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da Fuoriregistro-Mai ti ho promesso un giardino di rose

Mai ti ho promesso un giardino di rose di Giacinto Verri - 12-10-2002 Prendo a prestito il titolo di uno stupendo libro di Joanne Greenberg sperando con questo di poter, con ironia, quadrar...

12/10/2002
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Fuoriregistro

Mai ti ho promesso un giardino di rose
di Giacinto Verri - 12-10-2002

Prendo a prestito il titolo di uno stupendo libro di Joanne Greenberg sperando con questo di poter, con ironia, quadrare il cerchio.
Nel libro, la protagonista, con profonda fatica, cerca di liberarsi, di sciogliersi dal legame con se stessa che la rende schizofrenica e ci riesce facendo, appunto, quadrare il cerchio.
Ma dove voglio arrivare? Confesso che 'io lo so ma non lo dico', ma come sempre la difficoltà del come presiede e condiziona.

Nello scrivere si fa a ritroso il cammino del pensare: ho davanti a me due proposte di sciopero.
La prima della CGIL per il 18 ottobre; la seconda di quasi tutti gli altri sindacati per il 14 dello stesso mese.
Una schizofrenia! Mai avuta tanta possibilità di scegliere ma '#8211; ahimè - prima si deve liberarsi e sciogliersi dalle catene che rendono la scuola un argomento a sé stante per molti insegnanti.
Il 14 si sciopera per il contratto, il 18 per poter parlare ancora di contratto ed in termini di lavoratori della scuola.
Il 14 sottende un 'Patto per l'Italia' verso il quale nessun lavoratore è stato chiamato a pronunciarsi, il 18 l'invito è a tutti i lavoratori, nessuno escluso, a far sentire la propria voce e la propria dignità anche soltanto come persone che lavorano qualsiasi lavoro svolgano.
Sembra di giocare al lotto ed è indubbio che si tratta di scegliere: il 14 o il 18?
Il significato è diverso se non opposto.

