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26/11/2001
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Esami di Stato: valore legale del titolo di studio

La discussione sull'esame di Stato '#8216;riformato' voluto dalla Moratti sta, finalmente, crescendo. Sono d'accordo con il preside Moncada e capisco anche le perplessità avanzate da Attilio. Le preoccupazioni che infatti Attilio nutre sono quelle di chi, osservando delle inefficienze nella presente strutturazione dell'esame di Stato, cerca di eliminarle per migliorarlo. Chi, fra quelli che hanno a cuore la scuola pubblica italiana, potrebbe obiettare a suggerimenti offerti per migliorarne la qualità? Penso nessuno. Anzi, aggiungo di più. Una strutturazione diversa dell'esame di Stato potrebbe essere possibile a partire da un ripensamento complessivo dell'esame stesso che parta, però, da un punto fermo: il titolo di studio conseguito deve avere valore legale. Al ministro, se ci si riflette un po', non importa nulla né di una maggiore severità o imparzialità dell'esame, tanto meno del risparmio che dice di volere. A lei interessa modificare l'esame di Stato così come è adesso perché lo vede come un primo passo per la prossima abolizione del valore legale del titolo di studio che con esso si acquisisce. Il motivo? E' chiarissimo. Dovrà contare di più l'intestazione (ossia l'istituto in cui si acquisisce il titolo) che il titolo stesso. E quindi dovranno mettersi l'anima in pace quei ragazzi che, seppur meritevoli, verranno licenziati da istituti '#8216;non all'altezza': il loro titolo sarà l'equivalente della carta straccia. Questa deriva della scuola pubblica e quindi la proposta dell'abolizione legale del titolo di studio non è qualcosa che nasce oggi o è frutto delle elaborazioni teoriche della Moratti (a proposito nella sua '#8216;Lettera ai docenti' parla di una scuola incentrata '#8216;sui docenti' (sic!) che la dice lunga della sua conoscenza del mondo della scuola), ma è la proposta ufficiale da tempo della Confindustria che vuole, in tal modo, indirizzare a suo piacimento la formazione della forza lavoro. E il ministro Moratti è il ministro della Confindustria regalatoci da questo governo alla guida di quello che era una volta il ministero della Pubblica istruzione, ora ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca (Miur). Avete notato che è scomparso l'aggettivo pubblico? Almeno in questo il ministro è stato corretto. Non rappresenta il pubblico, ma il privato.
Saluti,
Spartaco

Appello accorato

Sono un trentenne docente di lettere pavese, immesso in ruolo quest'anno in quanto vincitore di Concorso Ordinario, ora inserito per scelta (di non lasciare la mia provincia) e per necessità (le nuove cattedre di Liceo Classico sono state assegnate a passaggi di ruolo di Docenti abilitati con Concorso Riservato '#8211; mah!'- provenienti da elementari e Medie) in una Scuola Media Inferiore di periferia, dopo un decennio di attività nel Licei. Se gli anni scorsi ero scandalizzato dall'assurdo sistema dei debiti formativi che permettevano a un alunno di uscire indenne da 5 anni di Liceo senza sapere nulla per es. di Latino, Greco e Matematica, ora mi trovo in una situazione a dir poco allucinante. Secondo i miei alunni di III Media Lincoln ha liberato gli schiavi neri in Sicilia, Cavour era re di Francia, Barcellona è in Veneto e il Tevere in Germania e, alle mie obiezioni, dichiarano che a loro la scuola non interessa, che studieranno 'quando ne avranno voglia' e che non devo preoccuparmi 'perché i soldi li prendo lo stesso'. Ma queste non sono solo trovate da 'stupidario' bensì le tappe di una umiliante Via Crucis che ci conduce al Calvario della totale demotivazione, come mi faceva notare una collega entrata in ruolo una decina di anni fa con mille entusiasmi. In questa situazione non voglio apparire 'un missionario': voglio essere un professionista, voglio continuare a studiare e aggiornarmi (forse a questo scopo sarebbero più utili i buoni-libro del promesso computer portatile'), voglio insegnare, ma di che strumenti siamo dotati? Di quale riconoscimento sociale godiamo? Cosa possiamo dare ai nostri ragazzi? Una soluzione potrebbe essere l'abolizione del valore legale del titolo di studio o la differenziazione anticipata degli itinerari formativi (ma non è una sconfitta dover ammettere che solo alcuni ragazzi possono essere inseriti nel circuito della cultura?), ma la necessità è ridare centralità alla scuola! E' diffusa la consapevolezza che siamo allo sbando? che il fatto che stia crescendo una generazione di giovani senza solide e precise conoscenze e competenze ci condanna alla subalternità internazionale? Sono convinti i genitori dei nostri ragazzi che ne va del futuro dei loro figli e della nostra società? Da qui un accorato appello al nostro ministro: la scuola non va governata privilegiando l'attenzione (pur necessaria) ai bilanci aziendali, ma ricostituendone un'identità, e ciò passa necessariamente attraverso la riqualificazione dei Docenti: un più serio reclutamento, la possibilità che gli Istituti possano scegliere Docenti in base alle loro dimostrate capacità e non soltanto a criteri di anzianità, l'attribuzione ai Docenti di poteri discrezionali più ampi, una attenta monitorizzazione delle loro attività, nonché certamente un più decente trattamento economico, sono necessari per ridonare una centralità al Corpo Docente, e far sì che nella coscienza comune, e specialmente in quella dei nostri ragazzi, l'istruzione ritorni a essere considerata un diritto, l'obbligatorietà della scuola una conquista di civiltà e di democrazia, una solida formazione umana e professionale il viatico più sicuro per un futuro degno e non un peso e un inutile vincolo di cui disfarsi!


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