alunni. Guardo i banchi vuoti che mi osservano, indifferenti; dopo dieci minuti, alla spicciolata, arrivano in cinque, su quattordici. L'anno scorso ho ascoltato il prof. Fantozzi, sociologo notissimo e onnipresente, che snocciolava dati sulla frequenza scolastica nelle varie zone d'Italia; nel Sud naturalmente è più bassa, bassissima negli istituti professionali. Ha ragione, me lo confermano i miei cinque alunni presenti.

Siamo a fine ottobre, il corredo didattico dei ragazzi è costituito da: telefonino, sigarette, penna e quaderno arrotolato e infilato in tasca; per le ragazze bisogna aggiungere rossetto e specchietto, indispensabili prima dell'uscita, in caso di presenza del ragazzo ufficiale, o ufficioso, o avventizio che sia.

Il corredo didattico dell'aula è costituto dalle pareti nude, a tratti intervallate da scritte a pennarello, pedate, disegni dettagliati di particolari anatomici maschili e femminili. Su una parete una lavagna impolverata di gesso. Quando sono sparite dalle aule le carte geografiche, quelle che regalava la Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania? Le banche, evidentemente, oggi si affidano ad esperti di marketing che sanno come investire meglio le risorse destinate all'immagine dell'azienda. Ma non è tutta colpa delle banche, oggi tutte le scuole sono dotate di laboratori multimediali, che rendono inutili queste anticaglie. Peccato che il laboratorio informatico del mio istituto sia stato portato via l'anno scorso, da ladri meticolosi, bene informati della dislocazione interna dei locali, che hanno smontato ogni computer dalla sua postazione. Però hanno avuto rispetto del magno computer, quello che ancora troneggia sulla scrivania riservata al docente; così da solo, nel laboratorio vuoto, sembra una reliquia posta sull'altare. Qualche collega volenteroso prova a fare qualcosa e, poi, invita gli alunni, uno alla volta, in processione, ad avvicinarsi devotamente all'altare. Una nuova frontiera del sacro, il feticcio informatico, direbbe il prof. Lombardi Satriani.

Un alunno mi chiede di uscire, se gli dico che è ancora presto, comincerebbe a mimare una crisi renale, toccandosi le parti in questione; per evitare gli dico di andare e di sbrigarsi. Intanto cerco di lavorare, i ragazzi vorrebbero parlare solo di calcio e di auto, ma con me cascano male. Mi dispiace, ricordo a stento qualche caratteristica della mia auto e non seguo le partite. Mi guardano con commiserazione e un po' di meraviglia. Sono trascorsi lunghi minuti e l'alunno che ho mandato fuori non è rientrato, comincio a preoccuparmi; un docente è responsabile, in modo proporzionale all'età, del comportamento dei suoi alunni. Dovrei stare tranquillo, dato che i miei sono piuttosto attempati, tra i diciotto e i ventidue anni; alcuni sono seri, compassati, con l'aria del padre di famiglia, forse si vergognano un po' di essere in questa scuola da sette, otto anni. Altri mostrano aria da duri, da vissuti; vanno in giro per i corridoi a circuire le ragazzine più piccole, dato che le compagne più grandi li snobbano.

Devo annotare sul registro che il mio alunno "non è rientrato"; anni fa qualcuno, in un istituto del centro cittadino, è riuscito anche a fare delle rapine, allontanandosi da scuola e rientrando da un cortile incustodito. Quando si è detto che la scuola deve aiutare i ragazzi a personalizzare il percorso formativo, non credo si volesse andare tanto avanti, da progettare un curriculum criminale.

Come temevo il mio alunno con problemi di incontinenza non è rientrato perché, andando in giro, ha trovato una bella lite in corso e si è inserito con un certo successo, rompendo il naso al suo, chiamiamolo così, interlocutore. Devo ricordarmi di segnare una crocetta, positiva, nella casella del registro relativa alla "partecipazione". Indubbiamente è un ragazzo che partecipa e si interessa a quello che accade. Adesso, però, bisognerà prendere "gli opportuni provvedimenti". Figuriamoci come si spaventerà di una sospensione dalle lezioni, di solito viene un giorno su tre.

All'intervallo scambio due parole con i colleghi, preoccupati per il susseguirsi di episodi simili. Mi viene in mente che, un paio d'anni fa, in un istituto del Tirreno cosentino, una ragazza gelosa riempì di botte la sua "rivale", poi trasferita in ospedale dal solito bidello addetto al pronto soccorso. In ogni scuola ce n'è uno, promosso sul campo per la rapidità di intervento e per il sangue freddo.

Guardo i ragazzi nel cortile, tra sigarette, bar e telefonino quanto spenderanno ogni giorno? Eppure quasi nessuno di loro ha acquistato ancora i libri di testo, nemmeno quelli che arrivano a scuola su auto o moto di grossa cilindrata, e sono molti.

Pochi i genitori che si faranno vedere durante l'anno, ma quando vengono a parlarci non si stupiscono delle decine di assenze, del disimpegno, degli atti di vandalismo che i loro figli commettono. Di solito li giustificano, forse per mettersi la coscienza a posto, e ritornare alle occupazioni preferite, oltre il faticoso lavoro, che immagino siano: vedere "Il grande fratello", sparlare dei vicini, andare al bar, portare a spasso il cane. O forse non sanno proprio cosa fare, forse dovrebbero frequentarla loro, una scuola, organizzata apposta per imparare a fare i genitori.

Le ultime ore scorrono tranquille, non veniamo interrotti nemmeno dagli addetti per la lettura delle circolari, che di solito avvisano gli alunni sulla scadenza di bandi di concorsi letterari. Qualcuno, addirittura, partecipa, inviando poesie in stile psudoleopardiano. Ci sono anche presidi, ribattezzati di recente dirigenti scolastici, e professori, che scrivono poesie. E le pubblicano, incuranti del ludibrio. Questi concorsi per gli alunni sono un altro relitto del passato, ma ancora nessuno ha disposto la loro cessazione, per sostituirli con giochi a quiz, con tanto di presentatore e vallette seminude, tanto più utili e formativi nella società contemporanea. Sono sicuro che, da qualche parte, in gran segreto, un pedagogista ci sta lavorando. Aspettiamo novità.Domani è un altro giorno, citando a casaccio.


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