A mio avviso, scioperare soltanto per il contratto è un insulto ad una scuola che trae le sue motivazioni e risorse (anche economiche) dalla società: la scuola non ha forza nemmeno contrattuale se non nella misura n cui le sue proteste sono correlate a motivazioni culturali, educative.
Joanne non sa come quadrarsi ma sa che il giardino non è fatto di sole rose!
Quello che dovremmo accettare, facendo sciopero il 14, è di essere mercificati, ridotti allo stato di roselline senza radici come se uno sgravio fiscale potesse (e non lo può) farci recuperare l'inflazione, il potere d'acquisto, consentirci di migliorare la qualità della vita.
Ed ecco le spine!
Comunque la si veda lo sciopero del 18 pone in essere la dimensione propria dello stato di lavoratori, di persone che lavorano e nega a chicchessia di considerare chi lavora una merce.
In primo luogo in quanto non considera nessun contratto al di fuori della globalità sociale ed economica, come dire dei bisogni comuni.
In secondo luogo in quanto non considera nessun lavoratore al di fuori dei diritti (non quelli acquisiti) ma costituzionalmente sanciti e conquistati dai nostri padri con lunghe e dure lotte.
In terzo luogo perché unisce tutti i lavoratori, ( insisto: le persone che lavorano), in un denominatore comune certamente innovativo, direi quasi rivoluzionario: il lavoro è al servizio delle persone e non viceversa, ove per servizio si intende un'alta morale del lavoro stesso.
Ecco dunque Joanne che trova le sue spine!
Accettare di mediarsi, compromettersi di fronte al forte e accomodante richiamo di un neurolettico, sedersi, attendere Godot, insomma pensare che ci sono altri che meglio conoscono i problemi e quindi mettersi nelle loro mani, oppure resistere e pensare che la sua condizione non è assoluta, che la sua libertà non è assoluta, che la sua vita (il suo lavoro) non sono avulsi da quella degli altri!
Accettare di mediare in quanto abbiamo di fronte una forte maggioranza politica per la quale il privato (non la privatizzazione che non intende affatto fare ingorda del potere e dello spoyl system) è la condizione sine qua non di ogni agire, significa porre i bisogni sulla bilancia del do ut des, mentre considerare il proprio lavoro al pari di quello degli altri significa senza dubbio non vedere la scuola inserita nel sociale e quindi fare uno sciopero soltanto per il contratto della scuola è a dir poco la massima psicosi, il termine limite.
Anche a livello contrattuale la nostra forza è quella sociale e altrimenti non deve essere.
Povera Joanne: eppure quando ha contemplato, quando ci è riuscita, di essere 'fatta' dentro e fuori come tutti noi è riuscita a superare con gran fatica la propria schizofrenia.
Ecco un semplice motivo per scegliere di scioperare il 18 e non il 14: non essere costretti a rimanere schizofrenici in una scuola psicotica con un contratto che non contempla ancora oggi la dignità e profondità del sociale.
Perdonate la forzatura! L'articolo 18 è la terapia di Joanne perché potrà riguardare pochi, forse nessuno, ma oggi che siamo nessuno riguarda tutti.
L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (e non ancora dei lavori per fortuna) è un diritto sociale, umano di base: nessuno può essere licenziato senza giusta causa.
Joanne non ha voluto licenziarsi e io gliene sono grato.
Come insegnanti della scuola pubblica siamo 'privilegiati' o 'fortunati': non viviamo la gogna della possibile chiusura o fallimento di un'azienda che è già di per sé una dimensione precaria.
Eppure oggi l'articolo 18 è il muro che ci separa dal rendere il lavoro esterno alla condizione nella quale si lavora: dalla sua istituzione e non prima si è potuto parlare di qualità, sicurezza, dignità del lavoratore.
Prima non era semplicemente possibile: si sarebbe stati messi fuori!
Ma invero, come ogni guarigione, i nostri anticorpi s'avvedono che la questione non è finita: molti sono coloro che lavorano senza diritti e chi ha occhi per guardare'.
I lavoratori interinali: lavorate voi senza sapere se l'indomani vi sarà dato di continuare'., lavorate voi sapendo che dovete superare i limiti di produzione (anche dei vostri colleghi) senza avere la benché minima garanzia che questa fatica vi consentirà di mantenere l'occupazione'., lavorate voi a cottimo (è ritornato ed è la causa non detta di tante morti bianche)', lavorate voi come prestatori coordinati continuativi (che aberrazione) per i quali non esiste nemmeno l'obbligo sanitario contributivo'., lavorate voi'e direte la gavetta'ma questa non è gavetta, semplicemente sfruttamento, non è flessibilità ma soltanto cercare di mettere i lavoratori contro i lavoratori (prima ancora che i sindacati contro i sindacati).
Joanne ha risposto così alle tentazioni delle ricadute: deve pensare al domani come fosse oggi.
Scioperando il 18 ottobre la scelta, a mia profonda convinzione, è quella di vedere nell'oggi il progetto del futuro: poter progettarsi, avere le garanzie di diritti comuni non soggetti a nessun'altro (quello dell'articolo 18 sottende quello del posto di lavoro, della pensione, dell'appartenenza sociale, della considerazione come persone che lavorano e non come lavori , ossia come rapporto paritario tra datore e lavoratore).
Ma Joanne è guarita, sa che può sperare!
Lo sciopero del 18 propone di considerare tutti coloro dallo stesso denominatore comune: la dignità della persona ora e domani.
Lo sciopero del 18, proprio affermando questa dignità è uno sciopero profondamente politico e sociale, contro un modo di vedere le persone, siano esse lavoratori o imprenditori, anziani o giovani, sani o malati.
Joanne ha ragione: non esiste il giardino delle rose senza spine ma il giardino dei diritti è dentro il giardino delle rose.
Ed ecco allora un altro denominatore comune: l'onestà di fronte a coloro che stracciano i diritti in quanto si ritengono ceto elevato, distaccato spacciandosi per ceto di tutti.
Che bello: un diritto stracciato è il diritto di tutti.
Consapevole che le differenze sociali e politiche sono notevoli, credo che tutti gli onesti (anche gli imprenditori) non possano che scioperare contro chi è disonesto nelle leggi e nelle azioni.
Il diritto pubblico non è diritto privato!
Eppure ci si vuole far credere che il privato sia bello, economico, più funzionale.
Una sola considerazione: il privato privo del pubblico, ossia senza reale controllo, senza una motivazione sociale è altamente costoso: lede non solo i diritti, risponde differentemente a chi ha, ha di meno o non ha, ma costa assai molto di più del pubblico.
La ragione è semplice: da una parte deve guadagnarci, fare profitto (sulla pelle delle persone) come dire che è il malato per il sano, dall'altra determina una crescita esponenziale dei costi dei professionisti e strutturali in quanto l'offerta non è più basata sull'analisi dei bisogni ma sui fondamentali economici che tal privato intende conseguire.
Joanne lo sa: ma il pubblico è latitante, inadeguato..tempi lunghi'
Eppure Joanne lo sa: tocca a lei (a noi) in quanto pubblico rendere, costringere il pubblico a divenire funzionale, rispondete, economico.
Lediamo l'articolo 18, lediamo il diritto-dovere all'onestà e non avremo più alcuno strumento di diritto per poter agire su quelle dimensioni che debbono rimanere pubbliche o privatizzate nel funzionamento, ma pubbliche nelle dimensioni di base: la sanità, la scuola, la salute, la cultura'il lavoro e la pensione.
Joanne non ha voglia alcuna di tornare a lottare contro se stessa e i suoi fantasmi: eppure una fantasia la mantiene, la vivifica! Il sogno di mantenere uniti la propria anima e il proprio corpo.
Io, voi non siamo privati! Siamo persone pubbliche nel senso che apparteniamo alle dimensioni sociali e umane ed in tal senso basata sulla società del diritto fondato sui diritti comuni di base: la pensione, l'istruzione, il lavoro, la dignità.
Colleghi: chi di voi ha figli sa cosa significa avere il maestro unico: un'antipatia umanissima può rendere la vita scolastica impossibile'ma fosse solo questo!
Il nostro lavoro non può essere comprato al prezzo di rinunciare alla dignità che è la base di qualsiasi istruzione.
Colleghi: aumentano il numero di alunni per classe, diminuiscono le risorse umane per il sostegno, sperimentano senza alcun coinvolgimento di chi poi dovrà realizzare'come rimpiango Berlimguer (e sono molto serio nel dirlo).
Joanne ha bisogno di pluralità e non di unicità, di risposte diverse allo stesso problema, ha bisogno di continuare a crescere.
Lo sciopero del 18 è l'affermazione di voler continuare a crescere per quella strada che impedisca di rendere il sociale, la comunità sociale, l'insegnare negate al contesto che le motiva: la società nel suo complesso


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