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Eco di Bergamo-Bertagna: senza la riforma, la scuola esploderà

Bertagna: senza la riforma, la scuola esploderà Giuseppe Bertagna, 50 anni, bresciano, docente di Filosofia dell'educazione all'università di Bergamo, ha presieduto la commissione che ha lavo...

15/09/2002
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Eco di Bergamo

Bertagna: senza la riforma, la scuola esploderà

Giuseppe Bertagna, 50 anni, bresciano, docente di Filosofia dell'educazione all'università di Bergamo, ha presieduto la commissione che ha lavorato per dare un volto alla scuola del futuro immaginata dal ministro della Pubblica istruzione, Letizia Moratti. Un progetto, al centro di un vivace dibattito, che vogliamo capire meglio nei suoi obiettivi e nelle sue articolazioni.
Professor Bertagna, lei non nasce oggi come uomo di scuola.
"Di riforme scolastiche mi occupo dall'86... Mi sono laureato in Pedagogia e ho cominciato a insegnare filosofia e storia al liceo di Rovato... Dopo ho fatto il preside a Brescia e quindi l'ispettore tecnico ministeriale. É in questa veste che ho cominciato a partecipare a gruppi e commissioni che si occupavano del problema della riforma della scuola, finché un ministro della Repubblica mi ha detto che se non smettevo di esprimermi con tale libertà finivo in Sardegna. Allora ho piantato l'amministrazione e sono passato in Università, prima a Torino, poi a Bologna e adesso a Bergamo.
Insomma, un capitano di lungo corso nel mare della scuola italiana.
"La mia carriera ha sempre avuto al centro il problema della riforma. Nel 1982, con il bergamasco Evandro Agazzi, lui direttore e io redattore capo, abbiamo inventato la rivista Nuova Secondaria che esce dall'83 per La Scuola Editrice. Grosso modo, abbiamo sempre sostenuto le medesime impostazioni, che sono poi le impostazioni della tradizione cattolica bresciana, che ha avuto Vittorino Chizzolini, Marco Agusti, Aldo Agazzi...".
Quanti ministri ha visto passare?
"Falcucci, Gallone, Mattarella, Bodrato, D'Onofrio, poi Lombardi, Iervolino, Berlinguer, De Mauro e Moratti".
È proprio impossibile fare la riforma in Italia?
"Dal 1974 al 2001 sono stati 34 i tentativi di riformare la scuola secondaria e tutti hanno portato male, nel senso che quando una parte della riforma arrivava in un ramo del Parlamento si scioglievano le Camere".
Insomma una maledizione.
"Non credo alla magia. La riforma non si è mai fatta perché i principi che la sorreggevano erano inapplicabili. La legge 30 del 2000, che è una legge che il Parlamento ha approvato e che è una legge vigente, è la testimonianza che è più facile approvare le leggi che applicarle. Nel momento in cui la si applica esplodono le contraddizioni operative. Però la scuola, non essendo al centro delle preoccupazioni della politica nazionale, è stata spesso adoperata obliquamente dalle parti per ostacolarsi a vicenda. La scuola è una specie di bambola vudu, infilzata dagli spilloni... C'è sempre stata questa contraddizione, fin dai tempi di Moro".
Chi infilza la scuola con gli spilli adesso?
"È un certo modo di fare politica, il meccanismo per cui io non posso dire che uno sta dicendo una cosa ragionevole, anche se la dice, semplicemente perché non è seduto dalla mia parte del tavolo.
La riforma rimandata sarà fatta alla fine dalla signora Moratti?
