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FdV-1° Maggio, identità e diritti

Adolfo Pepe: 1° Maggio, identità e diritti Una classe dirigente nazionale che non si è mai identificata lealme...

01/05/2003
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Adolfo Pepe: 1° Maggio, identità e diritti

Una classe dirigente nazionale che non si è mai identificata lealmente con l'inclusione dei diritti dei lavoratori nel "patto sociale".

La continuità temporale e la diffusione spaziale hanno contribuito a rendere il 1 maggio un fenomeno al tempo stesso semplice e complesso.
Semplice nel significato evocativo diretto del messaggio universale di solidarietà,di dignità e di rivendicazione dei propri diritti da parte del mondo del lavoro nei confronti delle istituzioni sociali e politiche; complesso perché in esso confluiscono molteplici elementi ideali, politici, economici e si intrecciano le relazioni tra la formazione del movimento operaio e i comportamenti delle istituzioni e del sistema sociale prevalente.
Questi fattori, consolidandosi e cristallizzandosi, hanno dato vita ad una specifica tradizione del 1 maggio intrisa di forte valenza mitica, escatologica e di liberazione dell'uomo dalla soggezione e subalternità nel lavoro ma anche permeata di un forte e concreto spirito rivendicativo, di una decisa affermazione di un'identità sociale e morale alternativa a quella della borghesia, delle classi dirigenti, delle istituzioni politiche liberali e conservatrici che dominavano nelle maggiori comunità nazionali europee e nel Nord America sul finire del secolo scorso.
In questo senso, il 1 maggio nasce e si sviluppa come uno dei fenomeni cruciali del processo di identità delle classi sociali subalterne ma anche di saldatura conflittuale tra esse e le diverse componenti del sistema capitalistico e borghese in espansione e consolidamento.
La dimensione e il valore politico dell'avvenimento si combina con il suo carattere fortemente rivendicativo e sindacale, mentre l'aspetto della legittimazione della protesta , attraverso l'astensione dal lavoro, si integra con il rituale tradizionale della festa tipica delle remote ricorrenze celebrative popolari e soprattutto delle festività proprie dei cicli del lavoro agricolo.
Nessun'altra manifestazione del movimento operaio ha avuto un'analoga funzione di distinzione dell'identità e di legittimazione, rese ancor più importanti dalla dimensione nazionale e internazionale dell'avvenimento.

D'altro canto, se rileggiamo l'atteggiamento delle classi dirigenti europee e nordamericane ci accorgiamo che il 1 maggio è sempre stato un'eccellente cartina di tornasole per individuare gli orientamenti di fondo che maturavano nei confronti del movimento operaio, delle sue istituzioni e del suo peculiare mondo di valori.
Più che il timore del 1 maggio come giornata della mobilitazione internazionale, in senso rivoluzionario, ciò che preoccupava e sovente spingeva all'aperta repressione, era l'evidente carattere di separatezza dall'insieme del sistema sociale e dai valori di riferimento prevalenti che da tale manifestazione si sprigionava.
Appariva evidente alle classi dirigenti come, con la celebrazione del 1 maggio, il movimento operaio, prima ancora delle istituzioni e delle forme di azione, di lotta e della carta rivendicativa, affermava un principio giuridico fondamentale, quello delle domande come 'diritto'.
Questo rompeva l'autoritarismo sociale, politico e culturale delle società tradizionali.
E proprio perché introduceva nell'assetto formale delle istituzioni sociali e politiche una domanda espressa in forma di 'diritto", il 1 maggio apriva una frattura insanabile con il vecchio modo paternalistico di considerare i ceti subalterni.
Apriva una complessiva questione di trasformazione profonda proprio delle forme e delle relazioni sociali e istituzionali tra le classi.
In altri termini è la riaffermazione annuale che le classi lavoratrici dovevano essere considerate sotto il profilo del riconoscimento del diritto collettivo ed istituzionale.
Dunque dovevano concorrere alla formazione di un più largo e solido 'patto sociale', colmando l'ingiustificabile esclusione della maggioranza dei ceti produttivi dalla acquisizione della piena cittadinanza.

