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da Proteo Fare Sapere - Devoluzione della scuola

NOTE SUL DISEGNO DI LEGGE DI MODIFICA DELL'ART. 117 DELLA COSTITUZIONE PRESENTATO A FIRMA DI BERLUSCONI, BOSSI, LA LOGGIA. DEVOLUZIONE DELLA SCUOLA. di Renzo Valle Nelle note che seguono...

11/01/2003
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Proteo Fare Sapere

NOTE SUL DISEGNO DI LEGGE DI MODIFICA DELL'ART. 117 DELLA COSTITUZIONE PRESENTATO A FIRMA DI BERLUSCONI, BOSSI, LA LOGGIA.

DEVOLUZIONE DELLA SCUOLA.

di Renzo Valle

Nelle note che seguono si prende in esame esclusivamente la parte riguardante la scuola tralasciando volutamente le altre, cioè sanità e polizia locale.

Il disegno di legge 1187, meglio conosciuto come devoluzione, consta di un solo articolo di sette righe, con il quale si propone di modificare la Costituzione dello Stato nei suoi cardini centrali, attribuendo alle regioni competenza legislativa esclusiva in merito a sanità, scuola e polizia locale. Il testo non offre argomentazioni circa le specifiche competenze regionali e le conseguenti articolazioni e organizzazioni strutturali in merito al trasferimento di tali poteri, ma semplicemente enuncia il passaggio dei poteri, per capirne di più è necessario ricorrere alla relazione illustrativa allegata al testo del 26 febbraio 2002.

Dalla relazione illustrativa: il metodo

Il metodo cui ci si ispira per il passaggio alla nuova configurazione federalista dello Stato,espressamente dichiarato nella relazione, è quello del "gradualismo", assunto in contrapposizione al metodo del precedente governo ritenuto sostanzialmente modellato da un "approccio giacobino".

Il metodo giacobino,si precisa, segue logiche di convenienze del legislatore nazionale, il metodo gradualista è conseguenza di pressioni "che provengono dalla società, che il legislatore nazionale deve interpretare e tradurre in norma", con il vincolo di contenuto dato dalla maturazione politica intervenuta nel paese rispetto alla trasformazione federalista dello Stato.

Il gradualismo coglie le istanze mature nel paese e le trasforma in norme durature,il giacobinismo coglie invece istanze del legislatore e le travasa nel processo riformatore destinandole al fallimento.

Un chiaro esempio di ciò, secondo i firmatari, sta proprio nella legge 59/97 (per la scuola istitutiva dell'autonomia) la quale ha si "un indubbio, anche se non esclusivo, valore pattizio (concorso di regioni e enti locali), che,come si riconosce, costituisce un nucleo che va salvaguardato", ma di fatto è stata frutto di una logica accentratrice nella quale è stato il legislatore nazionale a decidere cosa trasferire e in che modo, senza preoccuparsi se i poteri locali ,cui ha trasferito funzioni e competenze, le potessero esercitare, e se da parte loro vi fosse "l'effettiva possibilità di rispondere alle nuove attese".

L'attribuzione alle regioni "della potestà esclusiva legislativa in alcune materie essenziali" è in grado, invece, di dare ai poteri locali una propria filosofia, e una propria sovranità ed identità.

La devoluzione alle regioni di scuola sanità e sicurezza ,si configura come il primo nucleo dello stato federale che con questo processo si intende costruire con gradualismo e linearità.

L'attribuzione della competenza esclusiva è il passo iniziale che permette l'atto fondamentale di parificazione della funzione legislativa regionale alla funzione legislativa statale, ciascuna nel proprio ambito.

Dalla relazione illustrativa : la scuola

Per quanto riguarda la scuola la Regione dovrebbe avere competenza esclusiva nella :

"organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione"

"definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione".

(questi due punti sono tali quali nella proposta di legge)

Lo Stato dovrebbe avere competenza sulle norme generali quali:

"ordine degli studi, standard di insegnamento, condizioni per il conseguimento e la parificazione dei titoli di studio".

(questo punto non è contenuto specificatamente nella proposta di legge)

Lo Stato dovrebbe assicurare "l'omogeneità complessiva degli studi, in maniera da contemperare i saperi comuni a tutto il territorio con i saperi e le tradizioni locali "Le Regioni dovrebbero inoltre "strutturare l'offerta dei programmi educativi".

L'obiettivo della riforma è quello di "accelerare il processo di modernizzazione del paese, di cui l'istruzione e la formazione sono pilastri fondamentali" e di realizzare il" massimo di libertà di insegnamento".

Note

Al di fuori delle polemiche televisive che questa proposta ha innescato a ridosso del voto del Senato e non da quando è stata presentata,,ha dei pregi:

finalmente dice chiaro che cosa si intende per federalismo,almeno in questo testo

costringe a confrontarsi con una ipotesi di Stato precisa fuori dalle ambiguità cui anche la sinistra in tutto questo tempo ha invece prestato spesso il fianco.

Le Regioni sono qui intese come Stati singoli federati con poteri legislativi autonomi e sovrani, espressamente sottratte "alla condizione di atto di integrazione della legge dello Stato", e poste nella condizione di "competenza legislativa esclusiva parificata a quella dello Stato nazionale".

Ciò che rimane aperto in questa prospettiva è cosa residua allo Stato centrale e cosa passa agli Stati/Regione, questione evidentemente di rilievo storico .

Questa impostazione è chiaramente confermata dalla critica esplicita alla legge 59/97, in essa e' criticata, coerentemente all'impostazione Regioni-Stato/Stato federale, l'attribuzione di poteri agli enti locali, in quanto delineano una prospettiva riformatrice diversa, quella cioe' che tende a valorizzare le autonomie di potere territoriale-locale in una rete normativa statale/nazionale.

La critica espressa rispetto al fatto che gli enti locali non sarebbero in grado di assumersi tali carichi, è del tutto pretestuosa, in quanto la stessa critica può per gli stessi motivi essere addossata alle regioni, e forse con maggior credibilità viste alcune situazioni.

La prospettiva che qui si delinea è chiaramente quella di una Regione-Stato, con i poteri legislativi esclusivi vale a dire totalmente sovrani, quindi fuori da una rete di norme nazionali comuni.

Tale visione non considera l'evoluzione storica del paese dall'unità a oggi, ma espressamente si accredita come forzatura di un processo di avvicinamento del potere ai cittadini, che nell'ultimo periodo ha trovato una notevole sensibilità nel modo generale di sentire la politica legato in particolare all'assunzione del principio di responsabilità da parte dell'apparato amministrativo pubblico, ma un dibattito politico in merito alquanto confuso e sovente disposto ad inseguire l'effetto del momento.

Il dibattito sul federalismo sin qui tenuto è sempre stato segnato da forti ambiguità: federalismo è stato spesso sinonimo di tante cose a seconda di chi parlava e del momento, decentramento e federalismo si sono mescolati con indifferenza senza far chiarezza sui poteri.La questione è stata prevalentemente posta come problema attuale di modernizzazione, fuori da ogni fatto e condizione storica precedente, nonché da ogni nesso logico di consequenzialità storica, ha oggettivamente prevalso l'impostazione originaria della Lega Nord di virulenta critica ad uno Stato centralista visto come divoratore di risorse , prevaricatore di diritti e identità,e di forte ostacolo alle potenzialità di sviluppo e modernizzazione.

Tale impostazione ha ridotto il dibattito vero in ambiti angusti per addetti ai lavori, ed il dibattito di massa a effetti televisivi , espropriando il tutto della dimensione vera cioè quella di quale modello di Stato.

I termini federalismo, devoluzione, decentramento hanno spesso adombrato altre questioni quali neoliberismo, liberismo, riforma dello stato sociale.

La categoria della modernità li ha poi fagocitati tutti con l'epurare il dibattito da ogni riferimento storico sul processo e sulle mediazioni storiche che hanno portato alla forma di Stato italiano, facendo passare totalmente nell'ombra i valori fondativi su cui filoni storico-culturali , diversi tra loro, hanno trovato comune fondamento.

La proposta attuale di devoluzione alle regioni arriva dunque al cuore della questione, non potendola più strumentalmente evitare, e fruendo di un terreno culturale in proposito da tempo coltivato con criteri ad essa funzionali.

Ma non considerando il processo storico che vi è alle spalle, tale proposta non si pone come forzatura che mira ad accelerare un processo in atto, come tende invece a presentarsi, ma come rottura di un processo e avvio di un altro.

Non a caso la presentazione dice testualmente che l'attribuzione alle regioni di queste tre materie non costituisce che il nucleo di un processo graduale che si "articolerà in una serie di fasi successive a partire dalla riforma dell'organo di giustizia costituzionale.."come logica conseguenza al diverso assetto dello Stato.

Si pone dunque l'avvio esplicito di un processo diverso espressamente tendente alla rottura con un processo storico precedente, assumendolo però come naturale evoluzione moderna e democratica dello Stato .

La rottura si consuma in particolare non tanto col proporre un modello federativo, ma col delinearrlo su basi neoliberiste, dipinte con i tratti della modernità della democrazia e della libertà, ma finalizzate, alla conclusione del processo di riforma, a scardinare l'intelaiatura sociale dello Stato attuale, nonché gli elementi fondativi di convergenza culturale su cui le diverse anime, che lo hanno costruito,hanno realizzato la mediazione storica originante la sua peculiarità.

E' storicamente innegabile che il pensiero liberale, il pensiero socialista, e il pensiero cristiano-cattolico abbiano concorso unitariamente a conformare i principi costitutivi dello Stato attuale con la ricerca della mediazione storica.

Ciò pare proprio essere l'elemento meno considerato nella proposta di devoluzione, e anzi essere l'elemento ritenuto fortemente negativo in quanto di possibile ostacolo alla modernizzazione.

La modernizzazione è qui vista nell'ottica neoliberista del busissnes in cui al centro non vi è l'uomo-cittadino, ma l'uomo economico-finanziario , la società non ha al suo centro l'uomo-sociale ma l'uomo-affare.

Conseguentemente lo Stato non è più una struttura super partes finalizzata alla realizzazione della convivenza sociale su basi di equità, ma una struttura sottoposta alla società dell'affare in cui il principio è fornito dalle performances dell'affare stesso.

Il possesso individuale o di gruppo del bene- affare la sua disponibilità e la sua fruizione sono elementi fondativi di identità statuale, e ne pongono le basi organizzative.

Questa diversa cultura anima il corpo giuridico della proposta .

Ne consegue quindi una forte propensione alla dimensione individuale più che sociale, e una necessità intrinseca di correggere l'impostazione sociale dello Stato.

La modernizzazione ha il suo nocciolo proprio in questo passaggio.

La devoluzione alle regioni appare animata da ciò più che dalla volontà di avvicinare il potere ai cittadini, altrimenti non avrebbe alcun senso logico la critica fatta al trasferimento di poteri agli enti locali con la L/59..

Trasferire la potestà giuridica su servizi fondamentali al cittadino alle regioni con potere legislativo esclusivo significa liberarli dalle maglie di una normazione unitaria e vincolante ed avviare un processo articolato, sicuramente già pronto in alcune regioni, di disarticolazione strutturale e di liberalizzazione.

Ciò è in sintonia col principio liberista che i servizi non sono dell'uomo cittadino ma dell'uomo economico, e pertanto la loro fruizione non può essere regolata dallo Stato (ancien regime) ma dal mercato (modernità), le Regioni/Stato potrebbero accelerare significativamente tale trasferimento.

La rottura è consapevolmente frontale con un sistema storicamente determinatosi,e altrettanto consapevolmente assume una unica direzione, scartando deliberatamente confronto e mediazione.

Scuola alle regioni: una novità?

La devoluzione Berlusconi-Bossi-La Loggia ha dunque una sua impostazione politico culturale primaria precisa originante dalle moderne linee di pensiero neoliberiste, la forma federalista proposta non costituisce la vera discriminante con altre impostazioni ma un terreno di confronto sul quale possono misurarsi anche proposte con riferimenti generali diversi

Vi sono alcuni precedenti che meritano attenzione.

Nel 1977 l'on D'0nofrio, senza chiamarla devoluzione ma più correttamente passaggio ad una Repubblica federale, in una specifica proposta di legge attribuiva, assieme ad altri, l'intero settore scuola alle regioni, e testualmente nella relazione di presentazione scriveva "..nel corso dei lavori della Bicamerale e del Comitato Forma di Stato si è venuta via via definendo la convinzione che per affrontare il nodo costituzionale'.non sembra più sufficiente procedere lungo la strada del decentramento di funzioni legislative dallo Stato alle regioni e delle funzioni amministrative dallo Stato e dalle regioni agli enti locali, in quanto è sempre più evidente che siamo di fronte ad un passaggio storico della nostra esperienza nazionale unitaria: è infatti posta oggi la questione del passaggio ad una Repubblica federale", e subito dopo precisava "..la differenza di fondo tra un ordinamento federale ed un ordinamento regionale e delle autonomie attiene ad un processo costituzionale relativo alla ripartizione delle funzioni pubbliche tra le diverse entità chiamate a comporre una Repubblica federale".

Alle regioni venivano quindi attribuite funzioni legislative esclusive.

Nel 1999 G.Galan, presidente della regione Veneto, nella sua proposta di statuto regionale attribuiva alla regione competenza esclusiva per la scuola .

Analogamente nel 2001 M.Cacciari e altri presentando la proposta di Costituzione del Veneto prevedevano come competenza della regione " ordinamento e amministrazione della scuola e dell'istruzione, fatti salvi l'autonomia e il quadro di norme generali previsti dallo Stato per l'intero territorio nazionale".

