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Dopo la Moratti

infine ce l'ha fatta. Non per insormontabili ostacoli dell'opposizione che, pur facendo la sua parte, non aveva scampo nei numeri; non per la protesta del mondo della scuola, per la verità piuttosto ...

08/04/2003
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infine ce l'ha fatta. Non per insormontabili ostacoli dell'opposizione che, pur facendo la sua parte, non aveva scampo nei numeri; non per la protesta del mondo della scuola, per la verità piuttosto dimessa anche se con punte molto visibili. In realtà mai legge delega del governo è stata così bersagliata dalla sua stessa maggioranza al punto di vincolarne pesantemente anche il percorso attuativo.

La CGIL , il sindacato scuola, la Federazione, hanno svolto un ruolo importante nell'opposizione intransigente alla legge Moratti. Sarà bene ricordare che già nel giugno 2001, appena insediato il governo, la CGIL intimò al Ministro di non procedere alla sospensione della legge sul riordino dei cicli, approvata nel febbraio 2000 e non ancora messa alla prova dei fatti.

Richiamo questo evento che forse può fornire una prima chiave interpretativa della nuova legge.

Infatti, la parola 'controriforma', che oramai correntemente definisce quella legge, appare persino troppo nobile ed impegnativa rispetto al testo varato. In realtà, fin dalle sue premesse, quella appena approvata è una 'legge-contro' più che una 'controriforma'. Nasce infatti contro la riforma Berlinguer, contro l'idea di innalzamento dell'obbligo scolastico, contro la cultura dell'integrazione tra istruzione e formazione. Questa legge, come vedremo, nasce soprattutto, come ebbe a dire il titolare di Viale Trastevere, contro il 'monopolio della scuola di stato'.

Una legge dunque che ha il pregio, indubbio, di rendere trasparente ciò che toglie al Paese, ai giovani, rispetto ad una opportunità che pure si era presentata e nello stesso tempo oscura ed inquietante per ciò che potrà 'dare' al Paese.

E comunque ora è il tempo di riflettere. Non perché lo scontro possa dirsi concluso, anzi. Restano aperte tutte le questioni di dubbia costituzionalità del provvedimento ed è bene che esse siano perseguite fino in fondo vista la propensione di questo governo ad aggirare le questioni di legittimità. Restano poi i lunghi e complessi 24 mesi entro i quali il governo dovrà, previa promulgazione di apposite leggi di spesa, varare i numerosi decreti attuativi. E non sarà, per il governo, una impresa semplice. Non c'è infatti solo la CGIL sul cammino della Moratti. Diventa ogni giorno sempre più visibile un malessere profondo del mondo cattolico e della CISL per aspetti rilevanti di questa legge. E malgrado il fatto che Confindustria si sforzi di elargire generosi commenti alla legge Moratti, quantomeno l'imbarazzo verso alcune delle scelte fondamentali della stessa , appaiono di frequente nel quotidiano dell'Associazione.

Lo scontro dunque andrà sostenuto, anche verificando strada facendo possibili intese unitarie, ma senza smarrire il dovere di riflettere perché noi, la CGIL, non possiamo in qualsiasi circostanza perdere il nostro tratto identitario che è quello di sindacato riformatore, di un sindacato che si batte per una nuova idea del sistema formativo.Da questo punto di vista, la nuova legge rappresenta per noi una sfida: dentro i nuovi vincoli che essa pone, ma anche dentro i vecchi vincoli che ad oggi restano ( l'autonomia, l'obbligo formativo a 18 anni, il diritto alla sperimentazione, ecc.), quali spazi restano per impedire la deriva della scuola pubblica?

Quale nuovo pensiero sulla stessa idea di riforma può nascere dalla rigorosa analisi del contesto attuale? Va da sé, infatti, che il futuro della scuola italiana non è la legge Moratti ma neppure la nostalgia della riforma Berlinguer. I fatti ci obbligano a 'ripartire dal basso', dai processi in corso in un contesto istituzionale ( Titolo V della Costituzione e proposta di devoluzione) in movimento e denso di contraddizioni. Ma ripartire dal basso vuol dire mutare anche parametri di valutazione: vuol dire attenzione ai processi, ai comportamenti, prima ancora che alle norme. Vuol dire ridimensionare nella nostra cultura l'idea di 'ordinamento' come nucleo duro e fondante di una riforma, verso un modello riformatore più processuale in cui l'attenzione e le scelte cadono prima sulle esperienze possibili e poi sulle norme, leggere e in continuo assestamento.
Dovremo essere in grado di elaborare proposte ed idee da discutere con le scuole, gli insegnanti, gli enti locali, le associazioni, per evitare che un drammatico pessimismo e ripiegamento invadano per lungo tempo il mondo della scuola. Il silenzio imbarazzante della scuola in questi mesi ci dice che il rischio è reale. Ma se nella scuola dovessero accumularsi macerie di pessimismo e di chiusura, esse costituiranno per chiunque, e per lungo tempo, un nuovo e formidabile ostacolo ad ogni prospettiva di innovazione.Il ripiegamento della scuola su se stessa non è peraltro un fenomeno inspiegabile. E' un obiettivo perseguito da questo governo con le armi delle rassicurazioni e delle intimidazioni. Le rassicurazioni sono già tutte nell'impianto della legge: la scuola elementare e media che restano in apparenza eguali a se stesse, immutabili nel tempo; una netta separazione tra la scuola e la formazione ovvero tra i ragazzi che 'ce la possono fare' e quelli che è bene 'che facciano altro'. Gli insegnanti avranno meno problemi perché fin dalle elementari non sarà difficile capire chi dovrà fare l'una o l'altra scelta. Ma pesa anche l'arma della intimidazione. La maggior parte dei direttori regionali nominati dal precedente governo sono stati destituiti dal loro incarico per la semplice ragione della non-affidabilità politica. Con un solo colpo è stata mandata al macero una tradizione e una politica di attenta salvaguardia del carattere imparziale e di garante dell'interesse pubblico dei funzionari dello Stato. Non solo, i neo nominati sono adesso all'opera per nominare nuovi fedeli collaboratori individuati tra ispettori e dirigenti scolastici. Sono ad oggi sessantacinque le persone che d'incanto si sono ritrovati 'dirigenti' per il loro ossequio al superiore.