"Credo che ci siano alcune condizioni strutturali che vanno tenute presenti. La prima è che è intervenuto un Titolo quinto della Costituzione, approvato a fine legislatura dalla maggioranza dell'Ulivo, che ha cambiato tutte le carte in tavola. La legge 30, che è la legge Berlinguer sulla riforma dei cicli, è stata l'ultima riforma centralistica approvata, era il marzo 2000. Mentre la Commissione De Mauro lavorava ai decreti attuativi e il Parlamento dava le indicazioni programmatiche, nel marzo del 2001 il Parlamento, con 4 voti di maggioranza, approva la riforma del Titolo quinto della Costituzione. Una bomba nell'ordinamento scolastico italiano perché tutti, insegnanti, presidi, provveditori, ci si è sempre considerati dipendenti da Roma. Il paradigma centralista ha sorretto la nostra scuola e ha avuto difetti e pregi. Il Titolo quinto ha azzerato tutto. Ha detto che non c'è più Roma, da cui poi a piramide scendono fino alla periferia tutte le disposizioni, ma che invece esistono tre blocchi. Il primo blocco è lo Stato, che è uno degli enti della Repubblica insieme a Comuni, Province, città metropolitane, Regioni. In base al principio di sussidiarietà l'ente superiore non può fare ciò che può essere fatto dall'ente più piccolo. Lo Stato non può fare ciò che può essere fatto dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni, salvo che per rispettare il criterio di adeguatezza e di differenziazione. Cioè, lo Stato interviene solo se c'è il rischio che gli altri Enti territoriali realizzino qui un servizio di serie A e là uno di serie B con svantaggio per il cittadino. Il titolo quinto è una rivoluzione, perché lo Stato non ordina più ma governa. La scuola, per il Titolo quinto, è affidata alle cure dello Stato per il governo, alle Regioni per il governo e per la gestione territoriale, e alle istituzioni scolastiche per la gestione educativa e organizzativa concreta. Gli enti diventano tre".
In totale entrano in gioco...
"11.000 scuole, 8.000 Comuni, 20 Regioni, uno Stato".
E la legge Berlinguer che fine fa?
"La legge 30 prevedeva ancora lo Stato che dava l'impulso. La legge 30, approvata dall'Ulivo, è stata ammazzata dalla legge costituzionale approvata dall'Ulivo".
Quindi ha avuto ragione Berlusconi a fare piazza pulita subito con la riforma dei cicli?
"È più complesso. Volendo, si poteva prendere la legge 30 e modificarla in maniera tale da averla coerente con il quadro costituzionale. Ma che cosa è intervenuto dentro questo macroproblema? È intervenuta una rottura di un principio che aveva in qualche modo sempre tenuto legata la politica scolastica italiana, dove è sempre esistito un potere di reciproca interdizione. Noi non siamo un Paese come l'Austria, che approva le leggi sulla scuola con una maggioranza obbligatoria dei due terzi del Parlamento, non siamo nemmeno come la Spagna, la quale ha la necessità di approvare le riforme con il 50 per cento più 1 dei membri del Parlamento, quindi la maggioranza è qualificata. In Spagna tra l'altro una riforma fatta da Gonzales, socialista, è stata poi messa in atto da Aznar. In Italia abbiamo avuto pochi mesi, dal gennaio del 2001 all'aprile 2001 quando ci sono state le elezioni, in cui è intervenuta una specie di deterrenza reciproca. Cioè, l'Ulivo che approva una riforma costituzionale senza tener conto dell'opposizione dopo una legge, la 30, approvata con maggioranza risicatissima, dove addirittura una parte della opposizione uscì dall'aula. Berlinguer è stato un genio politico a farla approvare perché dentro l'Ulivo la coalizione era rissosissima. L'abilità di Berlinguer è stata quella di trovare una mediazione tra posizioni conflittuali. Ma questo ha in qualche modo modificato il codice genetico della legge che era stata proposta in prima istanza. Nel gennaio '97 la legge di riforma della scuola era molto diversa da quella poi approvata nel marzo del 2000. La legge 30 andò in Parlamento blindata, se no saltava tutto. La cosa paradossale è che fu approvata una legge costituzionale senza che ci si accorgesse di aver messo una bomba sotto un intero sistema. La legge Berlinguer divenne oggetto di campagna elettorale e a quel punto l'Ulivo difese anche ciò che non era difendibile, cioè le proposte attuative fatte dalla De Mauro. Il Polo, per reazione, fu costretto a dire che tutto andava male e che se avessero vinto avrebbero proposto al Parlamento di abrogarla. In questo scontro si andò oltre il merito tecnico delle questioni".
Ma vi furono anche contestazioni tecniche a Di Mauro, no?