La peculiarità del 1 maggio nell'età liberale si può quindi ricondurre, in Europa e in Nord America, al suo carattere 'costituente' del diritto delle classi lavoratrici.
L'emancipazione economica (le riduzioni dell'orario di lavoro, l'occupazione, la difesa del salari, la dignità del lavoratore, la sua salute e la tutela dagli infortuni), le forme della protesta e la legittimazione dello sciopero, la contrattazione collettiva, gli ideali di solidarietà, giustizia e uguaglianza., le aspirazioni politiche ad una società socialista, la riaffermazione della pace tra i popoli, trovavano il loro punto di sintesi più alto, né ideologico né partitico, nella celebrazione del 1 maggio.
Una seconda considerazione è necessario svolgere, nell'attuale clima politico-culturale, sul carattere identitario del 1 maggio in rapporto alla mancata formazione di una memoria nazionale condivisa.
Il 1 maggio, come ogni autentico rito collettivo, celebra soprattutto la 'memoria' di se stesso.
Per questo è un filtro della storia del paese.
E le tensioni che attraversano le grandi ricorrenze simboliche, si identificano con le tensioni della memoria e della storia dell'intera comunità nazionale e contribuiscono a comprenderne le radici e il senso.
Solo in apparenza il 1 maggio è una memoria condivisa e solo in apparenza differisce dal 25 Aprile.
In realtà, pur nella diversità delle lacerazioni che implicano, entrambe le ricorrenze segnalano una profonda anomalia storica dell'Italia, il solo grande paese dell'Occidente democratico a non possedere un rito collettivo e una memoria condivisa frutto dell'azione, dell'impegno diretto e dei valori delle classi dirigenti o ,per essere più espliciti, della borghesia nazionale.
L'insieme dei simboli e dei valori connessi con le celebrazioni collettive è, come è noto, a fondamento delle democrazie contemporanee ed è, in larga parte, scaturito da un processo di condivisione tra le diverse componenti sociali, politiche e culturali nazionali.

In Italia, invece, le lacerazioni della memoria e le persistenti difficoltà di completare procedimenti di 'conciliazione' e 'riconciliazione', si manifestano evidenti proprio nelle modalità con cui vengono interpretati i riti collettivi simbolici.
In essi si riflette, senza possibilità alcuna di rielaborazione unitaria, il dato di una storia nazionale che assegna i valori simbolici, identitari e di coesione ad una sola componente sociale, quella espressa dall'insieme del movimento dei lavoratori.
Se le tensioni intorno al 25 Aprile appaiono più evidenti, è perché in esse è forte e bruciante lo smacco politico-ideale di una classe dirigente e di una borghesia che non possono rivendicare a sé, per intero o per larga parte, ciò che, in Occidente, è per definizione storia e valori borghesi: la nazione, la repubblica, la costituzione.
Nonostante la 'canonizzazione' e la 'nazionalizzazione' del 25 Aprile, ogni celebrazione annuale, finisce con il riproporre la memoria storica di un evento simbolico che, comunque, ha, come protagonisti cruciali, il movimento dei lavoratori, le sue lotte, le sue organizzazioni, i suoi valori.
Se, per ipotesi si arrivasse ad una celebrazione del 25 Aprile così 'normale' e così 'nazionale' da espungere questo dato storico sarebbe evidente che il rito stesso e il suo valore simbolico non avrebbero più ragion d'essere.
Le classi dirigenti da sole non possono celebrare da sole il 25 Aprile così come hanno dovuto rinunziare celebrare il 4 novembre o le date del plebiscito unitario.
Anche il 1 maggio non sfugge a questo carattere essenziale della storia italiana.
Questa ricorrenza è stata sottoposta ad una serie continua di procedimenti di 'metabolizzazione' dal fascismo alla Chiesa cattolica, dalla mutazione antropologica dei lavoratori alla eclisse del lavoro agli orientamenti delle stesse organizzazioni sindacali.

E tuttavia, ogni 1 maggio, anche negli ultimi anni, ritenuti espressione di una definitiva frattura con la memoria storica della ricorrenza, la celebrazione ha innanzitutto ricordato se stessa, il suo carattere identitario, l'aspetto simbolico, la valenza politica, la condivisione di valori che altri non riescono a condividere.
E questo rinvia ad un ulteriore alterata, non meno profonda, della memoria storica del paese, concernente il profilo della classe dirigente che non riesce ad identificarsi lealmente con valori etico ideali e con principi politico-giuridici che includano stabilmente i diritti e gli interessi dei lavoratori come fondamento del 'patto sociale' e del sistema democratico.
Ed è per questo che, anche il 1 maggio, è nelle celebrazioni-, nella memoria e nella storia nazionale un evento 'non condiviso'.

Adolfo Pepe

30 Aprile 2003


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