Siamo insomma di fronte, e di questo davvero non esistono precedenti, a un tentativo di fidelizzazione della struttura amministrativa e dirigente della scuola al potere. E non vedo, nella politica e nel parlamento, la giusta attenzione su un processo di così sconcertante gravità.

Riflettere vuol dire anche, da parte nostra, sgomberare il campo da chiavi interpretative un po' troppo sempliciste che hanno svolto un ruolo utile nella fase della polemica e dello scontro ma non sono utili a guardare in profondità.
Penso alla categoria del 'ritorno al passato'. Certo, un anno in meno di obbligo scolastico è una scelta che non ha precedenti in nessun governo al mondo.Eppure, se si va in profondità, ci rendiamo conto che dietro le scelte della legge c'è ben altro. Non solo perché il passato è irripetibile tanto è mutato il volto produttivo, sociale e culturale del nostro Paese. Bisogna soprattutto ricordare che anche in quegli anni lontani, lo Stato fu protagonista di un'opera incessante di scolarizzazione del Paese percepita come una delle condizioni necessarie per favorire il passaggio da una società agricola a una società industriale. L'estensione fino al più piccolo centro abitato della scuola elementare rappresentò un grande tentativo di sconfiggere l'analfabetismo ancora imperante nella maggior parte della popolazione. La scuola media unica del '62 e la nascita della scuola materna statale nel '68 rappresentarono in seguito il coronamento di una perseguita scolarizzazione di massa.Insomma, nel cinquantennio democristiano che ci siamo lasciati alle spalle, con i suoi limiti e contraddizioni, non era mai venuta meno un'idea di diritto universale all'accesso all'istruzione pubblica.
La legge Moratti si muove su un altro versante. La scuola diventa 'più ridotta' perché marginale rispetto all'idea di sviluppo che questo governo persegue. Lo abbiamo visto in questi mesi: meno diritti, meno sindacato, più precarizzazione del lavoro. La competizione sui costi non esige nè formazione né ricerca come beni fondamentali della società.. Essi diventano occasioni da assicurare solo a chi può; ai più sarà sufficiente la 'scuola minima' che questa legge inaugura.

E' proprio in relazione a questo che tendono a scomparire le responsabilità pubbliche. Il superamento del concetto di obbligo scolastico è ostico a questo governo perché esso richiama la responsabilità delle istituzioni pubbliche nell'assicurare le condizioni concrete per esercitare il diritto all'istruzione. Trasformarlo in un diritto soggettivo, significa consegnarlo alla forza dei destini individuali, al peso delle culture familiari di provenienza. Più che alla scuola privata , che questo governo aiuta per esplicite ragioni elettorali, siamo alla 'privatizzazione' delle scelte che è un processo ben più insidioso. Esso infatti trova un terreno fertile in quella 'società degli individui' che oramai segna, sia pure non senza contraddizioni, anche i nostri territori. Individualismo e familismo sono così il sostegno ideologico a un disegno di nuova e regressiva stratificazione sociale. Qualcosa però non torna. E' la stagione del 23 marzo, dei movimenti, delle grandi manifestazioni della CGIL sui diritti. In quelle piazze ha preso volto una parte di società che chiede una nuova statualità, una nuova tensione etica, il bisogno di comunità contro la deriva individualistica, il rilancio e la qualità delle istituzioni fondamentali, a partire dalla scuola. Ecco perché il 12 aprile sarà molto di più di una protesta contro una legge che non avrà futuro; un futuro, invece, che dobbiamo saper ricostruire per una scuola pubblica, un sistema dell'università e della ricerca, capaci di assicurare a ciascuno il diritto ad apprendere per tutta la vita.

Dario Missaglia, Segretario della Federazione Formazione e Ricerca



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