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GdM-si impedica quel progetto

Si impedisca quel progetto MARCELLO VENEZIANI Ma davvero l'Italia sarà sbranata dalla devolution? A dir la verità temo più l'esito paventato da Massimo Cacciari di una devoluzion...

29/11/2002
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La Gazzetta del Mezzogiorno

Si impedisca
quel progetto

MARCELLO VENEZIANI

Ma davvero l'Italia sarà sbranata dalla devolution? A dir la verità temo più l'esito paventato da Massimo Cacciari di una devoluzione caricaturale, verbosamente leghista e sostanzialmente pasticciata, che una vera e propria lottizzazione d'Italia. E trovo grottesco questo impeto neo-nazionalista di partiti e leader che sono sempre stati lontani dal tema dell'italianità e dell'amor patrio. Ora vedo mezza sinistra, fino a ieri federalista e internazionalista, difendere la scuola di Giovanni Gentile, la giustizia di Alfredo Rocco, l'Italia di Federzoni, la polizia di Scelba e mi scappa da ridere e un po' da piangere. Che si deve fare pur di attaccare Berlusconi e di dimostrare che Bossi non è una costola della sinistra, come dicevano ai tempi in cui la sinistra corteggiava la Lega, ma è il crudele Procuste che vuol tagliare l'Italia in tranci.
Ma lasciamo stare le polemiche pretestuose e veniamo al progetto. Per cominciare, è infelice parlare di devolution. Non solo perché mi sembra un remake di una brutta canzone di Celentano (Svalutation, sull'onda di Revolution dei Beatles) e non solo perché mi sembra già infelice pensare all'Italia in lingua inglese. Ma soprattutto perché è un'evidente citazione britannica, dove la devolution ha una ragion d'essere storica e geopolitica che da noi non c'è: qui non c'è nessuna Scozia, nessuna Irlanda.
Mettiamocelo in testa. Questo paese che viene da una gloriosa tradizione per metà comunale (al Centro-Nord) e per metà euro-nazionale (al Sud), si è unito e si è modernizzato con uno Stato centralista. Sì, l'Italia è cresciuta per più di cento anni con un assetto statuale che imitava il modello francese, e che era fondato su una forte centralizzazione delle decisioni ed un reticolo di prefetture e di province. Bene o male così è cresciuta l'Italia, così è passata da paese povero e contadino a paese ricco e moderno.
Certo, per noi il centralismo non era solo un modo di amministrare; era anche un modo per somministrare dall'alto quell'unità politica nazionale così recente e quella coscienza pubblica che ci difetta. Comunque, quell'Italia ha funzionato, superando la prova di due guerre mondiali, un paio di guerre coloniali, la difficile integrazione del Nord e del Sud, più il fascismo e la guerra civile.

Dal 1970 nacquero le Regioni e il rapporto tra società italiana e istituzioni non migliorò: le Regioni duplicarono i costi del sistema, le inefficienze e i parassitismi, allargarono il ceto politico professionale, non semplificarono il quadro periferico ma lo aggrovigliarono perché le province non sparirono, in più sorsero comunità montane, comprensori e altre entità territoriali. Complessivamente non fu un progresso ma un degrado, anche in termini di malaffare. Devastante poi l'esperienza di alcune regioni a statuto speciale, a cominciare dalla Sicilia, sanguisuga dell'erario e sultanato di privilegi.
Poi negli anni Novanta montò il vento del federalismo, fino al turbine della secessione. Era un vento non solo italiano, che aveva ed ha punti di forza oggettivi: se federalismo vuol dire responsabilizzare in loco, gestire partendo dal più piccolo, trasferire e decidere a livello periferico tutto quello che inutilmente grava a livello nazionale, è cosa buona e giusta. Ma non è il toccasana universale; va usato con cautela, vanno considerati i divari tra Nord e Sud e tra versanti Est e Ovest; va bilanciato con altre riforme, da quella presidenziale ad un progetto culturale nazionale. E non può riguardare settori delicati che necessitano di linee di fondo comuni e nazionali, come la scuola, innanzitutto, la sicurezza e per certi versi la sanità.
Non dite che negli Stati Uniti funziona così: gli Usa sono una confederazione, hanno una storia diversa, sono un paese immenso. Non è il caso nostro, non possiamo clonare modelli che hanno altra storia e altro popolo. Un conto è applicare il federalismo nella gestione e nel fisco, un altro è spezzettare le linee maestre che identificano un paese, una cultura, un disegno sociale. Peraltro è difficile trasferire competenze e poi tagliare i fondi agli enti locali con la Finanziaria. Date un po' di bromuro a Bossi, Tremonti, Formigoni e soci. Frenate quel progetto. Non sarebbe devolution ma involution.


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