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Dalla scuola ai programmi tv: così la Finlandia crea le regine della ricerca

Raggiunto il record europeo di scienziate: qui superano i colleghi maschi. E già alle elementari le bambine sono invogliate a studiare la matematica

10/03/2017
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La Stampa

NICLA PANCIERA

Creatività e capacità di ragionare fuori dagli schemi, assumendo nuovi punti di vista e trovando altre strade da percorrere: sono gli ingredienti - sempre difficili da applicare - per risolvere i problemi. Nella scienza e nella vita. 

Aumentare la diversità degli approcci è solo una delle ragioni per mandare in frantumi quella barriera (il famoso «soffitto di cristallo» o «glass ceiling»), sociale, culturale e psicologica, che preclude alle donne, che pur affollano e con successo le aule universitarie, l’accesso alle posizioni di vertice della carriera accademica, soprattutto nell’area cosiddetta «Stem», «science, technology, engineering and mathematics». 

Statistiche imbarazzanti - e recentissime - rivelano che, in Europa, il genere femminile rappresenta il 44% dei ricercatori universitari, ma solo il 20% dei professori ordinari. In Italia, nell’area delle scienze matematiche e informatiche, gli ordinari maschi sono 649 e le femmine appena 156. Nonostante il 61% di laureate siano donne, lo sono solo il 19% degli ordinari. Resiste, allora, lo stereotipo sulle limitate capacità conoscitive delle donne o si consolida la sua versione più recente, costituita dal pregiudizio che nega alle ragazze un potenziale creativo nel sapere scientifico? 

Naturalmente «nessun collega dichiara, in buona fede, di credere alla superiorità cognitiva dei matematici maschi, poi però, se deve scegliere a chi assegnare i fondi di ricerca, attribuire riconoscimenti e posizioni, opta più facilmente per un maschio», spiega Susanna Terracini, docente di analisi matematica all’Università di Torino e membro dell’agenzia di valutazione Anvur. È un meccanismo che sembra autoalimentarsi. «Non di rado proprio le donne, valicata quella barriera invisibile, si comportano in modo conforme al pregiudizio maschile di cui è permeato l’ambiente accademico», commenta la professoressa, già presidente del network «European Women in Mathematics». 

I dati dicono più di mille parole. In nove casi su 10 i premi assegnati dall’Unione matematica italiana sono andati a un maschio e negli ultimi 15 anni solo 35 dei 383 finanziamenti «Prin» in matematica sono stati assegnati a una donna. Esigua è la presenza femminile anche nei comitati editoriali delle riviste di matematica più importanti (solo 22 su 326). E il divario persiste nei «grant» del Consiglio Europeo della Ricerca, l’Erc, di cui si celebra il decennale. «I numeri degli anni 2007-2014 mostrano livelli di partecipazione diversi tra i due sessi, ma anche valutazioni alquanto diverse e quindi disparità di finanziamenti», commenta la Terracini, vincitrice di un «grant» da un milione e mezzo per un progetto sui sistemi dinamici. 

«Le donne hanno un tasso di riuscita inferiore in entrambi i passaggi previsti per la selezione», dice. Il basso numero di domande anche tra le più giovani indica che, forse, le donne partono già in svantaggio, perché non viene riconosciuto il loro valore. Dopotutto, come potrebbe essere diversamente, quando poi «il cavallo vincente, quello su cui si punta, è di rado una donna»? Di questo passo quanto ci vorrà per la parità? «Oggi assistiamo addirittura all’arresto di quell’inversione di tendenza che negli anni scorsi aveva fatto sperare in un cambiamento. È una perdita per la società, in termini di creatività e capacità di soluzione dei problemi». 

Per scoprire la verità sulle strategie con cui combattere la disparità conviene guardare la Finlandia, dove non solo le bambine eccellono in matematica, ma da grandi superano i colleghi nelle carriere scientifiche. Lì, il legislatore lavora da 15 anni per abbattere il «glass ceiling» e cambiare la mentalità: oggi ci sono linee-guida per promuovere l’uguaglianza di genere in classe, la parità di salari e i congedi paternità. L’occupazione femminile al 68% e la frequente presenza di scienziate in tv e nei film, inoltre, crea modelli per le bambine. 

Insomma, per rimettersi al passo, serve un «habitat» in cui le ragazze possano immaginarsi il futuro che desiderano. Per il bene di tutti. 


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