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Cosa mi ha insegnato il maestro De Mauro

di Marco Rossi Doria

06/01/2017
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la Repubblica

La morte di Tullio De Mauro — per migliaia di persone di scuola — suscita un sentimento di grande perdita e, insieme, di riconoscenza e gratitudine. È stato per tanti di noi un maestro. Noi giovani insegnanti degli anni Settanta e Ottanta eravamo “presi in mezzo” tra il dialetto, spesso vivissimo, dei nostri ragazzini poveri, che dava vita ai loro sogni e alle mille vicende dell’esperienza quotidiana e la urgenza di insegnare bene l’Italiano perché era — lo sapevamo — la vera porta verso il mondo, il sapere in ogni disciplina, l’emancipazione da una marginalità che minacciava di essere per tutta la vita. Noi volevamo dare piena dignità all’una e all’altra cosa. Per questo, leggere quel capolavoro che è la Storia linguistica dell’Italia unita è stato come una mano che ti accompagna e ti fa mettere insieme, ogni giorno in classe, lingua e vita.

Questo è stato grazie a quella rarissima qualità di un grande accademico che ha sempre lavorato con la scuola di ogni giorno, la scuola dell’infanzia, primaria, media. Su un piano di assoluta, naturale parità. E oggi ancor più proviamo riconoscenza — in questo tempo di troppe parole vaghe — per il suo parlare e scrivere tanto rigoroso quanto comprensibile a tutti e ogni volta costruttivo, ironico, divertente. E ci mancherà la passione civile incrollabile che gli faceva ripetere che avrebbe voluto avere «una voce ben più tonante» per denunciare la tragedia rappresentata da ciò che egli chiamava la de-alfabetizzazione degli italiani che è il grande, crescente vuoto che sta alla base della crisi politica, economica, sociale e etica che viviamo.

Una parte grande della sua passione di intellettuale che pensa alla politica come autentico servizio, Tullio la ha dedicata alla difesa della scuola della Repubblica nel nome dell’articolo 3 della Costituzione. Perché riconosceva nella scuola la più grande arena nella battaglia per l’eguaglianza.

Ricordo quando venne, da ministro, nelle aule della scuola “Pasquale Scura” nel mezzo dei Quartieri Spagnoli di Napoli per sostenere il nostro sperimento di scuola di seconda opportunità, Chance: «Sono venuto a capire cosa state combinando qui e se ci può essere utile, per tutti». Lo ricordo in piedi, a parlare, anche in dialetto, a tu per tu, faccia faccia, con i ragazzi, il suo sedersi, non badando ai tempi della visita ministeriale, con noi tutti — docenti, dirigente, bidelle, mamme, educatori — per ascoltare a lungo e capire come generalizzare il nostro programma d’azione, per riportare a scuola chi era già fuori.

Tullio non si è mai rassegnato alla marginalizzazione dei ragazzi poveri e alla caduta della funzione di promozione culturale e sociale della nostra scuola, anche nel confronto internazionale. La sua severa e informata indignazione non era solo perché la de-alfabetizzazione funzionale di troppa parte della popolazione è un danno per il Paese; Tullio sapeva davvero bene che era, al tempo stesso, un danno per quel ragazzo lì, per la sua vita. E per questo si batteva per una scuola pubblica davvero capace di accompagnare tutti ma soprattutto ciascuno.

L’autore è insegnante e politico già sottosegretario all’Istruzione


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