"Ci fu il parere negativo del Consiglio di Stato e il parere negativo della Corte dei conti, perché la legge era andata in Parlamento senza copertura finanziaria. La Corte restituì le proposte al Governo. Il nuovo decreto fu presentato alla Corte dei Conti nel maggio del 2001, il giorno dopo le elezioni, quando vinse il Polo. E questo spiega perché il primo atto che fece il governo Berlusconi fu di sospendere la attuazione dei decreti De Mauro. In pratica non rispose alla Corte dei conti e...".
La legge morì da sola. Ma la contraddizione non è ancora stata risolta.
"Vero, la contraddizione non è ancora stata risolta, perché per ora la legge è sospesa, ma esiste."
Quando entra in gioco il prof. Bertagna?
"Nel giugno del 2001 il ministro Moratti mi chiese la disponibilità a lavorare a un progetto di riforma della scuola. Io feci tre domande. Chiesi se il ministro era convinto della necessità di fare una legge trasversale, cioè che coinvolgesse tutte le dimensioni culturali del paese: cattolica, laica e social-comunista. Il ministro Moratti confermò di volere una riforma che fosse di tutti. Su questa base fu costituito il gruppo ristretto di lavoro, composto in termini paritari di tutte le culture esistenti nel nostro Paese".
La famosa commissione Bertagna. Ha scelto lei i 6 membri?
"L'ha costituita il ministro. Una commissione di studio e ricerca sulla riforma della scuola non deve essere composta da gente tutta di una parte, c'era addirittura il consigliere diretto di Berlinguer".
La seconda domanda al ministro?
"Tutti tacciono su questo Titolo quinto, come se non ci fosse. Quando una legge è approvata dal Parlamento è buona norma applicarla. Però se diciamo che lavoriamo tenendo conto del Titolo quinto, si scatenano immediatamente destra e sinistra. Perché allora c'era la corsa al referendum confermativo e la Corte di Cassazione non aveva ancora deciso se le firme presentate dai parlamentari erano valide oppure no. Insomma, decidemmo che avremmo lavorato "come se", tenendo conto del Titolo quinto della Costituzione, aspettando le decisioni finali".
Terzo?
"La terza domanda al ministro riguardava il fatto che una riforma della scuola deve anche pensare ai trattati internazionali. Quindi, occorre rivedere l'intesa tra Stato italiano e Vaticano oppure no? La risposta fu che non si prevedeva di modificare l'intesa tra Santa Sede e Stato Italiano a proposito di Irc".
Su queste premesse la commissione ha cominciato il lavoro nell'estate del 2001.
"La prima riunione è stata il 23 di luglio. Abbiamo lavorato bene insieme, come sempre quando si antepongono i problemi agli schieramenti".
Tutti uomini di scuola?
"Tutti, nessun funzionario di partito. Un lavoro che definirei unico nella storia della Repubblica. La Commissione Gonella ebbe a disposizione 3 anni, dal 1947 al '50, noi avevamo pochi mesi perché il ministro con il nuovo anno voleva presentare al Paese e al parlamento una nuova legge di revisione che potesse entrare in vigore e sostituire la legge 30".
La scuola italiana è così carente da rendere necessario tutto questo?
"Sul fatto che la nostra scuola negli ultimi 15 anni sia in discesa, tutti sono d'accordo. La scuola elementare dall'83 al 2000 ha subito delle degradazioni qualitative preoccupanti. Il 28 per cento dei laureati italiani è classificabile come semianalfabeta in termini internazionali e c'è una percentuale sul 6-7 per cento che non capisce addirittura il senso autentico di un testo di novanta righe. E non parliamo del livello di dispersione. Fatti cento i regolari in prima elementare, in terza media arrivano regolari 80 e alle superiori arriva regolare alla fine poco più del 60%. É tutta intelligenza dispersa. Noi che eravamo all'avanguardia nell'invenzione, nella creatività, nella ricerca, negli ultimi 12 anni per i brevetti siamo diventati gli ultimi in Europa. Non si vive di moda, si vive di tecnologie che il nostro paese non è più in grado di creare".
Poco tempo per rimettere in piedi una scuola in grave crisi, non trova?
