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Fioramonti, la vita difficile di un ministro: scuola e università ancora senza fondi

La richiesta di tre miliardi per scuola, università e ricerca e la scarsità dei fondi destinati dalla manovra. Le mobilitazioni dei sindacati causata dagli impegni disattesi dal governo sul concorso della scuola e le assunzioni al Cnr. Il problema delle nomine dell'agenzia nazionale della ricerca. E il ministro ribadisce: senza nuovi fondi mi dimetto

07/11/2019
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il manifesto

Roberto Ciccarelli

La scuola e la ricerca sono le cenerentole della legge di bilancio. Nessuna risorsa aggiuntiva per recuperare i tagli mai più rifinanziati dall’epoca di Berlusconi (più di 8 miliardi); risorse esigue per il contratto della scuola mentre erano stati promessi «aumenti a tre cifre»; impegni disattesi sul concorso della scuola tali da spingere i sindacati del settore Flc Cgil, Cisl e Uil scuola, Gilda e Snals a convocare una protesta in tutto il paese lunedì 11 novembre. E, all’elenco va aggiunto l’articolo 28 della legge di stabilità che istituisce l’agenzia nazionale della ricerca i cui vertici saranno in gran parte di nomina politica. Un episodio che ha fatto infuriare il ministro Lorenzo Fioramonti secondo il quale il nuovo ente che si aggiungerà in un orizzonte già affollato dovrà essere guidato da una personalità scelta attraverso una selezione scientifica. E anche la norma che non permette di assumere i ricercatori del Cnr, già previsti dalla legge Madia, andrà rivista. Fioramonti ha evocato una figura ricorrente che agisce nell’ombra dall’inizio della legislatura, a cominciare da quella memorabile sul «decreto dignità»: la «manina burocratica», responsabile stavolta di avere inserito limiti che per il ministro andranno rimossi. Nel frattempo l’11 e 12 novembre Usb organizza presidi davanti alle sedi del Cnr, il 13 ha indetto una manifestazione a Montecitorio. E sono ancora in corso i lavori per trovare una soluzione all’internalizzazione dei lavoratori degli appalti a scuola: un’emergenza sociale che interessa all’incirca 16 mila persone.

È difficile la vita di un ministro della scuola e dell’università come Lorenzo Fioramonti che, appena insediato a Viale Trastevere a settembre, aveva posto l’aut aut: 3 miliardi per il settore oppure mi dimetto. Intenzione ribadita nelle ultime ore, non prive di polemiche, anche all’interno dell’esecutivo, come si è visto. Ora il rischio per il governo, già ammaccato dal permanente conflitto interno, e scosso dalle ondate paurose sollevate dall’esplosione della bomba ex Ilva, è di perdere il ministro dell’Istruzione se, da oggi a fine dicembre, non sarà trovata una quota significativa dei tre miliardi richiesti. Fioramonti ha usato anche una certa fantasia per contribuire alla ricerca dei fondi: la sua proposta di «Sugar Tax» su merendine e bevande zuccherine ha tenuto banco, ed è stata respinta dal fuoco amico renziano, oltre che da quello ostile delle destre scatenate. I suoi sottosegretari De Cristofaro (LeU) e Ascani (Pd) hanno assicurato che qualche risorsa sarà trovata nel corso della discussione parlamentare che, al momento, si annuncia già come una guerra di trincea. La coperta è corta, il momento è difficile, la modestia della discussione sulla legge di bilancio è imbarazzante, ma a Fioramonti va riconosciuto il coraggio di tenere il punto, porre il problema e, eventualmente, trarre le conclusioni definitive. Non è poco di questi tempi. In nessun caso è la soluzione del problema. Con, o senza questo ministro, a gennaio saranno sempre più di otto i miliardi da restituire a settori fondamentali per la società di questo paese.


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