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Faccia a faccia professione insegnante-2

www.casadellacultura.it Michele Losi Ventinove anni, insegna lettere dal 2001 presso la Scuola Media Leonardo da Vinci di Brugherio. È coordinatore dell'attività teatrale del complesso scolastic...

11/10/2002
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Michele Losi
Ventinove anni, insegna lettere dal 2001 presso la Scuola Media Leonardo da Vinci di Brugherio. È coordinatore dell'attività teatrale del complesso scolastico Sciviero, che comprende anche una scuola materna e un'elementare.
Faccia a faccia: professione insegnante
Intervista a Michele Losi

Perché hai scelto questa professione?

Devo ammettere che non è stata una scelta molto meditata. Premetto che a casa mia ho sempre respirato aria di scuola, avendo entrambi i genitori insegnanti. Tuttavia, a un certo punto, mi sono reso conto che tutte le mie attività tendevano alla progettazione e all'insegnamento e così avevo due alternative: rimanere all'università oppure provare la strada dell'insegnamento nella scuola pubblica. La prima non mi convinceva e così mi sono buttato nella seconda, approfittando del concorso indetto nel 1999.
Ciò che mi ha convinto nella mia scelta è stata la prospettiva di poter concentrare le energie su un percorso professionale preciso, in cui poter mettere al centro i valori legati alla cultura.

In questo tuo primo anno di insegnamento, ti sei fatto un'idea di quali siano i problemi più rilevanti della professione di insegnante?

In generale, ho trovato un buon livello di motivazione e di insegnanti "fusi" ne ho visti pochi. Nei limiti della mia esperienza posso dire che tra i problemi che possono avere ripercussioni psicologiche c'è quello della routine. Tra le persone che insegnano da molti anni, infatti, è facile percepire una sensazione di stanchezza, legata forse alla certezza che ogni giorno in classe si ripeteranno sempre le stesse cose, con gli stessi risultati.
Altro problema è quello della percezione del proprio ruolo, non tanto in relazione alla società, ma proprio all'interno della scuola. Spesso è difficile capire quali siano i ruoli all'interno dell'istituzione, che cosa debba fare l'insegnante, quale grado di poteri e arbitrarietà sia concesso a questa nuova figura che è il "dirigente scolastico".
È un po' come se mancasse un vero punto di riferimento e che quello istituzionale non sia pienamente accettato. Questo comporta un altro ordine di problemi, l'atomizzazione dell'insegnamento: ognuno fa per sé, senza confrontare il proprio lavoro con gli altri.
Appena arrivato mi ero risentito molto per non avere nessun confronto esterno sul mio lavoro. Non è molto motivante sapere che non cambia nulla se lavori bene o male. L'isolamento dell'insegnante è un problema concreto, che da pochi mesi stiamo affrontando con i corsi di teatro rivolti a studenti e insegnanti e con dei coordinamenti per materia in cui finalmente ci può confrontare sui progetti di lavoro.
Un altro motivo di frustrazione è la mancanza di gradi di avanzamento di carriera, legati al tipo di responsabilità e di professionalità acquisita. Dopo quindici anni di insegnamento in classe, ad esempio, un docente dovrebbe avere ore di tutoraggio sugli altri docenti. Ci dovrebbero anche essere riconoscimenti economici di altro tipo. Non è strano che un insegnante di cinquant'anni con grande esperienza, che magari dedica quaranta ore alla settimana alla scuola prenda uno stipendio di soli tre milioni al mese? Anche per questo quasi tutti svolgono una seconda professione, e non solo per avere gratificazioni economiche
Infine, sarebbe auspicabile che la scuola si aprisse alle esperienze e alle competenze provenienti dall'esterno, perché ci sono molte risorse potenziali che non vengono valorizzate. Bisognerebbe strutturare le carriere d'insegnamento anche sulla base di professionalità diverse, come può essere, nel mio caso, il teatro. È la dinamica "interno-esterno" che andrebbe rafforzata.

La scuola è dunque un universo chiuso in se stesso?

È difficile dirlo. Di sicuro la scuola di oggi si trova all'interno di dinamiche sociali molto complesse. Nella crisi epocale che attraversa la nostra società diventa molto difficile diventare un punto di riferimento, perché i valori che si possono portare avanti vengono costantemente disattesi dai modelli imposti dalla televisione e dal mercato. Hai voglia a parlare in classe di "intercultura", di "diritti", di "costituzione" se poi la televisione propina messaggi univoci come quello di "immigrato uguale criminale". La tua è fatica sprecata. Sarebbe necessario forse avviare una riflessione sulla società nel suo complesso, partendo anche dalla scuola.

Com'è il tuo rapporto con gli studenti?

Molto faticoso, specialmente all'inizio. Qui tutto passa sulla tua pelle, perché di fronte agli studenti sei solo e sta a te, alla tua capacità di metterti in gioco, guadagnarti il loro rispetto. Puoi decidere di non farlo e allora le conseguenze personali sono facilmente immaginabili; oppure puoi metterti alla prova, avendo il coraggio di sbagliare e soprattutto di riconoscerlo. Ai ragazzi non sfuggono le tue debolezze e per questo bisogna essere molto solidi. Poi ci vuole anche un certo allenamento fisico, perché la differenza di età in alcuni casi può essere un problema: per stare dietro a ragazzi di tredici anni devi avere un livello energetico molto alto, altrimenti è finita. Per gestire la mia classe di solito instauro una relazione anche fisica: è un piano di comunicazione molto efficace con studenti di quest'età, che dovrebbe sessere tenuto in considerazione da tutti gli insegnanti. L'attività teatrale nel nostro istituto serve anche a questo. Poi, in ogni ragazzo vai a scoprire cose che neanche ti immaginavi. Insomma, se fai l'insegnante e riesci a viverlo come un percorso di ricerca e di sperimentazione può persino sembrarti un bel mestiere.


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