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“Dare false speranze ai giovani è una forma di populismo”

Remo Bodei appare tra i firmatari di un appello contro la nuova norma che anticipa il pensionamento degli universitari.

29/07/2014
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la Repubblica

«ARISTOTELE sosteneva che il massimo dell’energia intellettuale si esprime a 49 anni. E ora vogliono decapitare un’intera classe accademica di poco più anziana?». Remo Bodei appare tra i firmatari di un appello contro la nuova norma che anticipa il pensionamento degli universitari.
Perché è contrario?
«Mi appare gravissima la dispersione di competenze: non mi riferisco solo alle nostre facoltà umanistiche, ma anche a quelle scientifiche e soprattutto mediche. Una successione che non è stata minimamente
predisposta».
Si faciliterebbe in questo modo l’ingresso dei più giovani.
«Una falsa illusione. Il turnover è bloccato da tempo. Molti miei colleghi andati in pensione non sono stati ancora sostituiti».
Però esiste il problema di ricercatori bravissimi costretti a emigrare.
«Un problema molto serio, che non si risolve certo in questo modo improvvisato. L’università italiana ha bisogno di più docenti, non di meno professori. E si poteva pensare anche di abbassare l’età pensionabile, ma dando il tempo di riorganizzare reparti e dipartimenti».
La nuova norma sembra contraddire la logica del legame tra pensionamento ed evoluzione demografica.
«E infatti altrove in Europa, in conseguenza dell’aumento delle aspettative di vita, è aumentata l’età pensionabile dei professori. In America, dove insegno da molti anni, non c’è limite di età».
In Italia potrebbe essere pericoloso...
«Sono d’accordo: settanta anni mi sembra l’età giusta. Ma ora la vogliono abbassare di cinque anni».
Per lo Stato ci sarebbe un doppio peso economico: i pensionati e i nuovi assunti.
«Certo. Anche in termini economici non mi sembra
un buon affare. Ma non facciamoci troppe illusioni sui nuovi assunti: quella di Renzi mi sembra una proposta populistica. Un populismo del terzo tipo: il migliore, ma pur sempre populismo».
Quali sono gli altri due?
«Il populismo illusionistico di Berlusconi — ghe pensi mi, un milione di posti di lavoro — e quello gridato, carico di risentimento contro la casta, che propone Grillo. Ma è una forma di populismo anche dare speranze senza poterle realizzare: non si investe abbastanza nel campo della formazione e della ricerca ».
Non crede però che da parte dei professori ci sia il rischio di una difesa corporativa? Non sono gli unici ad andare in pensione a 65 anni. Nell’editoria succede molto
prima.
«Certo, il rischio esiste. Io però resto fuori dal “pelago”: sono professore emerito a Pisa e insegno nell’Università della California
».
Lei no, non è sospettabile di corporativismo. Ma i professori interessati?
«Le rispondo così: il corporativismo verrebbe meno se davvero fosse garantito un ricambio di qualità. Posso usare estremizzando una metafora militare? È come se lo stato maggiore di un esercito venisse decapitato e la guida delle operazioni militari passasse
a capitani e sottotenenti. Il caos».
Magari qualche capitano messo alla prova si rivela migliore di un generale.
«Il problema dei talenti espatriati è molto grave. Ma - esagerando di nuovo - non si può fare come accadeva a Roma nel 390 a. C. sotto l’assedio dei Galli. I vecchi venivano buttati nel Tevere per permettere ai più giovani di nutrirsi. Una soluzione per molti versi efficace, ma temo non risolutiva».
( s. fio.)


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