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Devolution guai al Sud

Devolution guai al Sud di Agazio Loiero Ieri la Conferenza unificata, come era prevedibile, si è spaccata sul testo di devolution presentato da Bossi. I nove presidenti del centrodestra hanno vot...

15/02/2002
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Devolution guai al Sud
di Agazio Loiero

Ieri la Conferenza unificata, come era prevedibile, si è spaccata sul testo di devolution presentato da Bossi. I nove presidenti del centrodestra hanno votato a favore, sei presidenti del centrosinistra hanno votato contro. A dare un forte significato politico al fronte del no si sono aggiunti Anci, Upi ed Uncem, organismi formati da sindaci, presidenti delle province e presidenti delle comunità montane di centrosinistra ma anche - forse addirittura in misura maggiore - di centrodestra.

Non poteva essere altrimenti. Il capriccio di Bossi, la famosa devolution, è ritenuta da quest'ampio schieramento di forze politiche, "sbagliata, inutile e al tempo stesso pericolosa, perché rischia di mettere in discussione diritti sociali uguali per tutti i cittadini".
Se questo è vero, ne consegue che c'è uno strumento che rischia di saltare, specie nelle regioni, rispetto alla politica di un tempo: le alleanze. Quelle conosciute in passato, basate su schemi ideologici sono ormai prive di senso. Sarà il federalismo stesso a spingere i territori ad allearsi non su astratte appartenenze di coalizione ma su bisogni comuni. Si tratta di una novità che ancora il vecchio personale politico fa fatica ad introiettare ma di cui si renderà conto tra breve quando sarà costretto a sbatterci il muso. D'altra parte l'elezione diretta affranca molti presidenti di regione, di provincia e sindaci dal giogo ideologico.

Vediamo adesso di riassumere in un "pezzo giornalistico" quali sono gli elementi rischiosi della devolution. Premetto che il federalismo è un argomento difficile da digerire per il lettore medio e che per quanto lo si possa maneggiare attraverso un linguaggio non specialistico resta comunque ostico. Immergersi nel ginepraio delle revisioni della nostra Costituzione, nelle asperità lessicali dei commi e dei rimandi legislativi non so se sia più fastidioso o più faticoso per tanti italiani, come me, sprovvisti di saperi specifici. Comunque ritengo valga la pena di compiere questo sforzo anche per evitare che un tema di dimensioni esplosive compia il suo percorso istituzionale nell'indifferenza del paese
Procediamo comunque con ordine.
Attualmente le regioni più ricche partecipano ad un fondo comune a favore dei territori più sfortunati. Si tratta di una perequazione quanto mai necessaria in un paese con un profondo divario tra nord e sud.

La devolution di Bossi stabilisce che "ciascuna regione può attivare, con propria legge, la propria competenza esclusiva" per le seguenti materie, sanità, istruzione e polizia locale. Nel progetto di legge manca, clamorosamente, la Camera delle regioni, che rappresentò il motivo per cui il Polo non intese votare il disegno di legge del centrosinistra sul finire della scorsa legislatura. Sotto tale aspetto la devolution appare elusiva, contraddittoria e, per altri versi, pericolosa. Cerchiamo di capire il perché. Essa viene innestata all'articolo 117 e non al 116 della Costituzione. In quest'ultimo articolo infatti il disegno di legge costituzionale approvato dal centrosinistra già prevede che possano realizzarsi "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia". Esattamente quello che vuole la Lega. Ad una condizione, cui la riforma di Bossi si sottrae. Che il provvedimento legislativo venga approvato dalle Camere a maggioranza assoluta dei suoi componenti e dopo un ampio dibattito, capace di far emergere con limpidezza la questione di cui si parla, gli eventuali suoi limiti e gli effetti che produce sugli assetti unitari del paese. Vi si rifletta un poco. Noi affidiamo a Bossi, all'uomo che in passato ha teorizzato la secessione, e che sul piano formale non ha mai rinnegato, un progetto di legge costituzionale che riguarda nei fatti la scomposizione dell'Italia e permettiamo che non passi neanche per il Parlamento? È una cosa di poco conto? Di più. La Costituzione, di recente emendata dai soli voti del centrosinistra, prevede alla lettera m dell'articolo 117 che lo Stato abbia legislazione esclusiva sulla "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".

La Costituzione riafferma dunque l'uniformità di certi diritti sull'intera nazione, a favore di tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di residenza e dalle capacità di reddito.
Si dà il caso però che alcuni presidenti di regione del nord, appartenenti al centrodestra, rinfrancati dal clima di anarchia che si è diffuso a livello istituzionale dopo la vittoria della Cdl, tendono ad interpretare in termini restrittivi il secondo comma dell'articolo 119 della costituzione che così recita "i comuni, le provincie, le città metropolitane e le regioni dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio". Di fatto, quei presidenti, giudicano tali compartecipazioni come risorse esclusive del proprio bilancio e quindi non si sentono obbligati a contribuire al fondo perequativo. È una tendenza che si va facendo prepotentemente strada e di cui il paese sa poco perché si manifesta in stanze segrete. La prima conseguenza di tale situazione è che lo Stato si vedrebbe costretto a reperire altre risorse per soddisfare i livelli minimi previsti dall'articolo 117 (lettera m) per quelle regioni che non intendono avvalersi, perché non ancora pronte, della devolution.
Seconda conseguenza. Se anche lo Stato riuscisse a reperire le risorse, comunque si registrerebbe un aumento del divario delle prestazioni medie tra le regioni più ricche e quelle più povere.
Si tenga conto che oggi le regioni più fortunate hanno la possibilità di aumentare la qualità dei servizi relativi alla sanità e all'istruzione al di sopra dei livelli essenziali ma lo devono fare attraverso entrate proprie.

Sfruttando invece le compartecipazioni, magari chiedendone anche livelli superiori, le regioni ricche farebbero tutto ciò a costo zero: semplicemente con le risorse dello Stato. Davvero uno strano federalismo, il nostro, con autonomia piena delle regioni nell'erogare la spesa ed una responsabilità quasi nulla nel reperire le entrate.
In maniera silente, come per altri cambiamenti avvenuti in Italia negli ultimi anni nel sistema istituzionale, si sta realizzando un brusco passaggio da un federalismo cooperativo che tutti affermano a gran voce di preferire ad un federalismo competitivo che tutti dicono di aborrire. Continuando per questa strada, il sud in poco tempo sarebbe destinato ad esplodere.


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