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Erasmus poteva votare

Chiara Saraceno

20/01/2013
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la Repubblica
La ministra Cancellieri, per giustificare l’impossibilità di votare per posta, ha dichiarato che, dato che si trattengono all’estero per meno di un anno, non possono iscriversi all’Aire come devono fare tutti coloro che risiedono all’estero, appunto per più di un anno. Ma ciò significa solo che non possono votare nella circoscrizione estera. Non si capisce invece perché non avrebbero potuto votare, appunto per corrispondenza, come i professori universitari (ed anche i loro familiari) che si trovano, per motivi di insegnamento e ricerca, per meno di un anno presso una università o istituto di ricerca straniero. È lo stesso diritto che hanno anche i dipendenti delle amministrazioni dello Stato e delle Regioni (e i loro familiari) temporaneamente distaccati all’estero, o i membri delle forze armate e di polizia in missione all’estero. Basta che ne facciano richiesta entro il 20 gennaio, cioè entro oggi. È un diritto che esiste da tempo ed è stato ribadito, proprio in vista delle elezioni di febbraio, dal Decreto-legge 18 dicembre 2012, n. 223, approvato dal governo di cui Cancellieri fa autorevolmente parte. Bastava inserire anche la figura degli studenti universitari che si trovano all’estero sulla base di programmi internazionali e concordati tra università, equiparandoli, in questo, ai professori universitari. Certo, sarebbe ora che il Parlamento regolamentasse il diritto al voto per corrispondenza a tutti i cittadini che si trovano temporaneamente all’estero, e non solo a particolari categorie. Ma, per fare questo, ci vorrebbe una nuova legge, vista l’occasione perduta quando si estese il diritto di voto agli italiani residenti all’estero, dimenticandosi di quelli che risiedono e pagano le tasse in Italia, ma si trovano fuori dai confini nazionali al momento del voto. Per raggiungere questo obiettivo (realizzato da tempo in molti Paesi democratici) ci vuole tuttavia tempo e una larga maggioranza. Sarebbe stato invece possibile cominciare ad assimilare gli studenti universitari alla categoria dei ricercatori. È un problema sollevato già in occasione di precedenti elezioni, che avrebbe meritato di essere messo a fuoco e risolto da un governo e da un Parlamento che si riempiono la bocca della priorità da dare ai giovani e alla formazione, anche internazionale.
Invece siamo alle solite: si ignorano i vincoli frapposti all’esercizio di un diritto fondamentale, con l’esito paradossale che i legami familiari contano di più dei diritti individuali. Se, invece di aver vinto una borsa Erasmus per perseguire un progetto di formazione autonomo, fossero all’estero con un genitore o un coniuge impegnato nella sua propria professione, gli studenti avrebbero quel diritto a votare per corrispondenza che viene loro negato in quanto individui autonomi.

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