"Siamo sempre stati consapevoli dei problemi. Abbiamo fatto il giro di 60 Consigli di classe, 60 Consigli di istituto, 60 Collegi dei docenti di tutta Italia. Abbiamo raccolto obiezioni, osservazioni, siamo andati nelle scuole buone e in quelle cattive, e in più abbiamo predisposto con l'Istat un'indagine statisticamente rigorosa. Si sono richiesti tutti gli indirizzi di tutte le scuole e non c'erano..."
Vuol dire che non esisteva al Ministero l'indirizzario delle scuole italiane?
"L'abbiamo ricostruito noi in 3, 4 settimane. Sugli indirizzi l'Istat scelse il campione, poi si scrisse a queste scuole e si chiese l'indirizzo di tutti gli studenti, di tutti i genitori e di tutti i docenti. Su questi indirizzi l'Istat identificò un campione di 8.000 persone tra studenti, docenti e genitori ai quali abbiamo sottoposto domande sulla ipotesi che avevamo nel frattempo elaborato. Intanto abbiamo organizzato 10 focus dove abbiamo invitato intellettuali, giornalisti, eccetera. Perché noi cercavamo proprio il confronto. A un certo punto il Ministro decide gli stati generali al 19 di dicembre e chiede che prima i docenti, le famiglie e l'opinione pubblica italiana discutano l'ipotesi. A questo punto ho dovuto fare il presidente in maniera militare perché dovevo portare a casa il risultato. Il 26 novembre abbiamo messo in rete la proposta. Avevamo anche chiesto a 118 enti ed associazioni un'opinione su 10 punti. Sono tornate meno della metà delle risposte, alcune molto superficiali. Dopo tutto questo lavoro ci accusarono di essere verticisti".
Assemblearisti, forse. Un eccesso paralizzante di democrazia?
"Non siamo arrivati alla paralisi, abbiamo prodotto 350 pagine distribuite agli stati generali e altre 250 pagine di atti degli stati generali che nessuno ha letto. E nemmeno il riassunto di trenta pagine è stato letto".
C'è stato un difetto di comunicazione, gli stati generali sono sembrati una passerella del ministro Moratti.
"Si sono dette tante cose non vere. Che la proposta vuole eliminare il tempo pieno, una fandonia".
Molte famiglie tireranno un sospiro di sollievo.
"Il Titolo quinto affida questa responsabilità non più allo Stato, ma ai Comuni, alle Regioni, alle Provincie e quindi le famiglie devono avere come interlocutori i sindaci, non il ministro. Anzi il ministro gli dà più ore per il servizio scolastico, perché oggi nel tempo pieno si danno 990 ore, noi avevamo previsto addirittura 1125 ore di lezione".
E le ore a pagamento?
"C'è scritto chiaro che 900 ore sono obbligatorie per tutti, 300 ore sono facoltative, cioè le usa solo chi vuole, oltre le 1200 ore si paga".
Ma non c'è stato un errore in tutto questo percorso? Perché nel momento in cui una Commissione di esperti riesce a raggiungere un risultato in tempi così brevi e di così grande importanza, parrebbe opportuno che a quel punto la prima presentazione non venisse fatta al popolo, ma venisse fatta ai rappresentanti del popolo. Cioè si ottenesse il consenso delle forze politiche. É mancato un passaggio politico fondamentale, se il progetto era nato per tutti.
"Io qui difendo la Moratti che ha sempre detto che la scuola è di tutti, che deve nascere dalla società e la politica è al servizio della realizzazione dei bisogni sociali, perché questo è anche nella nostra Costituzione".
Forse il progetto di riforma era un piatto un po' troppo pesante per essere digerito così rapidamente tutto insieme.
"Claudia Mancina, che è persona molto ragionevole e scrive sulla rivista di D'Alema, parla di "errori della Moratti e sviste della sinistra". Perché bisognava parlar male comunque della Moratti. Io vengo da una famiglia povera, non posso partecipare al progetto di una scuola come quella che una certa letteratura faziosa ha cercato di appiccicarmi, cioè una scuola che serve i ricchi e punisce i poveri, iniqua".


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