FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3934013
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » I cacciatori di test 250 prof a Dobbiaco così in sette giorni nascono i quiz Invalsi

I cacciatori di test 250 prof a Dobbiaco così in sette giorni nascono i quiz Invalsi

A mettere a punto le prove della discordia è un team di insegnanti che lavorano gratis

23/08/2016
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

Ilaria Venturi

Mister Invalsi è un collettivo di insegnanti: 250 teste che ogni anno, a luglio, si ritrovano a Dobbiaco, nelle strutture messe a disposizione dalla Provincia di Bolzano, per formulare i vituperati test che arrivano sui banchi dei bambini di 7 e 10 anni, all’esame di terza media e in seconda superiore. Associati ad un’idea di “scuola a quiz” e per questo tanto osteggiati da una parte del mondo della scuola (sindacati come i Cobas promuovono puntuali scioperi nei giorni delle prove), si sono presi la loro rivincita. I cento e lode all’esame di maturità oscillano con evidenti disparità tra Nord e Sud? Gli esiti dell’Invalsi ribaltano i risultati, valutando le competenze degli alunni in modo standard da Agrigento a Trento. «Sì, è una bella rivincita», osserva Anna Maria Ajello, presidente dell’ente pubblico di ricerca nato dalle ceneri del Centro europeo dell’educazione, e attraversato da vicissitudini politiche con le dimissioni ai vertici del pedagogista Benedetto Vertecchi all’epoca della ministra Moratti.

Da quando la studiosa di psicopedagogia ha ricevuto la nomina, due anni fa, la chiamano scherzosamente “la signora dei test”. «Non sono io, a farli sono in tanti». Un esercito di insegnanti divisi per discipline (matematica e italiano), coordinati da esperti e professori universitari. Ci vuole oltre un anno e mezzo per preparare una sola prova. Una macchina da 3,8 milioni (un euro e 65 cent a studente: 2,3 milioni quelli testati per circa 115mila classi), che sforna domande aggregate per difficoltà, collegate alle Indicazioni nazionali per i livelli di competenza che uno studente deve avere a un certo grado di scuola. E che a settembre restituirà, per la prima volta, i risultati anche in termini di “valore aggiunto”: al netto del contesto economico, sociale e familiare, quanto riceve un allievo dalla scuola?
Un’indagine che potrebbe spazzare via la critica più profonda ai test Invalsi: valutano solo certe competenze, si dice, ma la scuola è altro, forma alla vita, si preoccupa di non perdere i più deboli, quel “non uno di meno” che tra i banchi fa tutti uguali. E proprio questo emerge dalla nuova fotografia fornita da Invalsi in cui, per esempio, una scuola elementare e media di Catania, 800esima su 1400 per risultati assoluti, balza al primo posto per la capacità di formare i ragazzi a prescindere da famiglia, contesto ed esito degli studi precedenti. «Ma se questa scuola dà il massimo per valore aggiunto, ma non è ai primi posti nella preparazione degli studenti, allora vuol dire che dobbiamo aiutarla in altro modo », ragiona Ajello. «Per esempio, le scuole del Sud hanno ricevuto molti fondi europei, ma se gli esiti delle prove Invalsi sono sotto la media, dovremmo porci il problema di come essere più efficaci negli aiuti». Le prove «sono uno strumento, non l’unico, con limiti e vantaggi», insiste Ajello. Eppure fanno paura. «Sono attinenti a ciò che si dovrebbe fare in classe. Il problema è che gli insegnanti non sempre seguono le indicazioni nazionali, che sono invece prescrittive ». Forse perché non tutto è valutabile con un unico metro? «Le prove non valutano tutto l’insegnamento, ma una parte di competenze in italiano e matematica, con l’idea di far emergere quanto uno studente riesce a risolvere un problema, a capire un testo servendosi di ciò che ha imparato. Aiutano perciò a migliorare la scuola, non sono contro. Riconosco le difficoltà degli insegnanti, che tra l’altro non hanno nessuna preparazione, nella loro formazione iniziale, su cosa sia un test e a cosa serva. Non accetto però la loro resistenza alle prove — continua la presidente Invalsi — Ribalto il ragionamento: imparare a imparare è essenziale. Se non ne tengo conto nel valutare gli esiti degli allievi del Sud, non garantisco loro un diritto alla cittadinanza». Poi è vero, «negli Stati Uniti i test sono stati usati come clave: si è arrivati a chiudere scuole in base ad esiti negativi. Ora anche lì la tendenza è ad ammorbidire l’effetto, ed è giusto così. Si dice che non teniamo conto del contesto? Quando restituiamo i dati a un istituto, diamo anche i risultati delle 200 scuole che sono nelle medesime condizioni socio-economiche, così il confronto è tra simili. E da quest’anno valuteremo anche il contributo effettivo che una scuola dà nel formare uno studente. Al Sud come al Nord».

La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33
Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL