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da Fuoriregistro-riflessioni sulla funzione e-ducativa della scuola italiana

Non per polemica : riflessioni sulla funzione e-ducativa della scuola italiana di Ludovico Fulci - 14-02-2002 Ragioni che non esito a definire ideali e che consistono in un retaggio eletto ...

15/02/2002
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Fuoriregistro

Non per polemica : riflessioni sulla funzione e-ducativa della scuola italiana
di Ludovico Fulci - 14-02-2002

Ragioni che non esito a definire ideali e che consistono in un retaggio eletto a irrinunciabile sistema di valori mi hanno fatto schierare dalla parte della scuola pubblica. So bene peraltro che da istituzione che era, la scuola è diventata servizio al pubblico, col che la distinzione scuola pubblica e privata è venuta meno, anche per effetto di un'autonomia che ha in qualche modo legato a logiche privatistiche la cosiddetta scuola pubblica. Della quale fare oggi ragionamento significa avere nostalgie per un passato non lontano, ma che tuttavia passato resta.
Come insegnante non posso tuttavia esimermi da alcune considerazioni.
Va bene modificare il sistema italiano dell'istruzione. Va bene cercare vie innovative e tentare di segnare il passo con gli altri paesi europei. Mi sembra però che di alcuni aspetti importanti non si sia tenuto alcun conto. Per quanto un po' vecchia e provinciale, la cultura della classe docente italiana è quella su cui si è venuta costruendo la coscienza civica di una delle nazioni più popolose d'Europa. Ciò avrebbe autorizzato a porsi anche il problema di una più attenta valutazione di possibili aspetti positivi di cui la classe docente italiana potesse farsi campione nel più ampio spazio europeo. Chiarisco che secondo me non è solo una questione di 'saperi'. La cultura ha dei suoi aspetti 'vivi', specialmente in aule dove ci si confronti con esseri umani che portano testimonianza di gravi problemi personali che di solito non affliggono gli intellettuali. La scuola ex-pubblica italiana ha vinto battaglie bellissime. L'alfabetizzazione del Paese è stata sua opera. In tempi recenti ha contenuto più che non si creda il fenomeno veramente dilagante e preoccupante della droga. Ha insegnato e ha perfino inventato forme di socializzazione che hanno di fatto impedito che il popolo italiano diventasse autenticamente e profondamente razzista anche in presenza di leggi che tale lo volevano. Perlasca, sulla cui vicenda è stata recentemente attirata l'attenzione del pubblico della televisione italiana, aveva appreso anche a scuola che gli esseri umani hanno pari dignità.
L'impressione che al presente si ha è che si ceda alla preoccupazione alquanto miope di genitori preoccupati di una collocazione dei loro figli nel mondo di domani. La stessa sollecitudine a trasformare una gloriosa istituzione in servizio volto al pubblico rivela un tentativo di dialogo con un interlocutore senz'altro importante, ma tutto sommato marginale del mondo della scuola. I nostri interlocutori veri sono gli studenti, i quali restano anche da ex-studenti legati più che non si creda alla scuola.
Qualsiasi professore sa oltretutto che la famiglia a volte crea aspettative inadatte allo studente, tanto che spesso la 'bocciatura' nasce dall'ostinazione dei genitori a volere che il figlio frequenti un indirizzo di studi che non è adatto alle sue esigenze. E se è pure importante spiegare ai genitori un fatto del genere, è moralmente assai più importante (vincolante direi per il professore, sul piano di un'etica professionale che si rischia di calpestare cianciando di 'professionalità') che lo capisca il ragazzo che non viva la bocciatura come rifiuto, emarginazione, cancellazione di rapporti umani da lui avviati con gli insegnanti e i compagni di scuola. Lo 'boccio', ma lo 'promuovo' ad altro, lo aiuto a trovare la sua strada.
Ma c'è di più. Senza necessariamente scadere in visioni fantautopiche relative al futuro, non ci si può proiettare nel mondo di domani, avendo sott'occhio la realtà di oggi ovvero, come accade per moltissimi genitori, quella di ieri. Ed è di ieri, a mio avviso, l'ambizione a una collocazione socioeconomica da realizzare attraverso un impiego ben remunerato. Oggi una tale ambizione è mediocre, non meno di quanto si sia rivelata nel tempo quella di diventare professori. Con la differenza che il professore ha avuto anche occasione di non sentire che la sua laurea fosse un pezzo di carta da mandare negli anfratti di un vecchio cassetto, mentre 'funzionari' di banca e ministeriali spesso rimpiangono la scarsa utilità degli studi condotti. Viviamo in un mondo in cui la vita media dell'uomo è destinata a crescere e in cui è logico supporre che aumenteranno i tempi della vita lavorativa. Diventa fondamentale a questo punto che la scuola svolga una funzione autenticamente e-ducativa, e cavi fuori dalla persona le sue genuine ambizioni e i suoi talenti. Non possiamo trasformarci in un popolo di aspiranti manager, con pochissimi che vedranno realizzato il sogno di mamma e papà e molti che dovranno ripiegare a una carriera alternativa, ma comunque modellata sui sogni falliti dei genitori, sentendosi per il resto della vita persone che hanno mancato di raggiungere il traguardo.
Personalmente non ho grandi rimpianti per le ideologie. Gli studi filosofici condotti in gioventù (ma mai abbandonati) mi hanno sempre suggerito l'idea che le ideologie fossero una brutta copia delle grandi filosofie. Ciò non toglie che pure le ideologie abbiano utilità e saggezza. Rispolverando appena ideologie un tempo correnti (e tanto per farmi meglio capire circa quel che intendo significare in un intervento che per necessità di cose non può inseguire cieli di profonde e astratte speculazioni), è secondo me un errore rivolgersi all'ultima frontiera rimasta a coltivare i vecchi e stantii pregiudizi piccolo-borghesi. Si tratta di un sistema di idee nato all'ombra di costellazioni di valori complessivamente suicide, perché si affida alla precarietà di un modesto benessere appena conquistato e non tiene conto di più saldi punti di riferimento che non siano le oscillazioni di borsa, ai cui 'misteri' il piccolo-borghese (vittima designata dell'industria della pubblica opinione, che lo porta a sognare) continua a legare le ragioni della sua esistenza. E allora perché ostinarsi a tanto concedere alle presunte esigenze del ceto medio, che forse neanche conosce esattamente i suoi reali bisogni? Gli statisti che passeranno alla storia, io credo, saranno quelli che sapranno risolvere il grande problema della globalizzazione, che non mi pare possa correttamente impostarsi sull'onda dei valori spiccioli. Ci resta solo da studiare il modo per uscire noi alla svelta dalla grandi contraddizioni che viviamo e insegnare agli altri a fare altrettanto. La scuola europea e italiana potrebbe svolgere un suo ruolo rimuovendo dalle coscienze pregiudizi rischiosi e avvicinando pacatamente e serenamente i giovani al loro futuro, insegnandogli a misurare il proprio valore e le proprie reali effettive capacità, come la scuola pubblica aveva in Italia silenziosamente fatto per decenni.


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