Anche in questi casi la funzione della regione è analoga , la proposta di Cacciari per alcuni aspetti ,nonostante sia poco chiara, si avvicina maggiormente a quella attuale di Berlusconi -Bossi, proprio col mantenere una parte di competenza statale.

Tutte prevedono funzioni legislative esclusive di competenza regionale, la differenza sta in quanti e quali ambiti vengono attribuiti all'esclusiva funzione legislativa regionale, per quanto riguarda la scuola tutte concordano nell'attribuirvi l'esclusività legislativa, la differenza sta nel lasciare o meno una parte generale allo Stato centrale.

La scuola alle regioni non è dunque una novità della devoluzione, ma una novità arrivata sui mass-media.

La devoluzione aggiunge la novità vera, quella di rompere con l'impostazione storico sociale della scuola italiana e di reimpostare il sistema su principi diversi.

La scuola alle regioni: i problemi aperti che possono ridisegnare il sistema scolastico

Nel disegno di legge costituzionale Berlusconi-Bossi-.La Loggia al punto c) dell'articolato non si specifica quali sono e quanti sono, nel monte complessivo, i programmi di interesse specifico della regione che essa può definire, e ovviamente neanche quali e quanti sono quelli di competenza nazionale. Solo nella relazione di presentazione si afferma che allo Stato nazionale dovrebbe competere l'ordine degli studi, lo standard di insegnamento,le condizioni per il conseguimento e la parificazione degli studi, nonché il compito di garantire l'omogeneità complessiva degli studi in modo da contemperare i saperi comuni a tutto il territorio con i saperi e le tradizioni locali.

Cio' sta a confermare che la questione è ancora aperta anche tra i proponenti, e che su questo punto possono passare le vere discriminanti sia nei confronti di quali ambiti si vogliono dare alla funzione legislativa esclusiva delle regioni, sia nei confronti dei contenuti politico -sociali storici,peculiari del sistema scolastico italiano.

Se lo scopo di conferire alle regioni la funzione legislativa nel campo scolastico fosse quello di garantire la cittadinanza culturale alle "tradizioni ed ai saperi locali", basterebbe in realtà valorizzare quanto già oggi fanno e hanno fatto le singole scuole con il concorso di enti locali e regioni, sostenere l'autonomia scolastica e svilupparla in termini reali e cioè nella sua ulteriore funzione che è proprio quella anche della ricerca.

La cosiddetta storiografia locale o microstoria è ampiamente praticata in moltissime realtà scolastiche, e non da oggi e non certo da quando si parla di federalismo, in molti casi è proprio questo un metodo di ricerca storica e di metodologia di insegnamento praticato da quelle aree culturali che sono oggi nel mirino di chi intende revisionare la storiografia.

Queste iniziative, che tra l'altro hanno spesso coinvolto aspetti dal carattere culturale complessivo, sono state ampiamente realizzate senza mai sentire l'esigenza di una legiferazione regionale esclusiva nel campo dei programmi scolastici, ma sempre nello spirito della integrazione culturale e curriculare del sapere.

Se su una questione come questa si intende spingere oltre a ciò, e arrivare nell'ambito della normazione programmatica regionale vincolante, e' difficile sostenere che si tratti di" saperi" locali, ma diventa più chiaro che si sottende anche una sorta di "appartenenza" locale , di cultura identificativa di gruppo sociale che intende affermare legislativamente una identità.

Allo stato attuale è storicamente anacronistico postulare l'esistenza di ventuno identità etniche nel territorio nazionale, tali da esigere altrettanti sistemi scolastici propri con esclusività legislativa, è più logico ritenere che tale identificazione culturale non sia data dalla identità storica d'origine locale, ma piuttosto da una nuova e diversa identità che, mescolandosi strumentalmente con il sostrato culturale locale, presenta una identità di appartenenza ben più specifica e pesante,quella della dimensione economico-finanziaria.

La coincidenza territoriale tra dimensione economico-finanziaria e tratto culturale locale definisce la reale appartenenza di cultura identificativa, e la conseguente volontà di rompere una struttura formativa con la quale si stenta a trovare convergenza di saperi.

I saperi messi in questione non sono in realta' ne quelli scientifici ne quelli storico culturali locali, ma bensì quelli dell'appartenenza ad una dimensione sociale che intende affermare la sua esclusività senza confondersi, proprio nel momento della formazione della persona coincidente col periodo scolastico, in un sistema in cui i fondamenti sono il confronto la parità e il pluralismo.


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